Unita
e cattolica
L'unica, difficile via
percorribile dai tradizionisti italiani
Una
imparziale lettura dei documenti e delle testimonianze sul Risorgimento, ossia
una ricerca finalizzata all'acquisizione di notizie dimenticate o sottostimate
o censurate dalla storiografia liberale e/o progressista, è lecita ed
apprezzabile, purché compiuta con scrupolo e rigore nelle competenti sedi, (con
ovvia esclusione delle sedi dei partiti politici, normalmente adibite ad
ospitare altre attività).
Incomprensibile,
antistorico, deleterio e potenzialmente rovinoso è invece il progetto
para-politico e para-scientifico finalizzato a confutare i fondati motivi
dell'unificazione dell'Italia e a preconizzare - giubilando - lo smembramento
dello stato nazionale.
Sulla
Patria italiana, infatti, incombe oggi il peso sgradevole della pedagogia
ferocemente - invertitamente - bacchettona, mediante cui il potere
europeo tenta di rovesciare nella nostra società il furore sonnambolico,
narrato da Robert Wiene, il regista dell'inquietante e quasi profetico film,
"Il gabinetto del dottor Caligari".
I
fautori della disunità d'Italia non hanno compreso che il progetto maltusiano gira
nella direzione di quel potere post-ideologico, che prepara la capitolazione dell'umanità ai profeti
di un'utopia sedicente virtuosa, che nasconde maldestramente la volontà di
regredire.
Gestito,
purtroppo, da una classe politica, equamente divisa tra lanciatori di
coriandoli destri e seminatori di sinistre suggestioni libertine
& caligariane - due patetiche/grottesche oligarchie, convergenti nella
inadeguatezza a resistere efficacemente al cimiteriale totalitarismo europeo -
lo stato italiano produce, nella
maggioranza dei cittadini, l'insorgenza di un'angoscia rancorosa e di un
disagio incubante stati d'animo vandalici.
I
tradizionalisti anti-unitari, in rotazione nel vortice disperato, sono
[ciecamente] favorevoli al potenziamento delle autonomie regionali,
"introdotte in Italia dalla costituzione della repubblica
antifascista".
In
poche e ruvide parole: il sonno della ragione tradizionalista approva e gonfia
i fantasmi di uno stato d'animo, che cerca rifugio
nell'incremento/moltiplicazione delle dense nebbie anti-unitarie alzate dal
regionalismo scialacquatore, che è stato attuato in conformità ad uno fra i più
infelici articoli della costituzione italiana.
E'
peraltro evidente che, ove lo stato unitario fosse smembrato e ridotto al
desiderato coacervo di micro-repubbliche, i disagi prodotti dall'umiliante e severa
ideologia europea sarebbero moltiplicati. Ed è
pacifico che l'accrescimento delle severe correzioni ridurrebbe
ai minimi termini la speranza in una futura uscita dall'invasiva e incubosa
ideologia eurocratica.
Di qui
l'urgenza di esaminare criticamente e infine di confutare gli argomenti usati
dai tradizionalisti/revisionisti (fra i quali si contano perfino alcuni
monarchici sabaudi) al lavoro inconsapevole nella fabbrica dell'eversione.
Un
cospicuo contributo alla revisione della revisione è ora offerto da
Paolo Pasqualucci, autore di un magnifico, convincente saggio, Unité italienne:
histoire et controverses, pubblicato nel n. 124 (estate 2014) della prestigiosa
rivista "Catholica".
Pasqualucci
non nega l'ispirazione anticlericale di alcuni attori del risorgimento e
tuttavia sostiene, con argomenti inoppugnabili, che l'unità politica è un bene
dalla cui storica mancanza gli italiani ebbero secolari sciagure e brucianti
umiliazioni.
L'ideologia
disunitaria, oltre tutto, è alimentata da una insufficiente e
talora tendenziosa/fuorviante lettura
della storia italiana pre-unitaria.
