sabato 27 febbraio 2016

IL PERDURANTE EQUIVOCO SULLA “RELIGIOSITA’” DI EINSTEIN, scienziato cui si vuol attribuire una grande fede in Dio mentre credeva solo nella razionalità di una Natura increata (di Paolo Pasqualucci)

SOMMARIO:  1. Per Einstein il “miracolo” è in realtà il “mistero” dell’armonia di una Natura increata.  2.  Il deismo filosofico non rientra nei riconoscimenti del Concilio Vaticano Primo alla ragione umana.  3.  Il panteismo di Einstein misconosciuto da Socci.  4.  L’esplicito e sprezzante rifiuto einsteiniano della religione rivelata, del “Dio personale”.  5.  Le due pubbliche professioni di fede nel “Dio di Spinoza” da parte di Einstein.  6. La singolare “religione cosmica” di Einstein, che divinizza la scienza.  7. La penetrante critica di Lydia Jaeger al panteismo di Einstein.  8. La “religione cosmica” di Einstein forma di naturalismo che attenta sia alla religione che alla scienza – Una domanda di chiarimento a proposito della nuova scoperta, sullo “spazio curvo”.  

Sull’onda dell’emozione suscitata dal recente annunzio della scoperta delle “onde gravitazionali”, che dimostrerebbero la validità della teoria generale della relatività del grande scienziato, cioè della sua teoria della gravitazione escludente la newtoniana nozione di “forza attrattiva istantanea a distanza”, sostituita da quella di “curvatura dello spazio pieno di materia-energia” ove la gravità sarebbe una semplice modificazione della curvatura o variazione nella densità dell’universo, rappresentata appunto da fenomeni fisici quali le c.d. “onde gravitazionali”, onde di energia emananti per esempio (come ci hanno  detto) dalla collisione apocalittica di due “buchi neri”;  sull’onda della giusta emozione per la grande scoperta (per ora non ancora contestata da scienziato alcuno), la quale grande scoperta ci fa apparire ancora una volta l’armonia dell’universo e delle leggi della natura, Antonio Socci ha pubblicato sul suo blog, Lo Straniero,  il 14 febbraio scorso un articolo di tre pagine intitolato: “Einstein e la prova razionale dell’esistenza di Dio (onde gravitazionali e dintorni)”.
Che da questa proclamata scoperta si possa ricavare ulteriore conferma dell’ordine razionale della natura e conseguentemente dell’esistenza di Dio, ciò è perfettamente legittimo.  Meno legittimo appare, al contrario, il tentativo di servirsene per riproporre ancora una volta, sia pure con le migliori intenzioni, quello che altro non è se non un equivoco, sul quale si è costruito da tempo un vero e proprio mitola supposta fede di Einstein in Dio, Einstein uomo di fede che vedeva Dio dietro l’ordine razionale della natura.  Nella sua vita privata, Dio lo vedeva un po’ meno, visto che non ammetteva l’esistenza di un Dio personale nè tantomeno riconosceva la validità di un’etica basata sulla Rivelazione: e difatti fu un incorreggibile cacciatore di gonnelle – come si diceva una volta – nonostante si fosse sposato due volte[1].  Ma procediamo con ordine.
Bisogna infatti chiedersi:  nei passi nei quali si tratta di Dio, riportati da Socci, Einstein a quale Dio si riferisce?  Al Dio trascendente delle religioni rivelate?  In nessun modo:  il suo è sempre apparso un deismo di tipo spinoziano, come tale da sempre considerato una forma più o meno consapevole d’ateismo.  Nell’articolo di Socci il panteismo di Einstein viene negato in modo reciso, con il risultato che il lettore potrebbe erroneamente pensare che il Dio nel quale avrebbe creduto Einstein, se non il nostro Dio sarebbe  comunque stato un Dio creatore dell’universo, nella tradizione monoteistica dell’Ebraismo.   Ma seguiamo l’esposizione di Socci.  

1.  Per Einstein il “miracolo” è in realtà il “mistero” dell’armonia della Natura increata 
A proposito del fatto che il cosmo risulti strutturato proprio come previsto nella matematica delle equazioni dei fisici teorici (di quelli del calibro di un Einstein), Socci ricorda che, per la scienza fisica, il cosmo, “è governato proprio da quella stessa ferrea razionalità matematica che la nostra mente elabora in astratto”.  E questo, sottolineava Einstein in una celebre lettera del 1952 ad un suo amico, è un vero e proprio “miracolo” oltre che un “eterno mistero”.   Un “miracolo” è anche l’esistenza di un universo ordinato al posto del caos.  Sbagliano, pertanto, “positivisti e atei di professione” che, oltre agli dèi, “hanno spogliato il mondo anche dei miracoli”.   In questa lettera, Einstein respingeva dunque l’ateismo dei fanatici “professionisti dell’ateismo”.  Tuttavia, la nozione di “miracolo” da lui utilizzata non appare intesa nel senso del Cristianesimo, quale eccezione di origine sovrannaturale alle leggi della natura stabilite dal Creatore, il medesimo che opera il miracolo.  Qui il “miracolo” è tale in senso generico, vago, equivalente a “mistero”:  è fatto degno di stupore, miracoloso, inspiegabile, che esista un ordine naturale ordinato come lo conosciamo e che la nostra mente sia capace di comprenderlo e di enuclearne le leggi.  In una simile prospettiva, di religioso in senso proprio a ben vedere non c’è nulla; essa esprime unicamente il senso di infinita meraviglia che l’esistenza del cosmo ci procura, così come ce la procurano le capacità della nostra mente di comprenderlo con lo strumento matematico.  (Che la speculazione sulla natura delle cose nasca da un senso spontaneo di meraviglia e stupore di fronte al creato, mi sembra l’abbia comunque già detto Platone).

