martedì 5 agosto 2014

"Don Bosco e il mondo del lavoro"

Un avvincente saggio di Pier Luigi Guiducci

"Don Bosco e il mondo del lavoro"

 E' ovvio l'obbligo di ammettere che, prima della rivoluzione illuminista/capitalista, l'Europa cristiana non era il paradiso in terra. Imperversavano guerre insensate, deliranti eresie e pestilenze e insieme con esse sfilava il corteo delle rapine, dei vizi e delle vane e sanguinarie insurrezioni, ad esempio la sciagurata impresa condotta dal re degli anabattisti, Giovanni di Leida (1509-1536). Insorgenza folle e  sanguinaria, in cui  lo scrittore Friedrich Reck-Malleczewen (1887-1945) ha contemplato la sinistra prefigurazione/anticipazione delle moderne/inumane rivolte contro la legge naturale.
 Nei secoli cristiani, il peso ultracogitante e spietato della superbia, tuttavia, era diminuito e attenuato dagli ostacoli e dagli ammortizzatori messi in opera dalla sapienza civile educata dalla carità cristiana: ad esempio dalle leggi delle corporazioni, dalle banche fratesche, e dai modesti ma preziosi benefici concessi ai contadini poveri, libertà di pascolo e di raccolta del legname nei fondi di proprietà ecclesiastica.
 Annunciata da fanfare tecnologiche e da deliziosi poemi, la rivoluzione capitalistica entrò in scena indossando la veste numinosa di quella educatrice sobrietà (miseria), che prometteva ai contadini, opportunamente privati delle antiche concessioni e privilegi, l'ingresso (futuro) nella città tecnologica, orizzonte paradisiaco che prometteva scientifiche, laiche e liberali delizie.
 Delizie? Guiducci propone un'antologia delle memorie che narrano gli orrori messi in scena dalla rivoluzione industriale sotto la luce abbagliante del liberalismo.
 Di Friedrich Engels (1820-1895), che nel 1842, l'anno del suo incontro con Marx, si trovava per lavoro a Manchester (la patria della spettrale scuola liberalista) è citato, ad esempio, uno scritto che descrive le penose condizioni dei salariati: "Nelle miniere di carbone e di ferro ... lavorano fanciulli di 4, 5, 7 anni; la maggior parte di essi però è superiore agli anni 8. Essi sono incaricati di trasportare il materiale staccato dal luogo di abbattimento al sentiero o alla galleria principale e di aprire e richiudere le porte che separano le diverse sezioni della miniera ... Alla sorveglianza di queste porte vengono adibiti per lo più i bambini più piccoli, che a questo modo devono starsene soli per dodici ore al giorno nel buio, in un corridoio angusto e quasi sempre umido. ... Il trasporto del carbone e del minerale di ferro costituisce invece un lavoro estremamente duro, perché questo materiale deve essere trascinato in grosse carriole senza ruote sul fondo accidentato delle gallerie, spesso sul fango umido o attraverso l'acqua, spesso ancora per erte salite e attraverso passaggi che talvolta sono tanto angusti che gli operai devono camminare carponi. Perciò a questo estenuante lavoro vengono adibiti fanciulli più grandi e ragazze adolescenti".
 L'illuminata resistenza dei cattolici alla brutalità liberale ha tuttavia anticipato la violenta rivolta promossa dai continuatori atei della fumosa teologia del luterano Hegel.
 Opportunamente Guiducci ricorda la strenua resistenza al capitalismo e agli abusi della sua giustizia attuata da coraggiosi e caritatevoli sacerdoti e laici piemontesi e italiani: gli illuminati fautori dell'educazione popolare Raffaello Lambruschini (1788-1873), Gino Capponi (1792-1876), il fondatore del movimento cooperativo do Lorenzo Guetti (1847-1898), don Luigi Cerruti (1865-1934), intrepido sostenitore delle Casse Rurali, don Ferrante Aporti (1791-1858) geniale innovatore della pedagogia, don Lodovico Pavoni (1784-1849) fondatore di scuole per la formazione di artigiani, la marchesa Giulia Falletti di Barolo (1785-1864), vandeana imprestata al Piemonte, ideatrice e finanziatrice di scuole gratuite per i figli dei poveri e promotrice di un avanguardistico istituto per il recupero e il reinserimento nella vita civile delle carcerate, don Giuseppe Cottolengo (186-1842). eroico difensore degli ultimi, don Giuseppe Cafasso, compagno dei rifiutati e dei disperati, che fu eletto a modello della vita sacerdotale di San Giovanni Bosco e San Leonardo Murialdo (1828-1900) fondatore dell'Unione operaia cattolica, il Beato Giovanni Allamano (1851-1926) consigliere di don Bosco.
 Unica lacuna del pregevole lavoro di Guiducci è, a nostro modesto parere, la mancata citazione del discendente di una nobile famiglia alessandrina, il Beato Francesco Faà di Bruno (1825-1888),  in gioventù valoroso combattente quindi illustre matematico, oppositore alla setta liberale e infine sacerdote esemplare, al quale l'intensa vita spirituale non impedì di soccorrere sapientemente ed efficacemente le miserie prodotte dalla rivoluzione capitalistica.
 Amico fraterno di don Bosco, il Beato Faà di Bruno concepì e attuo alcune fondazioni finalizzate a soccorrere ed ospitare le categorie più duramente umiliate e ferite dal progresso, le domestiche, ad esempio.
 L'aristocrazia torinese riconosceva alle domestiche il diritto di trascorre gli anni della inabile vecchiaia nelle case in cui avevano servito da giovani. La nuova classe, illuminata e formata all'egoismo dal pensiero utilitarista, metteva sulla strada le domestiche (le serve) non appena esse manifestavano segni di inabilità al lavoro. E Faà di Bruno procurava loro un dignitoso asilo, sottraendole alla triste condizione del vagabondaggio mendicante.
 Accanto alla chiesa della sua congregazione, Faà di Bruno fece costruire a gloria di Dio un campanile alto ben ottanta metri. La volontà di glorificare il Signore non era dissociata dall'intenzione di giovare ai poveri: in cima al campanile era collocato un grande orologio, visibile da tutti i quartieri della Torino di allora: la finalità di tale costruzione era rendere visibile l'ora esatta agli operai (che quasi mai possedevano un orologio) e in tal modo ostacolare gli eventuali tentativi della classe padronale di allungare fraudolentemente il tempi dell'attività lavorativa.