Saggiamente
Pasqualucci, prima di entrare nel vivo dell'argomento, rammenta i fatti non
conosciuti o non seriamente considerati dai denigratori dell'unità.
Ad
esempio, rammenta che l'inizio dell'infelice storia disunitaria ha
lontana origine dalla megalomania di Giustiniano "l'imperatore d'Oriente
che voleva riconquistare tutto l'Occidente senza disporre della necessaria
forza militare".
La
lunga e spietata guerra (d'intonazione reazionaria, diremmo oggi) condotta dai
Bizantini contro i Goti (535-553) fu vittoriosa ma avvelenata dall'abolizione
delle sagge riforme attuate dal re Totila in vista della formazione di una
classe di piccoli proprietari terrieri.
La
fittizia e fragile unità stabilità in Italia dai generali bizantini Belisario e
Narsete andò in frantumi quando (568) si affacciarono ai confini orientali i
Longobardi. I nuovi invasori, a differenza dei Goti "non riuscirono ad
occupare l'intera penisola, benché l'Italia fosse debilitata e sconvolta dalle
precedenti guerre".
Il
potere dei Longobardi disgraziatamente si stabilì sopra il sistema bizantino
dei ducati, "stabilendo perfino nella mentalità degli abitanti la funesta
divisione che per secoli tormenterà la nostra Patria".
In
quella congiuntura storica, rammenta Pasqualucci, "cominciarono a mettere
radici quei difetti del carattere nazionale che non siamo riusciti a dominare
dopo cento cinquanta anni di unità - il particolarismo, la faziosità, la
mancanza di senso dello stato,
l'indisciplina, l'anarchia di fondo, il complesso d'inferiorità nei
confronti degli stranieri, la mancanza di fiducia nei nostri mezzi,
l'abulia".
Pasqualucci ovviamente non nasconde la sua opinione
sull'esorbitanza del potere papale: agitato dal timore che l'Italia unita
diventasse un ostacolo alla sua libertà d'azione, perseguì quella estensione
dello Stato vaticano che divise l'Italia in due.
Di qui
la formulazione di un giudizio del quale dovrebbero tener conto gli studiosi,
che si accingono ad affrontare il problema dell'unità nazionale: "Se la
Chiesa non si fosse opposta per la durata di tanti secoli, l'unità italiana
(doverosamente rispettosa del Patrimonio originale di San Pietro) si sarebbe
realizzata molto prima, quando l'Europa
era ancora cattolica".
La dignità
dell'Italia pre-unitaria, peraltro, è una ridicola chimera: Pasqualucci, al
proposito, rammenta la vergognosa sottomissione dei genovesi al bombardiere
Luigi XIV e l'attribuzione dei ducati di Toscana e di Parma a dinastie
straniere.
Infine
è svelato il vero motore della passione antiunitaria, nutrita dai
tradizionalisti: la contrarietà all'Italia unita "si nasconde dietro il
mito del complotto massonico, causa di tutti i mali del mondo: l'unità d'Italia
è il frutto di un complotto massonico dunque è cattiva in sé e pertanto deve
essere annientata".
In
realtà tra le potenti nazioni europee non ci mai fu un accordo sull'eventuale
unificazione d'Italia. Nelle classi dirigenti europee, nelle quali, prevalevano
gli esponenti della massoneria, nessuno era favorevole all'unità d'Italia.
Il gran
maestro della massoneria, Joachim Murat, nel 1808, rammenta Pasqualucci, fu
posto sul trono del regno di Napoli da Napoleone I. "Napoleone III non desiderava
l'unificazione dell'Italia, che riteneva contraria agli interessi
francesi".
Dal suo
canto il governo inglese non desiderava l'unificazione italiana, un evento che
avrebbe fatto emergere un potenziale concorrente nel Mediterraneo.
Pasqualucci
rammenta inoltre che, agli occhi della gioventù italiana, la massoneria era
screditata a causa della servile collaborazione che gli iniziati prestarono al
detestato governo di Napoleone I.