2.  Il deismo filosofico non rientra nei riconoscimenti del Concilio Vaticano Primo alla ragione umana
Socci cita poi la testimonianza di Anthony Flew, filosofo inglese contemporaneo, scomparso nel 2010, ateo dichiarato convertitosi negli ultimi anni della sua lunga vita al deismo filosofico, grazie (diceva) anche all’esempio di Einstein che, ricordava, “credeva chiaramente in una fonte trascendente della razionalità del mondo, che definì variamente:  mente superiore, spirito superiore illimitato, forza ragionante superiore, forza misteriosa che muove le costellazioni”.  Questa fede einsteiniana, per Socci, “è la conferma di quanto la Chiesa ha affermato nel Concilio Vaticano Primo:  l’uomo con la semplice intelligenza può arrivare alla certezza dell’esistenza di Dio”.  Ovviamente, prosegue Socci, “la fede cristiana è altra cosa:  è la Rivelazione dell’incarnazione del Figlio di Dio, Gesù.  Ma alla certezza razionale dell’esistenza di Dio  si può arrivare con la semplice ragione. Infatti c’è arrivata la più alta mente dell’antichità – Aristotele – e la più alta mente della modernità:  Einstein”.
A prescindere dall’elevazione di Einstein a “più alta mente della modernità”, iperbole che fa sorridere, bisogna osservare quanto segue a proposito degli esempi addotti da Socci.  L’ex-ateo Flew rifiuta tutte le religioni rivelate e in particolare il Cristianesimo (non ammette – al pari di Einstein – un Dio che condanna all’Inferno e per sempre i malvagi), non crede a un Dio creatore dell’universo dal nulla né all’immortalità dell’anima, né ad una vita ultraterrena dopo la morte.  Questa sua fede in Dio non si capisce, pertanto, a quale Dio si riferisca.  In ogni caso non ha nulla di religioso:  il suo Dio è come quello di certi filosofi antichi, per i quali gli dèi non partecipavano in nessun modo alle vicende umane, se ne stavano in beata solitudine al di là delle sfere celesti.  Questo Dio è un’entità astratta, un ente di ragione.  Se è così separato dalle vicende umane e dallo stesso universo (che non ha creato dal nulla), a cosa serve allora, perché averne bisogno come idea?   Un Dio puro ente di ragione viene tirato in ballo come unica spiegazione possibile dell’ordine (chiamato Disegno intelligente) che si vede nella natura tutta e che ad un certo punto si impone al nostro ragionamento:  esso rinvia ad una Mente ordinatrice.  Ma l’ex-ateo, rimasto razionalista, non va oltre:  il suo Dio regna ma non governa[2].  Considerare incapace di “governare” gli uomini una Mente che ha ordinato l’intero universo, non è assurdo?  Ma tant’è…  E a un Dio simile crede in realtà anche Einstein, che ha fatto anche aperta professione di spinoziano panteismo, per quanto Socci cerchi di dimostrare che panteista non era.
Circa il richiamo di Socci al dettato del dogmatico Vaticano Primo, osservo: l’esistenza di Dio che la ragione è capace di stabilire, quando pensa rettamente, è (per il Concilio) pur sempre quella del vero Dio, cioè del Dio creatore, che ha fatto tutte le cose dal nulla.  Le credenze di tipo panteistico, quali il deismo professato in seguito anche dagli Einstein e dai Flew, per il Vaticano Primo rappresentano “un baratro”, quello nel quale ci spingono la “falsa scienza” che la Chiesa ha il dovere di denunciare e combattere[3]

3.  Il panteismo di Einstein misconosciuto da Socci 
Le citazioni di Einstein riportate in via conclusiva da Socci fanno comunque vedere in che cosa effettivamente consista la “religiosità” di Einstein e la sua idea di Dio.  La scienza autentica, scriveva il grande scienziato, deve procedere in base al “convincimento, simile al sentimento religioso, della razionalità ed intelligibilità del mondo […] Tale fermo convincimento, legato al sentimento profondo dell’esistenza di una mente superiore che si manifesta nel mondo dell’esperienza, costituisce per me l’idea di Dio”.  Le leggi della natura “manifestano l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo”.  L’”umile ammirazione” nei confronti di questo “spirito”, costituiva, sottolineava egli, “la mia religiosità”.   Einstein si è sempre mantenuto fedele ai concetti qui riportati, dai quali, conclude tuttavia Socci “ è evidente come non possa esser considerato ateo o spinoziano, cioè panteista.  Lui stesso lo smentì esplicitamente.  “Non sono ateo e non credo di potermi definire panteista. Siamo nella stessa posizione di un bambino che entra in un’enorme biblioteca piena di libri in molte lingue.  Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri.  Non si sa come.  Non si comprendono le lingue in cui sono scritti.  Il bambino sospetta vagamente un ordine misterioso nella collocazione dei libri, ma non sa quale sia.  Questo, mi pare, è l’atteggiamento anche del più intelligente degli esseri umani nei confronti di Dio”.
