giovedì 19 febbraio 2015

LO SPIRITO E LA SUA OMBRA (di Piero Nicola)

  Nel nostro sistema planetario compaiono due soli. Uno rovente, posto lì a vivificare il regno dei minerali, delle piante, delle carni; l’altro, immateriale e ancor più poderoso - ma da noi oscurabile - è per la vita delle anime. Quando giunge l’eclissi degli amanti dello spirito, il suo sole sembra scomparso e la terra resta avvolta da un’ombra greve e mortifera.
  Oggi è questa la condizione dell’intero orbe terraqueo. Dove si vedono più i cultori e i praticanti dello spirito? Dove sono quelli che lo traggono dal passato, in cui esso di certo fece le sue apparizioni e lasciò le sue tracce? Se ve ne sono, stanno come sommersi in un mare di nubi.
  Non voglio trovare l’eccellenza nelle cose umane, né pretendo di riferirmi soltanto ai luminari della fede, alle meraviglie dei nostri cari santi; nelle stesse mondane vicende, negli uomini assai terreni delle varie epoche storiche, avviene che lo spirito brilli o almeno riluca tra la foschia. Su di esso è calata la dimenticanza, peggio: la negazione. Come sostenere che questo non sia avvenuto anche per opera di coloro i quali sembrano ancora militare dalla parte giusta, sul campo che fu dei cavalieri? La spiegazione si rinviene nel fatto che costoro hanno confuso l’apparenza del bene, il  suggestivo e allettante surrogato composto da qualche deteriore idealità, con la bellezza reale del bene, ben più che estetica.
  Inutile sminuire le antiche distinzioni di bello e di bene, di forma e di contenuto, di muse procaci e d’arte casta e veritiera, di sentimenti puri e di sentimenti spuri. Tanto gli oggetti ispiratori quanto l’ispirazione attiva e vissuta, o sorgono dal fango (almeno con loro importanti elementi) o restano da esso catturati; e in questo caso si resta i drudi d’una maga impastata di grazie lascive.
  Vedo subito chi arriccia il naso scetticamente davanti ai nomi verità e autenticità, davanti agli aggettivi sano e vero. Dobbiamo insegnargli che sia virtù e che sia vizio, e l'abisso che li separa? Egli si scosta seccato dalla differenza che noi facciamo tra sporco e pulito, fra carità e umanitarismo, tra orgoglio e dignità, tra sincerità veridica e dialogo, tra cielo e terra. Costui parla d'amore, di altruismo, di amicizia indolori, ma vede ovunque l’impurità, e il sale della vita soltanto in un miscuglio grigiastro, senza distinguere ciò che tende alla purezza e ciò che aumenta nella corruzione, per cui il primo è vero ed è falso il secondo. Egli non mette a fuoco l’albero e non bada ai frutti, se siano buoni o tossici, purché siano succosi.
  Posto che con spirito s’intenda quel moto interiore che propone o abbraccia i casti ideali e depura le passioni rettificabili, questa nostra larva di civiltà è spiritualmente cadaverica.
  Che lo spirito sia evaporato per un rinnegamento da parte dell’arte, della politica, del pensiero e dell’azione è ampiamente dimostrabile.
  Nella migliore destra abbastanza visibile e operante vige un convincimento sbagliato, presumibilmente dovuto a ignoranza e a pregiudizi radicati. Oso affermarlo perché, altrimenti, dovrei parlare di tradimento a ragion veduta.
  Di che cosa vado cianciando? Mi attengo alla logica elementare a cui non si sfugge, quella del contadino dalle scarpe grosse, discretamente informato e di buon senso indipendente. Quindi risponderò con un’altra domanda. Se da mezzo secolo siamo in decadenza (religiosa, filosofica, etica, demografica, ecc.) e tutti i rimedi hanno fallito, come risollevarsi?
  Le invenzioni sono esaurite, la post-modernità ha fatto naufragio, la società si è infognata nel nichilismo o nell'eresia che ad esso conduce (quando i popoli primitivi trascendevano questo mondo per dare un senso alla vita, col culto dei morti e con gli dei). C'è solo da prendere il filo d'Arianna che conduce fuori del labirinto, e il suo sbocco civile deve dare sul passato. Poiché l'uomo, scontrandosi con la dura e santa legge iscritta nel suo cuore, è inclinato al male, gli slanci dello spirito possono raddrizzarlo; e noi abbiamo la fortuna di avere una tradizione di slanci corretti, cattolici o pressappoco. Ma, volgendosi indietro, subito l'accesso ai valori specialmente nostri e rivitalizzanti è precluso da un ostacolo grande: il Ventennio.
