Giampaolo
Pansa, autore
della
voluminosa, talora romanzata e intimista,
tuttavia
appassionante Contro
storia d'Italia,
pubblicata in Milano dalla Biblioteca storica del Giornale,
si
chiede,
ora
fingendo una fondata ansietà ora riconoscendo l'inesistenza di una
destra pericolosa:
“Nell'Italia del Duemila può presentarsi l'avventura autoritaria
di un nuovo Benito Mussolini?”
La
taciuta ma trasparente finalità del saggio, infatti, è avvertire
gli svagati e rilassati connazionali del non del tutto remoto
pericolo di una ripetizione (in chiave libertaria ovvero sodomitica)
della (sognata) rivoluzione social-comunista e della (improbabile)
controrivoluzione di sano stampo reazionario. Pericoli
remoti, che lo sguardo impietoso di Pansa intravede nelle oscure
passioni, che si agitano nei disagi e nei malumori, in atto nelle
cantine della giovanile effervescenza.
Pansa
legge il futuro, oggi non incombente, nella tesi, secondo cui
Mussolini destò – nei c. d. ben pensanti - la convinzione che il
fascismo avrebbe allontanato dagli italiani “la paura di
finire dentro qualche sparatoria”.
Timore, che – in anni segnati dalla sanguinaria ma applaudita
rivoluzione sovietica – sembrava ed era non priva di serio
fondamento.
L'irragionevole,
violenta effervescenza giovanile, oggi in atto nell'area della
sinistra non confutata e tanto meno repressa dalla miopia al potere,
ci aiuta a capire le lontane (e
purtroppo non irripetibili) cause della catastrofica e rigettata
insorgenza dei socialisti estremi contro l'Italia,
festante a
Vittorio Veneto, ma afflitta da una scivolosa
crisi politica.
Al
proposito Pansa rammenta la spensante/incapacitante miopia dei
politicanti socialisti, incapaci di vedere la progettata soluzione
totalitaria, in direzione della quale marciavano gli inflessibili e
imperterriti comunisti: “Nell'estate del 1919, il Partito
socialista ordinò in molte province italiane uno sciopero generale
in difesa della Russia sovietica e della Repubblica comunista di
Ungheria, quella di Béla Kun, un esperimento assurdo, che stava già
tirando le cuoia”.
L'allarme
destato dagli ammiratori della rivoluzione russa incrementò il
consenso attribuito dai moderati italiani al partito nazionale
fascista. Gli italiani che votarono in occasione del plebiscito, che
si svolse il 24 marzo del 1929, attribuirono al partito fascista
addirittura il 98,4 per cento dei voti. Tale consenso era motivata
dal desiderio di vedere stabilita la tranquillità nell'ordine. Pansa
fa dire a un personaggio del suo racconto che molti italiani erano
convinti che, grazie ai fascisti, “in Italia è tornato
un po' di ordine e questo ci aiuterà a vivere senza la paura di
finire dentro qualche sparatoria”. (Attesa
purtroppo delusa dalla controversa vicenda del
fascismo italiano).
Secondo
Pansa, nondimeno, la controrivoluzione fascista era un falso e
inaccettabile rimedio al male, minacciato (con parole e atti
esemplari) dai
promotori della rivoluzione comunista. E al proposito l'autore cita
(a sostegno della sua opinione) l'affermazione di un immaginario
giornalista del quotidiano Il Popolo d'Italia”, il
quale confessava di “aver visto da vicino quale nido di
vipere fosse il vertice del fascismo”.
Vipere (ma questo Pansa stenta a
riconoscerlo) generate e nutrite dall'allarme destato dalle notizie
sanguinarie, in arrivo dalla Russia sovietica.
Pansa
rammenta infine la motivazione del consenso prestato ai fascisti dai
meno abbienti e fa dire a un indigente, protagonista del suo romanzo,
che, per merito di Mussolini, “in Italia è tornato un
po' di ordine e questo ci aiuterà a vivere senza la paura di finire
dentro qualche sparatoria”.
Purtroppo
il governo fascista, dopo un periodo di incontestabili successi, non
poté (o non volle) resistere alla devastante suggestione, emanata
dalla surreale destra germanica, intorno al mito del sangue
e alla catastrofica
fantasticheria di partecipare – vittoriosamente - alla seconda
guerra mondiale.
Non
si può escludere tuttavia la tesi, non del tutto romanzesca, che
contempla la sollecitazione, rivolta a Mussolini dagli
anglo-francesi, di intervenire nel conflitto, al fine di condividere
(e in ultima analisi di attenuare e frenare) l'allora vincente e
furente azione della Germania nazista. Una esortazione azzardata e
infelice, che ha esposto l'Italia al vento della guerra catastrofica,
causa dell'irreversibile declassamento della nostra nazione e del
tramonto del nostro prestigio.
Piero
Vassallo
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