Socci non cita le sue fonti.  Da dove proviene l’affermazione con la quale Einstein nega di essere panteista?  Ho ritrovato il passo nel quale Socci la inserisce in una delle più recenti biografie di Einstein, che credo tradotta anche in italiano.  Nella versione inglese originale il riferimento al panteismo tuttavia non c’è:  “Credi in Dio?  -- Non sono ateo.  Il problema di cui stiamo parlando è troppo vasto per le nostre limitate menti. Siamo nella posizione di un bambino che entra in un’enorme biblioteca etc.”[4].  È vero che Einstein ha riformulato più volte gli stessi concetti su questo tema in molteplici interventi e dichiarazioni.  Tuttavia, non sono riuscito, forse per mio demerito, a reperire alcuna sua ripulsa del panteismo.  Al contrario, egli ne ha fatto due volte espressa professione, con riferimento esplicito al pensiero di Spinoza quale modello dello stesso.  Nel prosieguo dell’intervista citata, Einstein, dopo aver dichiarato che non credeva nell’esistenza del libero arbitrio, affermava:  “Sono affascinato dal panteismo di Spinoza. Ammiro inoltre il suo contributo al pensiero moderno per esser stato egli il primo filosofo ad aver compreso in unità anima e corpo, non più  due cose separate”[5].
Il famoso storico della scienza Max Jammer, anche lui ebreo, noto in Italia soprattutto per un importante libro sulla storia del concetto dello spazio, amico personale di Einstein, ha dedicato nel 1999 un libro alla religione del celebre scienziato:  Einstein and Religion. Physics and Theology, Princeton University Press.  Di esso ho letto solo un’accurata recensione e una argomentata confutazione.  Che la “religiosità” di Einstein fosse di tipo panteistico-spinoziano, Jammer non sembra comunque metterlo affatto in dubbio.  Egli professava una “religione cosmica”  che Jammer cerca di riannodare in qualche modo alla tradizione giudaica[6].   Einstein ha preso le distanze dagli “atei di professione” (nell’America del tempo era sgradevole anche dichiararsi “agnostico”, qualifica che Einstein si è a volte attribuita in lettere private, considerata l’anticamera dell’ateismo).  Ora, chi professa di credere nel Dio di Spinoza (Deus sive Natura) non è sempre stato considerato ateo, a prescindere dalla sua convinzione di credere effettivamente in Dio?  Se Dio è solo la razionalità immanente nella Natura, allora di Dio in senso proprio, trascendente, non si può più parlare. E se al di là della Natura non c’è niente, non siamo di fatto all’ateismo?
Veniamo adesso alle testimonianze dello stesso Einstein.

4.  L’esplicito e sprezzante rifiuto einsteiniano della religione rivelata, del “Dio personale” 
Nel 1947, sette anni prima della morte, nel tratteggiare uno schizzo autobiografico, ricordò come  da ragazzo avesse svoltato nel “libero pensiero”. 
 “Fin da quando ero un giovane abbastanza precoce, la vanità delle speranze e degli sforzi che travolgono incessantemente la maggior parte degli uomini in una corsa affannosa attraverso la vita, mi aveva colpito profondamente […] La prima via d’uscita era offerta dalla religione, che viene inculcata in ogni bambino attraverso la macchina educativa tradizionale.  Così io – benché figlio di genitori (ebrei) completamente irreligiosi – divenni religiosissimo; ma cessai improvvisamente di esserlo all’età di 12 anni.  Attraverso la lettura di libri di scienza popolare mi ero convinto ben presto che molte delle storie che raccontava la Bibbia non potevano esser vere.  La conseguenza fu che divenni un accesissimo sostenitore del libero pensiero, accomunando alla mia nuova fede l’impressione che i giovani fossero coscientemente ingannati dallo Stato con insegnamenti bugiardi; e fu un’impressione sconvolgente.   Da questa esperienza trassi un atteggiamento di sospetto contro ogni genere di autorità, e di scetticismo verso le convinzioni particolari dei diversi ambienti sociali”[7]
Nel 1931, nello spiegare “come io vedo il mondo”, ribadì di “non credere affatto alla libertà dell’uomo, intesa in senso filosofico. Ciascuno di noi agisce sotto l’impulso di una forza esterna, ma anche secondo una necessità interiore.  Il detto di Schopenhauer:  “Un uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere ciò che vuole”, mi ha vivamente ispirato fin dalla giovinezza”[8].  A questo determinismo Einstein si è mantenuto fedele per tutta la vita. Esso è perfettamente compatibile con la filosofia di Spinoza, autore la cui Ethica egli lesse tra il 1915 e il 1917, come risulta da una lettera alla seconda moglie.  L’opera  lo riempì di ammirazione[9]
Nello scritto del 1931 Einstein spiegò chiaramente il suo rifiuto esplicito e convinto della religione rivelata.