  Si conviene che il Ventennio sia stato un periodo di totalitarismo  e di censura, di depressione culturale, di soffocamento, di mediocrità, di piatta omologazione o di forzate riserve mentali, di sterile retorica, di tedio nelle arti, privo di vaste atmosfere pervase da libera e genuina elevatezza. Ma si sono letti, conosciuti e ponderati gli scrittori, i pensatori, gli artisti, i realizzatori di opere d'arte e dell'ingegno di quell'epoca? O si è badato piuttosto al seppellimento, al mascheramento di tutto questo, ascoltando i pregiati voltagabbana che, caduto il fascismo, lo biasimarono come se non fossero stati anch’essi membri solidali di quella temperie? Costoro che, sprigionati, della libertà hanno fatto uno strumento con cui salvare capra e cavoli! Beninteso, creando fittizi lavori intellettuali, e infine per l'ottenimento di cose cattive: comuniste e liberali. Con essi, i politici salvatori di capra e cavoli hanno instaurato il regime della castrazione pacifica e terragna.
  Gli odierni uomini istruiti e che contano ricordano i D’Annunzio, i Pirandello, i Gentile, gli ottimi dizionari, l'Enciclopedia Treccani, ecc., riconoscono i pittori (figurativi e no), gli scultori fascisti, soprattutto l’architettura pubblica e privata, che fu nel complesso originale e eccellente in un nuovo stile neoclassico, nonostante l’odierna sua falsa attribuzione al movimento razionalista internazionale? Forse un poco. Ma le loro preferenze e le loro riserve tagliano le gambe allo spirito.
  Inoltre il gran numero degli onesti e bravi artefici di civiltà in quel periodo, resta affatto negletto.
  Si ricordano i musicisti di chiara fama, i tenori, i baritoni, i soprano, e gli scienziati illustri che, come Marconi, poterono svilupparsi in quel crogiolo? Per non dire dell’animo di intrapresa, delle grandi e spedite attuazioni, caratteristiche di allora, in terra in cielo e in mare, e che non hanno riscontro né prima né dopo, anche in quanto a sostanza imperitura. Di tali opere abbiamo poi tutti goduto e vissuto, volenti o nolenti, coscienti o inconsapevoli.
  Siccome questo insieme viene disconosciuto e poco valutato (è quanto mai significativo che dell'Eur si voglia fare un quartiere a luci rosse), bisogna che si sopravvaluti il parto dell’ideale democratico.
  Perché – si chiederà – toccare un argomento delicatissimo, che nemmeno uno storico insigne può trattare tranquillamente, senza tema di incorrere nella sanzionata apologia?
  Cari miei, dovremmo lasciare in piedi gli artefatti impedimenti che ci mantengono imprigionati? Dal momento che l’insieme di cui ho steso una succinta panoramica viene ridotto a un ferrovecchio e se ne rovina lo spirito, vengono chiuse sorgenti e ispirazioni della benefica idealità, si respingono valori insostituibili. Buttando alle ortiche una qual retorica, ci si priva del suo contenuto per niente retorico. Sotterrando all’ingrosso un certo ordine per il nome che porta, ci si priva di un ordine di certo costoso, ma necessario alla fioritura spirituale. Una volta messe le pietre tombali sopra la guerra e il valore guerriero, una volta cantato il de profundis alla specchiata cavalleria, lo spirito dell’abnegazione fedele va a farsi friggere, e con esso viene a mancare il terreno sotto i piedi. Il terreno franoso dell’idealismo d’accatto regge poco, non avendo sostanza di verità.
  Ieri un ministro si è permesso di denigrare le Crociate, adoprandole come sinonimo di ingiustizia. La calunnia degli storici e l'ignoranza di allievi o lettori non giustificano i fatti, che lasciano rovine.
  Nella Costituzione, l'Italia ripudia la guerra quale mezzo per risolvere le controversie internazionali. A ciò si aggiungano le sottaciute limitazioni della nostra sovranità imposte dal trattato di pace del 1947 e mai revocate.
  Quello stesso ministro che poco prima aveva affermato la necessità di intervenire militarmente in Libia, ha dovuto rimangiarsi quello che aveva detto.
  Oggi l'ONU esclude la guerra; in pratica, nega il nostro diritto alla legittima difesa. L'Italia deve restare alla mercé delle minacce islamiche e delle invasioni di infedeli, che infedeli rimangono, a differenza dei barbari antichi. Di chiacchiere più o meno rassicuranti se ne fanno dappertutto, in sedi alte e basse. E rimangono chiacchiere. Intanto qui il pacifismo imbelle, nichilista e zoofilo, alimentato dal Vaticano che non vuol convertire nessuno, continua ad addormentare le coscienze.
  Evviva papa Leone Magno che va incontro ad Attila!


Piero Nicola

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