Un geniale e instancabile studioso italiano,
Valentino Cecchetti, nel 2007
ha pubblicato "Il socialismo magico in Giacomo
Noventa e Adriano Olivetti" e nel
2012, per i tipi dell'editore Marco Solfanelli, "Giacomo Noventa. L'errore
della cultura italiana", due saggi che svelano il curioso accoppiamento di
scienza illuminata e caliginoso magismo nell'ideologia riformatrice elucubrata
dai promotori del movimento "Comunità".
A
indiretta conferma delle tesi di Cecchetti esce ora, nella collana "micromegas"
delle edizioni Solfanelli, un saggio di Mario Sammarone, "Il mito della
sociologia. Intervista a Franco Ferrarotti", in cui si legge la
puntuale ammissione dell'influsso di abbacinanti suggestioni misteriche e di
striscianti mitologie regressive nella scuola sociologica di Ivrea.
Ferrarotti,
erede e interprete del pensiero di Olivetti, infatti, misura la tecnica sul
metro del pensiero volante verso le
nuove e doppie frontiere della rivoluzione.
All'intervistatore,
che gli ha proposto un paragone tra il movimento di Olivetti e il futurismo,
Ferrarotti replica indicando il versante umbratile della tecnologia:
"Marinetti ha scritto qualcosa: esaltava la macchina con le sue qualità,
tuttavia non si rendeva conto della disciplina della macchina. Certo, il
momento dell'innovazione tecnica ti rende più libero, basti pensare
all'introduzione delle macchine nei lavori dell'industria o dell'agricoltura
che sollevano l'uomo dalle fatiche, per non parlare delle performances ed
emancipazioni della vita pratica che un telefono cellulare consente. Ma nello
stesso tempo la macchina ti svuota, ti impoverisce dell'esperienza,
l'esperienza che è propriamente umana".
Accertata
l'invasività dell'esperienza tecnocratica, Ferrarotti indica la via d'uscita
nella critica radicale al sistema capitalistico: "Il modo di produzione
capitalistico è la massimizzazione del profitto nel più breve tempo possibile.
Ora fin quando avremo del profitto una concezione riduttiva, per cui esso si
traduce soltanto in un vantaggio monetario che attraverso i dividendi va ad
alimentare i conti in banca degli azionisti privati, fino a quando noi
riterremo che i dirigenti industriali e gli operatori finanziari abbiano come
unico termine di obbligazione etica la remunerazione degli azionisti privati,
il cosiddetto private banking, evidentemente avremo questa spasmodica
tensione verso l'aumento della crescita indipendentemente dal profitto".
A prima
vista l'obiezione di Ferrarotti al capitalismo frenetico e vampiresco
appare in qualche modo compatibile con le idee esposte da Pio XI nell'enciclica
Quadragesimo anno, indicazioni recepite dalla scuola costituita nella
Normale di Pisa da Giuseppe Bottai e Carlo Costamagna.
Se non
che Ferrarotti indica una diversa e non razionale fonte del progetto di riforma
economica da lui concepito in continuità con il pensiero di Olivetti:
"Come uscire da tutto questo?" si domanda. E indica la fonte
ideologica di un radicale progetto di rivoluzione: "l'opera di Georges
Bataille può offrire notevoli spunti di riflessione. Georges Bataille era uno
scrittore francese [in realtà un surrealista, furente/ripugnante pornografo,
autore de "L'ano solare", opera di un depravato che riuscì nella non
facile impresa di scandalizzare Jean Paul Sartre, che di Bataille propose la
caricatura feroce che si legge nella raccolta Le mur, ndr] che si interessò di
economia politica e negli anni Cinquanta produsse un poderoso studio sulle
civiltà storicamente determinate alla luce del problema della produzione
eccedente. Rileggere oggi la sua opera può mostrare inedite prospettive di
sviluppo, che possono far dirottare le forze più sane della società - forze che
malgrado tutto hanno portato alla creazione di questa civiltà e quindi forze
molto potenti - verso sbocchi di maggiore armonia sociale e coesione tra gli
uomini".
Quale
segreta forza spinga uno studioso della statura di Ferrarotti ad attingere
nella pozzanghera di Bataille non è dato sapere. Certo è che la dottrina
economica di Bataille si riduce a un rovente/devastante delirio regressista:
"Secondo lo scrittore (afferma Ferrarotti) l'umanità e il suo pianeta,
l'organismo vivente, hanno una quantità di energia disponibile superiore alla
necessità di sostentamento e la crescita economica avviene quando c'è un
eccedente di produzione. Ogni società ha utilizzato questo sovrappiù di
ricchezza in maniera peculiare trasformandola in caratteristica struttura
sociale: il surplus produttivo e il suo utilizzo sarebbero la matrice più
riposta di ogni civiltà a cui Bataille da appunto il nome di parte maledetta".
Bataille
rammentava che le popolazioni più antiche della terra "dissipavano questa
eccedenza attraverso il potlac, un mezzo di circolazione di risorse che
avveniva durante una festa attraverso la dissipazione - la dépense
come direbbe Bataille - di una enorme quantità di ricchezza".
Animati
da tale convinzione i capi degli antichi clan potevano far distruggere un
intero raccolto "al fine di umiliare i capi rivali per manifestare così la
loro superiorità".
Il rito
demenziale celebrato dai megalomani al potere in alcune tribù antiche dunque è
proposto quale criterio atto a preparare la soluzione dei problemi posti dal
capitalismo.
Bataille
si spingeva fino al punto di esaltare la società degli Aztechi che "ogni
anno sacrificavano migliaia e migliaia di uomini in un'ecatombe offerta al dio
sole".
La
decrescita dell'economia mediante lo spreco e il sacrificio umano in definitiva
sono proposti quali correttivi al capitalismo.
Sembra
che Ferrarotti, benché dotato di uno sguardo penetrante, non veda che la
soluzione proposta da Bataille coincide con il piano regressista/tanatofilo,
concepito e portato avanti dal più infame e tenebroso
capitalismo/mondialismo, la mostruosa macchina politico-finanziaria, che
ultimamente promuove la dolce decrescita, una disgraziata, feroce
utopia, che contempla il sacrificio - l'ecatombe, il potlac - di milioni
di nascituri e di giovani coinvolti in guerre insensate.
La tranquilla e dotta
circolazione del delirio neo-ideologico completa uno scenario incuboso, segnato
dai bagliori (apocalittici?) delle guerre, delle spaventose epidemie e della
indomabile crisi economica.
Piero Vassallo
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