“L’esperienza più bella che ci è dato avere è il mistero della vita; il sentimento profondo che troviamo alla radice della vera arte e della vera scienza.  Ignorarlo, perdere il senso dello stupore e della meraviglia, significa quasi morire, cessare di vedere”. 
Da questo tema, ricorrente in lui, del “mistero della vita” che appare nel mistero della natura, instillandoci la meraviglia che fa nascere il desiderio di indagare questo mistero - tema del quale, come si è visto, si nutre la “religiosità” di Einstein - il genio di Ulm passava tuttavia, come per logica conseguenza, ad attaccare la religione rivelata.  Più esattamente:  risultando il contenuto della sua “religione” dalla percezione del mistero che regna nella natura, a sua volta espressione di un’intelligenza profonda,  Einstein imbastiva su di esso un attacco in piena regola alla religione rivelata.
“È il senso del mistero – misto anche alla paura – che ha generato la religione.  Sapere che esiste qualcosa che ci è impenetrabile, conoscere le manifestazioni dell’intelligenza più profonda e della bellezza più sublime, accessibili alla nostra ragione solo nelle loro forme più primitive, questo forma il contenuto della religiosità.  In questo senso, e soltanto in questo senso, io sono un uomo profondamente religioso. Io non posso concepire un Dio che ricompensa e punisce le sue creature e che esercita una volontà simile a quella che noi sperimentiamo in noi stessi.  Né so immaginarmi e desiderare un individuo che sopravviva alla propria morte fisica:  lasciate che di tali idee si nutrano, per paura o per egoismo, le anime fiacche.  A me basta il mistero dell’eternità della vita, la coscienza e il presentimento della mirabile struttura del mondo in cui viviamo, insieme con lo sforzo incessante per comprendere una particella, per piccola che sia, della Ragione che si manifesta nella natura[10].  
In che senso si considerava dunque “profondamente religioso” Einstein?  Nel senso già visto:  stupore per il mistero della natura e consapevolezza che l’umana intelligenza può penetrarne l’ordine solo “nella sua forma più primitiva”.   In questa “religiosità” non c’è posto per la religione rivelata, che crede in un Dio trascendente e creatore, che per di più ha parlato agli uomini, dettando loro le regole della morale e addirittura incarnandosi nell’individuo storico Gesù di Nazareth.  Questa fede in un “Dio personale”,  in un altro famoso intervento, di taglio nettamente anticattolico, Einstein esortò addirittura ad abbandonarla. 
Intervenendo nel 1940 ad un Simposio americano su “Scienza, filosofia e religione nella loro relazione con il modo di vivere democratico”, dopo aver ribadito la sua nozione di una religiosità come senso del mistero di fronte all’ordine che regna nella Natura e allo Spirito che la pervade, nonché la sua recisa negazione del libero arbitrio nell’uomo (cioè il suo radicale determinismo), aggiungeva:  “Nella loro lotta per il bene in senso etico, coloro che insegnano la religione devono avere il coraggio di rinunciare alla dottrina dell’esistenza di un Dio personale; vale a dire, di rinunciare a quella sorgente di speranza e di timore che in passato ha messo tanto potere nelle mani dei preti”[11].
Fa impressione il sostanziale disprezzo con il quale Einstein parla di chi crede nella vita eterna e in un Dio personale “che ricompensa e punisce”.  Einstein, cresciuto nell’ambiente scettico e razionalista della colta borghesia ebraica tedesca di fine Ottocento, in gran parte allineata alla mentalità positivistica allora dominante in Europa, manifestò sempre nei confronti della religione in senso proprio un atteggiamento di superiorità, da intellettuale emancipato e libero pensatore.  Nel passo ora visto, simile ad altri suoi, colpisce anche la vera e propria professione di fede nei confronti  della “Ragione che si manifesta nella natura”, dall’interno della “struttura del mondo”.  Questa Ragione è il vero Dio, il “Vecchio che non gioca a dadi” della celebre sua battuta contro i sostenitori del principio di indeterminazione:  la razionalità deterministica che costituisce e mantiene tutto l’ordine della natura, eterna e increata.  Pertanto, nella Natura non “si manifesta” la potenza di Dio ma “la Ragione”, come ordine intrinseco ad un Tutto eterno, increato e chiuso in se stesso.  È di fatto la posizione di tanti atei, quella di Einstein, al di là di occasionali quanto generici riferimenti a Dio[12].