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 La straordinaria efficacia degli interventi cattolici intesi a mitigare i disagi prodotti dalla rivoluzione liberale, dipende dalla vita dei sacerdoti, improntata alla incrollabile certezza del primato dello spirituale e sostenuti dalla nobiltà illuminata della marchesa di Barolo.
 La Chiesa del Piemonte non era disturbata e afflitta da quella sindrome buonista che, ai nostri giorni, aggiunge ai piatti della solidarietà l'insipido sale dell'ecumenismo a tutto giro. Il clero torinese aveva conquistato le posizioni dell'avanguardia sociale senza mai abbassare la bandiera dei primato dello spirituale.
 Le magnifiche opere sociali di San Giovanni Bosco (1815-1888), vertice della splendida storia scritta dalla Chiesa italiana nel secolo tormentato da massoneria, liberalismo e socialismo,  costituiscono il modello di un sacerdozio, che osava anteporre la santità al successo nella breve vita, l'oratorio alla cucina, il confessionale alla scuola, la devozione alla laboriosità, la preghiera all'azione.
 Improntate dal riconoscimento di tale gerarchia, le opere di San Giovanni Bosco, attuarono una vera rivoluzione silenziosa, esercitarono un benefico influsso nella vita sociale e infine obbligarono i capitalisti torinesi a sopportare il peso (per loro molesto) delle concessioni ai diritti dei lavoratori.
 Refrattario alle tentazioni del clero capitolardo, che facevano presagire l'insorgenza nefasta di americanismo, modernismo, buonismo e contraffatto ecumenismo, San Giovanni Bosco "si rese conto che era necessario rafforzare la stampa cattolica, sia per sostenere una formazione cristiana in direzione delle diverse età, sia per aver in mano uno strumento in grado di fronteggiare l'estendersi dell'azione degli evangelici [e i massoni], allineati su posizioni fortemente critiche verso la Chiesa cattolica".
 Al proposito Guiducci cita le istruzioni anticlericali emanate dall'Alta Vendita Italiana nel 1819: "Una volta che la vostra buona reputazione sia stabilita nei collegi, nei ginnasi, nelle università, nei seminari, una volta che abbiate catturato la confidenza di professori e studenti, fate in modo che a cercare la vostra compagnia siano soprattutto quanti sono arruolati nella milizia clericale. Si tratta di stabilire il trono degli eletti sul trono della prostituta di Babilonia".
 Irriducibile all'ingiustizia liberalista Don Bosco non era contrario al progetto per l'unità d'Italia: "verso tale espressione, che proveniva da un sincero sentimento patriottico, don Bosco non pose mai ostacoli. Egli, al contrario, volle accentuare un ruolo di promozione umana che, per sua natura, non poteva esser legato a ideologie e a deliberazioni politiche".
 Fino all'ultimo respiro don Bosco continuò la sua eroica battaglia contro l'ingiustizia al potere e tuttavia impedì risolutamente che la sua azione. conforme alla carità, oltrepassasse il confine della religione per smarrirsi nel seducente e avvolgente territorio della politica.
 Avversato e calunniato dal giornalismo massonico ebbe invece un rapporto sempre limpido e non sempre infelice con l'autorità politica, personificata da liberali n(Cavour e Rattazzi, ad esempio) ai quali l'origine familiare sconsigliava la sequela del settarismo furente e demente.
 Il profilo del santo magistralmente tracciato da Guiducci è un'opportunità offerta ai cattolici alla ricerca del confine che separa la misericordia dalla demagogia e la socialità cristiana dalla beneficenza pelosa.  Un confine sul quale può rinascere l'azione politica dei cattolici traditi dagli acrobatici partiti di stampo progressista.

 Piero Vassallo

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