venerdì 12 febbraio 2016

Fini, dopo il disastro la comparsata

 Durante la terza puntata dell'omofilo Festival di Sanremo, un sorridente e spocchioso Gianfranco Fini si è seduto, quasi in veste di morto politico vivente, alla tavola rotonda programmata, alla stregua di tappo, dai giornalisti della televisione di Urbano Cairo, intenzionati a far trascorrere nel vano e nel fatuo una serata invasa dalle canzonette.
 La presenza dell'uomo politicamente squalificato dalla capriola a sinistra, aveva lo scopo d'incensare il malinconico destino della congiura quirinalizia, che ha sprofondato nel ridicolo la destra italiana.
 Naturalmente non ho ascoltato le parole pronunciate dal fantasma apparso sul teleschermo a seguito di una mia infelice pressione sul tasto sbagliato.
 Assorbito dalla vischiosità storica, il guitto che fu protagonista della comica finale scritta e messa in scena dal demiurgo Giorgio Napolitano non ha più niente di serio da dire.
 Mentre il telecomando allontanava la desolante e grigia figura di Fini, non ho potuto fare a meno di pensare all'ostinata cecità del capocomico Giorgio Almirante (cecità diagnosticata puntualmente dall'ex deputato Italo Bocchino, in un memorabile articolo pubblicato nel quotidiano di Roma Il Tempo).
 Almirante, che aveva rinunciato ad un luminoso destino di letterato per gettarsi in una disastrosa e sgangherata vicenda politica, fu inventore, apologeta e promotore della squillante nullità del futuro “ragazzo spazzola” di Napolitano.
 Purtroppo la stortura mentale non abbandona la mente post fascista. E' infatti evidente che il destino della destra contempla il suggello della infelice catena attiva nel circolo dell'urlo a vocazione insignificante, luogo nel quale si agitano ultimamente i reduci dalla infelice impresa finiana: Carla Meloni, Ignazio La Russa, ecc.
 Per valutare seriamente la patetica escandescenza dei reduci dalla catastrofe finiana è necessario rammentare il salto nell'utopia che il Msi ha compiuto al fine di liquidare la politica realistica di Arturo Michelini.
 Il Msi di Michelini, infatti, manteneva il profilo basso suggerito e imposto dal voto dello stretto 5% degli elettori italiani. Dal profilo basso Michelini aveva tuttavia ottenuto, dopo le elezioni del 1953, la legittimazione del suo sostegno ai governi democristiani (di Antonio Segni e Adone Zoli) costituiti per scongiurare l'apertura a sinistra, in allora oggetto della contrarietà del Vaticano.
 L'uscita del Msi dallo stretto ma vitale spazio politico ottenuto quando i suoi voti furono indispensabili alla Dc, avvenne nel 1960, a Genova, dove si doveva celebrare il congresso della legittimazione.
 Il Pci, spaventato dall'eventualità di una svolta che avrebbe spiazzato tutta la sinistra, inscenò una violenta manifestazione contro il congresso missino, avanzando il pretesto che la sua sede era prossima alla lapide, che celebrava i partigiani caduti durante la guerra civile.
 Il luogo della insorgenza comunista era inattaccabile dalla polizia a causa della vicinanza con i carruggi, facile rifugio offerto agli agitatori in fuga dopo il lancio di sassi e/o di bombe Molotov.
 Ferdinando Tambroni, capo del governo felicemente in carica grazie anche al voto missino, pertanto chiese a Michelini di accettare il trasferimento del congresso in una sede difendibile. Se non che Almirante insorse contro la ragionevole proposta, obbligando Michelini a sospendere il congresso e infine ad allontanare il Msi dall'area del potere.
 Di qui la lunga e umiliante storia dell'emarginazione missina. Vicenda interrotta da Silvio Berlusconi, continuatore – in qualche modo – dell'apertura a destra decisa da Tambroni.
 Si suole dire che la gratitudine non è una virtù politicante. Tuttavia è impossibile disconoscere l'assurdità autolesionistica della rivolta contro gli alleati che hanno fatto uscire il Msi dal ghetto. A imitazione della insorgenza almirantiana contro Tambroni, Fini (obbedendo a Napolitano) ha attuato la rivolta contro Silvio Berlusconi, avviando il lungo letargo della destra.
 Il ritorno di Fini sulla scena politica è una eventualità destinata ad incontrare ed incentivare la pochezza della Meloni e del suo barbuto superiore. La devastazione e la dissoluzione della destra è all'orizzonte. La desolante baruffa romana è un segnale inconfondibile della insignificanza a destra.

 Non tutto il male della dissidenza vien per nuocere tuttavia, dal momento che ridimensiona i figli e i nipoti di Almirante portatori di un virus invincibile, che produce la paralisi del pensiero e dell'azione politica.

Piero Vassallo

1 commento:

  1. A PROPOSITO DI CECITA' POLITICA

    Bisogna anche ricordare il grave errore fatto da Fini (credo sia stato lui il principale responsabile) quando ha portato Alleanza Nazionale dentro il partito di Berlusconi, nel quale alla fine si e' dissolta. AN doveva restare indipendente, come partito, mantenere il suo profilo, le sue caratteristiche, anche se diluite dopo la cosiddetta "svolta di Fiuggi", che faceva vedere un Fini colta da illuminazioni sulla via di Damasco della democrazia. Historicus

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