5.  Le due note professioni di fede “nel Dio di Spinoza” da parte di Einstein
 Ma come avvennero le einsteiniane professioni di fede nel Dio di Spinoza?  Nell’anno 1929, le sue note dichiarazioni sulla religione o meglio sulla religiosità da intendersi soprattutto come “spirito che si manifesta nelle leggi dell’Universo”, in modo impersonale, che spetta soprattutto alla scienza cogliere e spiegare, ragion per cui non abbiamo bisogno di un “Dio personale” che ci governi, provocarono ad un certo punto una nota polemica da parte del cardinale di Boston, Henry O’Connell, che disse di vedere nelle esternazioni di  Einstein sulla religione (e anche nelle sue teorie scientifiche) “l’apparizione sinistra dell’ateismo”.
   Allora un rabbino ortodosso di New York, Herbert Goldstein, preoccupato della tempesta che si addensava sul capo del più famoso ebreo vivente, gli mandò un telegramma con una risposta pagata di 50 parole, nel quale era scritto solamente:  “Credete in Dio?”.  La celebre risposta dello scienziato fu:  “Credo nel Dio di Spinoza che si rivela nell’ordine armonioso di ciò che esiste, non in un Dio che si occupi del destino e delle azioni degli uomini”.   Con tale risposta, pur insoddisfacente per i credenti, sia cristiani che ebrei, non si poteva comunque accusarlo di ateismo, almeno formalmente[13].             
Sempre nel 1929, rispondendo su di una rivista tedesca ad uno studioso giapponese che gli aveva chiesto la sua opinione in materia di “verità scientifica”, dopo aver precisato che il termine “verità religiosa” non gli indicava nel modo più assoluto “nulla di chiaro”(conveys nothing clear to me at all) e che il suo “sentimento religioso” consisteva semplicemente nella “razionalità o intelligibilità del mondo”, dichiarò:  “Questa ferma credenza, profondamente sentita, in una mente superiore che si rivela nel mondo dell’esperienza, costituisce la mia concezione di Dio.  Nel modo di esprimersi comune la si potrebbe descrivere come “panteistica”(Spinoza)[14].
Si nota dunque una continuità nelle professioni di spinozistico panteismo da parte di Einstein.  Nel testo del 1929 appena citato appare già ben in evidenza il nesso scienza-religione così come sarà esposto in molteplici interventi successivi:  “La ricerca scientifica può ridurre la superstizione con l’incoraggiare la gente a pensare e a osservare la realtà in termini di rapporti di causa ed effetto.  È sicuro che, a fondamento della ricerca scientifica di alto livello, c’è la convinzione – simile ad un sentimento religioso – della razionalità o intelligibilità del mondo”[15]

Va ricordato anche il seguente dettaglio.  Negli ultimi anni della sua vita Einstein fu membro onorario della celebre Rationalist Association, fondata nel 1885 nell’Inghilterra vittoriana, che raccogliava famosi liberi pensatori e in sostanza atei più o meno dichiarati, tra i quali Bertrand Russell e G.H. Wells.  Quest’Associazione stampò per molti anni una collana intitolata The Thinkers Library  includente classici antichi e moderni del libero pensiero.  Nel 1936 pubblicò, con il n. 79 della collana, il libro di Einstein, The World as I See It , ovvero: Il mondo come lo vedo io, raccolta di suoi articoli, saggi, interventi su argomenti di vario tipo, scritti negli anni Venti e Trenta del secolo scorso[16].  Gli “umanisti” e “razionalisti”, tutti atei più o meno mascherati, consideravano Einstein uno dei loro.

6.  La singolare “religione cosmica” di Einstein, che divinizza la scienza 
Per avere un quadro completo della “religiosità” di Einstein, è necessaria una breve esposizione della “religione cosmica” della quale Einstein si è fatto paladino, i cui tratti si intuiscono già da quello che si è detto.  Egli l’espose sinteticamente in un suo scritto degli anni Trenta, intitolato anch’esso Religion and Science, ricompreso poi in The World as I See It, appena citato.
Si davano per Einstein tre tipi di religione o forme della religiosità.  La “religione della paura”, quella dei popoli primitivi, basata sul timore delle forze della natura e su sentimenti elementari, di terrore di fronte alla malattia, alla morte, alle bestie feroci.  Tale religione si fabbricava entità “dalle cui volontà e azioni dipendono i temuti eventi nocivi”[17].  In questa religione appaiono le “caste sacerdotali” quali mediatrici tra l’uomo e le temute forze dell’ignoto.  Seguì poi la “religione morale”, provocata dall’umano desiderio di protezione, ricompensa, aiuto nelle vicende di questo mondo.  Si ha qui una “concezione sociale o morale di Dio”.  Dio è visto come colui che conforta, premia, punisce, “conserva le anime dopo la morte”.   Le Scritture ebraiche, delle quali il Nuovo Testamento è una continuazione, fanno vedere in modo mirabile il passaggio dalla religione dei primitivi a quella “morale”, più evoluta[18].
