Un
avvincente saggio di Pier Luigi Guiducci
"Don Bosco e il
mondo del lavoro"
E'
ovvio l'obbligo di ammettere che, prima della rivoluzione
illuminista/capitalista, l'Europa cristiana non era il paradiso in terra.
Imperversavano guerre insensate, deliranti eresie e pestilenze e insieme con
esse sfilava il corteo delle rapine, dei vizi e delle vane e sanguinarie
insurrezioni, ad esempio la sciagurata impresa condotta dal re degli
anabattisti, Giovanni di Leida (1509-1536). Insorgenza folle e sanguinaria, in cui lo scrittore Friedrich Reck-Malleczewen
(1887-1945) ha contemplato la sinistra prefigurazione/anticipazione delle
moderne/inumane rivolte contro la legge naturale.
Nei
secoli cristiani, il peso ultracogitante e spietato della superbia, tuttavia, era
diminuito e attenuato dagli ostacoli e dagli ammortizzatori messi in opera
dalla sapienza civile educata dalla carità cristiana: ad esempio dalle leggi
delle corporazioni, dalle banche fratesche, e dai modesti ma preziosi
benefici concessi ai contadini poveri, libertà di pascolo e di raccolta del
legname nei fondi di proprietà ecclesiastica.
Annunciata
da fanfare tecnologiche e da deliziosi poemi, la rivoluzione capitalistica
entrò in scena indossando la veste numinosa di quella educatrice sobrietà (miseria),
che prometteva ai contadini, opportunamente privati delle antiche
concessioni e privilegi, l'ingresso (futuro) nella città tecnologica, orizzonte
paradisiaco che prometteva scientifiche, laiche e liberali delizie.
Delizie?
Guiducci propone un'antologia delle memorie che narrano gli orrori messi in
scena dalla rivoluzione industriale sotto la luce abbagliante del liberalismo.
Di
Friedrich Engels (1820-1895), che nel 1842, l 'anno del suo incontro con Marx, si
trovava per lavoro a Manchester (la patria della spettrale scuola liberalista)
è citato, ad esempio, uno scritto che descrive le penose condizioni dei
salariati: "Nelle miniere di carbone e di ferro ... lavorano fanciulli di
4, 5, 7 anni; la maggior parte di essi però è superiore agli anni 8. Essi sono
incaricati di trasportare il materiale staccato dal luogo di abbattimento al
sentiero o alla galleria principale e di aprire e richiudere le porte che
separano le diverse sezioni della miniera ... Alla sorveglianza di queste porte
vengono adibiti per lo più i bambini più piccoli, che a questo modo devono
starsene soli per dodici ore al giorno nel buio, in un corridoio angusto e
quasi sempre umido. ... Il trasporto del carbone e del minerale di ferro
costituisce invece un lavoro estremamente duro, perché questo materiale deve
essere trascinato in grosse carriole senza ruote sul fondo accidentato delle
gallerie, spesso sul fango umido o attraverso l'acqua, spesso ancora per erte
salite e attraverso passaggi che talvolta sono tanto angusti che gli operai
devono camminare carponi. Perciò a questo estenuante lavoro vengono adibiti
fanciulli più grandi e ragazze adolescenti".
L'illuminata
resistenza dei cattolici alla brutalità liberale ha tuttavia anticipato la
violenta rivolta promossa dai continuatori atei della fumosa teologia del
luterano Hegel.
Opportunamente
Guiducci ricorda la strenua resistenza al capitalismo e agli abusi della sua giustizia
attuata da coraggiosi e caritatevoli sacerdoti e laici piemontesi e italiani:
gli illuminati fautori dell'educazione popolare Raffaello Lambruschini
(1788-1873), Gino Capponi (1792-1876), il fondatore del movimento cooperativo
do Lorenzo Guetti (1847-1898), don Luigi Cerruti (1865-1934), intrepido
sostenitore delle Casse Rurali, don Ferrante Aporti (1791-1858) geniale
innovatore della pedagogia, don Lodovico Pavoni (1784-1849) fondatore di scuole
per la formazione di artigiani, la marchesa Giulia Falletti di Barolo
(1785-1864), vandeana imprestata al Piemonte, ideatrice e finanziatrice di
scuole gratuite per i figli dei poveri e promotrice di un avanguardistico
istituto per il recupero e il reinserimento nella vita civile delle carcerate,
don Giuseppe Cottolengo (186-1842). eroico difensore degli ultimi, don
Giuseppe Cafasso, compagno dei rifiutati e dei disperati, che fu eletto
a modello della vita sacerdotale di San Giovanni Bosco e San Leonardo Murialdo
(1828-1900) fondatore dell'Unione operaia cattolica, il Beato Giovanni Allamano
(1851-1926) consigliere di don Bosco.
Unica
lacuna del pregevole lavoro di Guiducci è, a nostro modesto parere, la mancata
citazione del discendente di una nobile famiglia alessandrina, il Beato
Francesco Faà di Bruno (1825-1888), in
gioventù valoroso combattente quindi illustre matematico, oppositore alla setta
liberale e infine sacerdote esemplare, al quale l'intensa vita spirituale non
impedì di soccorrere sapientemente ed efficacemente le miserie prodotte dalla
rivoluzione capitalistica.