"Forse
è il momento di liberare la mente degli italiani dall'ingombrante stereotipo
dell'unità quale risultato di un complotto massonico europeo contro la Chiesa e
di riflettere sull'esistenza di validi argomenti alla radice dell'ispirazione
dei patrioti".
Quando
al papa Pio XI fu chiaro che la Chiesa poteva coabitare con l'Italia unita
caddero i sostegni di un pregiudizio ormai vivente solo nei testi di un
tradizionalismo consacrato all'irrealtà.
Quasi
alludendo all'inclinazione del tradizionalismo anti-italiano alla assunzione
dei pregiudizi che hanno segregato venti
anni di storia nazionale nella soffocante parentesi inventata da Benedetto
Croce, Pasqualucci riconosce coraggiosamente "che il regime fascista ha
ristabilito il rispetto e la protezione per la religione degli italiani: ha
introdotto l'insegnamento della religione nelle scuole e riconosciuto la
validità civile del matrimonio religioso"
r
L'implicito (e talora dichiarato) cedimento al
dogma antifascista è la spia della debolezza in confusionaria azione tra le
righe della cultura anti-unitaria.
Le
scuole di pensiero (laiciste, clerico-progressiste, post-comuniste e iniziatiche)
invitano a calunniare la vera tradizione degli italiani ed esibiscono il mostro
fascista, quale giustificazione inoppugnabile della inaccetta-+bilità
dell'intesa tra Italia unita e Chiesa cattolica.
Di qui
il vento impetuoso che gonfia le vele della chiacchiera europeista a destra,
fruscio che avanza imperterrito nella direzione indicata dai nichilisti
(pensatori e banchieri) attivi nell'America post-sessantottina.
Il
tentativo di formulare un equilibrato giudizio sul fascismo (ma sarebbe meglio
dire sulle diverse culture del fascismo italiano) in questa sede sarebbe fuori
luogo.
Opportuno
è invece ragionare sullo scivolamento di alcune scuole d'indirizzo tradizionale
verso il disprezzo astioso della storia l'Italia e l'orrore per tutto ciò che è
vagamente riconducibile al mostruoso, intoccabile fascismo.
Si
tratta di uno stato d'animo ubriacante e disorientante, che fu inoculato dal
Pci (si pensi all'infame lettera di
Togliatti sui soldati italiani prigionieri nel Gulag sovietico e alla dichiarata
condivisione della rivendicazione titina di Trieste) e rafforzato dalla
sinistra europeista e dal radical-chic.
Non si
avvia la legittima critica degli errori presenti nelle culture del fascismo,
non si tenta, ad esempio, la confutazione del neo-idealismo e dell'esoterismo -
ma si propala un ottenebrante giudizio di stampo manicheo, che insieme
all'acqua sporca (gli errori) getta il bambino (l'unità d'Italia
rafforzata dai Patti lateranensi).
Chi ascolta le voci flebili dei vescovi cattolici
di scuola buonista, è in grado di misurare il pericolo rappresentato dalla
dialettica sonnambolica, che oppone i papi cattivi (Pio XI e Pio XII,
anti-modernisti, accusati di filo-fascismo) ai papi buoni, che abbandonarono -
alla luce abbagliante dell'ecumenismo e/o del mondialismo - la tradizione che
l'urlo da sinistra giudicava inquinata dall'amor di Patria, condiviso (ohibò!)
con i fascisti.
Nella
predica dei tradizional/buonisti l'opportunistica avversione all'amor di Patria
(contaminato dall'orrendo fascismo) circola inavvertita nei pensieri di
coloro - i normalisti - che non sono capaci di misurare il grado di
decomposizione raggiunto dal progressismo cattolico.
Il
pregevole saggio di Pasqualucci indica una via d'uscita dalle contraddizioni,
che tormentano, vanificano e paralizzano le buone ragioni della scuola
tradizionalista e della politica italiana.
Piero Vassallo
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