Queste due forme di religione, sempre create dall’uomo, concepiscono Dio in forma antropomorfica, secondo Einstein.  Ma si ha poi il passaggio ad una terza forma di religione, per Einstein quella autentica, che egli chiama “religione cosmica”, il cui vate sarebbe lo scienziato, nella misura in cui prova “un sentimento religioso cosmico”[19].  Questa forma di religione sarebbe migliore delle altre già per il fatto di non ammettere alcun antropomorfismo.  Da cosa scaturisce un “sentimento religioso cosmico”?  Le sue componenti le abbiamo in sostanza già viste.  Qui le ritroviamo:  il senso della “nullità dei desideri umani e dei loro obiettivi” nonché “l’ordine sublime e meraviglioso che si rivela sia nella natura che nel nostro pensiero”.   L’aspirazione ad uscire dalla “prigione della propria esistenza individuale per comprendere l’universo come un tutto il cui significato è unitario”.   Questa “religiosità cosmica” la si ritrova in modo inconsapevole “in molti Salmi di Davide e in alcuni dei Profeti.  Il Buddismo, specialmente come inteso da Schopenhauer nei suoi meravigliosi scritti, ne mostra una componente ancora più intensa”.  L’hanno sentita, questa “religiosità”, continua audacemente Einstein, “i geni religiosi di ogni epoca”.  È una religiosità “che non conosce dogma e non contiene immagini antropomorfiche di Dio, in modo da non produrre alcuna Chiesa che possa fondare la sua autorità esclusiva su di essa”.  Tale religiosità si trova “tra gli eretici di ogni epoca”, uomini considerati dai loro contemporanei ora come atei ora come santi.  “Visti in questa prospettiva, uomini come Democrito, Francesco d’Assisi e Spinoza, sono strettamente affini tra di loro”[20].
Che Einstein avesse le idee chiare in fatto di religione, in particolare in relazione al Cristianesimo, non mi sentirei di affermarlo, visto che riteneva di poter equiparare san Francesco d’Assisi a Spinoza e Democrito!  Per tacere del suo singolare concetto di “genio religioso”,  cui ascrive una religiosità senza dogmi e senza immagini, simile alla sua!  Ma il punto essenziale di questa sua singolare e bizzarra “religione cosmica” appare quando Einstein attribuisce all’arte e alla scienza la missione “di risvegliare il sentimento religioso cosmico e di mantenerlo vivo in coloro che sono capaci di provarlo”[21].  Qual è, allora, il giusto modo di intendere il rapporto tra scienza e religione?  Quello da lui proposto, che deve assumere come suo proprio postulato il determinismo più assoluto.  Lo scienziato deve vedere solo rapporti di causa ed effetto, rigidamente determinati, sui quali non può interferire un Ente (sovrannaturale).  Ciò distruggerebbe il principio di causalità.  Pertanto lo scienziato non sa che farsene delle prime due forme di religione.
“Un Dio che ricompensa e punisce è per lui inconcepibile per il semplice motivo che le azioni dell’uomo sono determinate dalla necessità, sia interna che esterna, ragion per cui non può esser ritenuto responsabile agli occhi di Dio, non più di quanto un oggetto inanimato sia responsabile dei movimenti che gli vengono impressi.  So bene che la scienza è stata accusata di minare l’etica, ma quest’accusa è ingiusta.  Il comportamento morale di un uomo dovrebbe nei fatti basarsi sulla simpatia, l’educazione e gli obblighi sociali:  non occorre una base religiosa.  La condizione umana sarebbe veramente indigente se l’uomo dovesse esser tenuto a bada con la paura e le sanzioni e la speranza di una ricompensa dopo la morte”[22].
Dunque, la scienza, secondo Einstein, dimostra che il libero arbitrio non esiste.  Ma come si concilia il determinismo da essa affermato con la “religiosità cosmica” che dovrebbe contraddistinguerla?   Il “sentimento” di tale religiosità, secondo il Nostro, “costituisce il pungolo più forte e più nobile della ricerca scientifica”.  E perché?  Perché esso ci consente di aprire la mente “alla razionalità dell’universo”, stimolando quella “brama di conoscere” che ritroviamo nei grandi spiriti, come ad esempio Keplero e Newton, che “hanno speso anni di dura e solitaria fatica per elaborare i principi della meccanica celeste”[23].  La forza morale che animava giganti quali Keplero e Newton, i quali hanno dovuto lottare da soli contro i pregiudizi del loro tempo,  sarebbe un prodotto della loro religiosità cosmica:  “È il sentimento religioso cosmico che dà ad un uomo una forza di questo genere”[24].  Conclusione finale: “Un contemporaneo ha detto, non ingiustamente, che nella nostra materialistica epoca, gli scienziati seri sono le uniche persone profondamente religiose”[25].