Amico
fraterno di don Bosco, il Beato Faà di Bruno concepì e attuo alcune fondazioni
finalizzate a soccorrere ed ospitare le categorie più duramente umiliate e
ferite dal progresso, le domestiche, ad esempio.
L'aristocrazia
torinese riconosceva alle domestiche il diritto di trascorre gli anni della
inabile vecchiaia nelle case in cui avevano servito da giovani. La nuova
classe, illuminata e formata all'egoismo dal pensiero utilitarista, metteva
sulla strada le domestiche (le serve) non appena esse manifestavano
segni di inabilità al lavoro. E Faà di Bruno procurava loro un dignitoso asilo,
sottraendole alla triste condizione del vagabondaggio mendicante.
Accanto
alla chiesa della sua congregazione, Faà di Bruno fece costruire a gloria di
Dio un campanile alto ben ottanta metri. La volontà di glorificare il Signore
non era dissociata dall'intenzione di giovare ai poveri: in cima al campanile
era collocato un grande orologio, visibile da tutti i quartieri della Torino di
allora: la finalità di tale costruzione era rendere visibile l'ora esatta agli
operai (che quasi mai possedevano un orologio) e in tal modo ostacolare gli
eventuali tentativi della classe padronale di allungare fraudolentemente il
tempi dell'attività lavorativa.
r
La straordinaria efficacia degli interventi
cattolici intesi a mitigare i disagi prodotti dalla rivoluzione liberale,
dipende dalla vita dei sacerdoti, improntata alla incrollabile certezza del
primato dello spirituale e sostenuti dalla nobiltà illuminata della marchesa di
Barolo.
La
Chiesa del Piemonte non era disturbata e afflitta da quella sindrome buonista
che, ai nostri giorni, aggiunge ai piatti della solidarietà l'insipido sale
dell'ecumenismo a tutto giro. Il clero torinese aveva conquistato le
posizioni dell'avanguardia sociale senza mai abbassare la bandiera dei primato
dello spirituale.
Le
magnifiche opere sociali di San Giovanni Bosco (1815-1888), vertice della
splendida storia scritta dalla Chiesa italiana nel secolo tormentato da
massoneria, liberalismo e socialismo,
costituiscono il modello di un sacerdozio, che osava anteporre la
santità al successo nella breve vita, l'oratorio alla cucina, il confessionale
alla scuola, la devozione alla laboriosità, la preghiera all'azione.
Improntate
dal riconoscimento di tale gerarchia, le opere di San Giovanni Bosco, attuarono
una vera rivoluzione silenziosa, esercitarono un benefico influsso nella vita
sociale e infine obbligarono i capitalisti torinesi a sopportare il peso (per
loro molesto) delle concessioni ai diritti dei lavoratori.
Refrattario
alle tentazioni del clero capitolardo, che facevano presagire
l'insorgenza nefasta di americanismo, modernismo, buonismo e contraffatto
ecumenismo, San Giovanni Bosco "si rese conto che era necessario
rafforzare la stampa cattolica, sia per sostenere una formazione cristiana in
direzione delle diverse età, sia per aver in mano uno strumento in grado di
fronteggiare l'estendersi dell'azione degli evangelici [e i massoni],
allineati su posizioni fortemente critiche verso la Chiesa cattolica".
Al
proposito Guiducci cita le istruzioni anticlericali emanate dall'Alta Vendita
Italiana nel 1819: "Una volta che la vostra buona reputazione sia
stabilita nei collegi, nei ginnasi, nelle università, nei seminari, una volta
che abbiate catturato la confidenza di professori e studenti, fate in modo che
a cercare la vostra compagnia siano soprattutto quanti sono arruolati nella
milizia clericale. Si tratta di stabilire il trono degli eletti sul trono della
prostituta di Babilonia".
Irriducibile
all'ingiustizia liberalista Don Bosco non era contrario al progetto per
l'unità d'Italia: "verso tale espressione, che proveniva da un sincero
sentimento patriottico, don Bosco non pose mai ostacoli. Egli, al contrario,
volle accentuare un ruolo di promozione umana che, per sua natura, non poteva
esser legato a ideologie e a deliberazioni politiche".
Fino
all'ultimo respiro don Bosco continuò la sua eroica battaglia contro
l'ingiustizia al potere e tuttavia impedì risolutamente che la sua azione.
conforme alla carità, oltrepassasse il confine della religione per smarrirsi
nel seducente e avvolgente territorio della politica.
Avversato
e calunniato dal giornalismo massonico ebbe invece un rapporto sempre limpido e
non sempre infelice con l'autorità politica, personificata da liberali n(Cavour
e Rattazzi, ad esempio) ai quali l'origine familiare sconsigliava la sequela
del settarismo furente e demente.
Il
profilo del santo magistralmente tracciato da Guiducci è un'opportunità offerta
ai cattolici alla ricerca del confine che separa la misericordia dalla
demagogia e la socialità cristiana dalla beneficenza pelosa. Un confine sul quale può rinascere l'azione
politica dei cattolici traditi dagli acrobatici partiti di stampo progressista.
Piero Vassallo
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