7.  La penetrante critica di Lydia Jaeger al panteismo di Einstein
Come ha notato la filosofa Lydia Jaeger a proposito di questa singolare “religione cosmica” di Einstein, abbiamo qui a che fare con un panteismo del tutto particolare dal momento che “la ricerca scientifica vi diventa in quanto tale un’attività religiosa”, assumendo  con ciò una “posizione predominante” nell’interpretazione della realtà [26].  In particolare, aggiungo, il fisico viene elevato a Vate di una nuova religione, “cosmica”.  Ma il panteismo di Einstein pone poi dei problemi che non riesce a risolvere per ciò che riguarda il soggetto conoscente e il soggetto agente, nota acutamente Jaeger . 
Infatti, dal punto di vista del soggetto conoscente, il panteismo implica l’unità di tutto il vivente e pertanto Einstein deve vedere una “analogia tra le leggi della natura e quelle del pensiero umano”.  A questo proposito, egli utilizzò anche l’immagine leibniziana della “armonia prestabilita” da Dio, al fine di spiegare la “coincidenza tra il pensiero e i fatti della natura”.  Tuttavia, Einstein insistette sempre anche sulla intrinseca creatività del pensiero umano: lo scienziato scopre le leggi della natura non in base alla sola osservazione empirica ma “grazie ad un’intuizione che lo immedesima nell’esperienza” sensibile; che gli fa cioè penetrare creativamente il “mistero” della natura.  Einstein ribadì sempre che “la conoscenza non può scaturire dalla pura osservazione empirica, essa nasce dal confronto tra ciò che si prefigura e ciò che si osserva”[27].
Ma proprio qui emerge il limite del panteismo, osserva Jaeger.  Dal momento che esso “si fonda sull’unità di natura e pensiero non è possibile [dal suo punto di vista] che la ragione umana si ordini con leggi diverse da quelle della natura che essa cerca di conoscere”.  Ma la creatività dello scienziato, giustamente rivendicata da Einstein, come viene a ricomprendersi in quest’unità?  Questa creatività, che lo stesso Einstein ha notoriamente dimostrato di possedere in notevole misura, come si inquadra nel determinismo a sfondo panteistico professato dal grande fisico, nel rigido rapporto unitario (spinoziano, appunto, monistico) da lui stabilito tra natura e pensiero?    Non sembra, prosegue l’Autrice, che Einstein abbia risolto il problema della necessaria separazione tra soggetto e oggetto, indispensabile all’esatta rappresentazione del nostro rapporto con la realtà.  Einstein respinge sia la posizione idealistica, poiché ammette la natura come ordinamento indipendente dal nostro pensiero, sia quella materialistica, con la sua fede nella libera capacità creativa dello spirito umano che indaga la natura.  Tuttavia, non è affatto chiaro come riesca a conciliare questa libera creatività con il determinismo[28].  
  Per il soggetto agente, invece, si deve dire che il determinismo einsteiniano non permette di fondarne in modo soddisfacente la responsabilità morale[29].  Tanto più se si pensa che Einstein ha dichiarato di privilegiare “l’ideale democratico”, che egli rappresenta come “rispetto per ognuno come persona” poiché ognuno deve esser visto come “individuo sensibile e creativo”.  Ma  come si concilia l’ideale democratico di una libertà responsabile e nello stesso tempo creativa da riconoscersi all’individuo, con il rigido determinismo che nega l’esistenza obiettiva di una legge morale e della possibilità stessa della libertà per l’uomo?  Queste critiche sono sempre state fatte ad Einstein, in particolare, come ricorda l’Autrice, dal suo amico Max Born, anch’egli premio Nobel per la fisica, e dalla di lui moglie, che ebbe interessanti scambi epistolari con Einstein sul tema[30]
 Ma uno degli scopi di Einstein, aggiungo, sembra proprio quello di poter affermare l’indipendenza assoluta del soggetto da Dio proprio per quanto riguarda la responsabilità morale delle proprie azioni.  Sentenziò:  “ Nella morale non c’è nulla di divino, è un affare puramente umano”[31].  Questa concezione puramente “umana” della morale, che lascia a tutti la libertà di agire senza sentirsi giudicati né dalla legge di natura né da Dio, è tipica di deisti e panteisti.  La dimostrazione della sua validità la darebbe la scienza, spiegando in termini rigorosamente deterministici la causalità universale che regge l’ordine della Natura.  Se ogni nostra azione è di fatto predeterminata dalla ferrea concatenazione della causalità universale, non possiamo evidentemente esser incolpati che male che facciamo. Ma questo modo di ragionare non apre la porta al naturalismo e al nichilismo?

8. La “religione cosmica” di Einstein forma di naturalismo  che attenta sia alla religione che alla scienza – Una domanda di chiarimento a proposito della nuova scoperta, sullo “spazio curvo”
Nella visione einsteiniana della religione non c’è niente di particolarmente originale, a parte la singolare prospettiva inaugurata dalla sua “religione cosmica”.  Le riflessioni sui due stadi dello sviluppo delle religioni, da quella fondata sulla paura a quella morale, riflettono le interpretazioni sociologiche e psicologistiche del fenomeno religioso che si erano affermate in America e in Europa a cavallo del Secolo, largamente nutrite di studi etnologici e antropologici.  Troviamo riflesso nel pensiero di Einstein il criterio di fondo che ispirava quegli studi:  la religione è un fenomeno esclusivamente umano, essa proviene dall’uomo non da Dio, esprime esigenze solamente umane nella forma di sentimenti che si fabbricano le figure degli dèi o di una Divinità assolutamente trascendente.  Questo criterio, come ognun può vedere, è estremamente superficiale.  Esso viene applicato come se avesse dimostrato il proprio oggetto prima ancora di dimostrarlo, e cioè che non può esistere una religione rivelata poiché il contenuto di ciò che chiamiamo fede o credenza religiosa verrebbe solo dal basso, dal sentimento dell’uomo in fuga dalla Natura e desideroso di protezione e di garanzie.  L’esistenza della divinità trascendente viene pertanto esclusa a priori.  Si tratta di un atteggiamento irrazionale che sfocia poi nel panteismo e nel determinismo (con le loro suesposte contraddizioni) e provoca una filosofia della vita in sostanza naturalistica.  Infatti, con l’alibi dell’inesistenza di un libero arbitrio che ci renda responsabili delle nostre azioni, lascia poi l’individuo libero di seguire tutti i suoi impulsi, in quanto provenienti (in apparenza) esclusivamente dalla natura, con l’unico limite esteriore dei vincoli sociali o di convenienza da rispettare.
Questo tipo di Weltanschauung mi sembra evidente in Einstein, rilevabile anche dal modo nel quale ha vissuto, se lo consideriamo prescindendo dal mito che gli si è costruito addosso e nel quale egli ha sguazzato sino alla fine dei suoi giorni.  La sua “religiosità cosmica” rientra anch’essa in questa visione del mondo poiché il Vate che ne è il Fisico dovrebbe in primo luogo rivelare la supposta verità rappresentata dal determinismo universale, liberando così gli uomini dalla schiavitù della religione rivelata, con le sue difficili verità sulla caduta, il peccato, la redenzione, la santificazione quotidiana, il Giudizio finale.  Dovrebbe, quindi, liberare gli uomini dall’idea dell’esistenza di un Dio creatore, assolutamente trascendente, Padre e nello stesso tempo Giudice in eterno.  Appare qui, a mio avviso, una hybris distruttiva non solo di ogni vera religione ma anche, alla fine, della vera natura della scienza, poiché l’umiltà di fronte al “mistero” dell’ordine impressionante della Natura scomparirà dal modo di pensare dello scienziato, una volta innalzatosi a sacerdote che ha elevato la sua scienza al rango di vera e propria religione, le cui verità devono valere come dogmi, in sostituzione di quelli della religione rivelata, la religione del “Dio personale”.
A questa preminenza della scienza sulla religione, divenuta la scienza essa stessa la nuova “cosmica” religione, lo spinoziano Einstein doveva giungere per via indiretta.  Non occupandosi ovviamente di religione in senso specifico ma costruendo un’immagine del mondo fisico che mostrasse l’inutilità, la non-necessità dell’idea di un Dio creatore.  La teoria einsteiniana dell’universo come spazio curvo, in ogni suo punto provvisto di una densità di materia-energia superiore allo Zero – teoria che sarebbe stata confermata dall’attuale scoperta delle “onde gravitazionali” – corrisponde anche all’esigenza di soddisfare la teologia panteistica di Einstein. 
Sia chiaro:  essa è nata e si è mantenuta come teoria puramente fisica, sviluppando la scoperta dell’elettromagnetismo e del campo elettromagnetico fatta da Faraday e Maxwell.  Essi vedevano lo spazio ricoperto da onde elettromagnetiche che vi si disponevano come se fossero curve geodetiche, costituendo in tal modo un campo di energia nello spazio, interposto tra le fonti generatrici del campo stesso e tuttavia con le sue proprie leggi, esprimibili in “equazioni di campo”.  Al fine di risolvere i problemi posti dalla concezione newtoniana della gravità come forza attrattiva operante istantaneamente, cosa che appare più divina che naturale, Einstein ebbe l’idea di estendere la realtà curvilinea del campo elettromagnetico all’intero universo, ossia allo spazio stesso, da concepirsi tutt’intero come un cosmico campo di onde curvilinee, intersecantisi in numero infinito in ogni suo punto.  Identificando spazio e campo e quindi universo e campo, si ottiene l’immagine di uno spazio curvo che altro non è che l’intero universo, in quanto tale.  Allora l’universo, essendo curvilineo a causa della disposizione della materia-energia in esso presente, avrebbe la forma di uno sferoide, che sarebbe la stessa dello spazio in quanto tale:  sferoide illimitato, perché sulla superficie di una sfera non vi sono limiti, e tuttavia finito, perché una sfera non può essere infinita.  Finito in quanto spazio ma non nel tempo.  Ed increato perché l’ipotesi di una creazione dal nulla non è necessaria per spiegare un universo di questo tipo.  Così l’immagine dello “spazio curvo” trapassa in quella dell’universo “curvo” ossia chiuso e finito, esistente ab aeterno senza bisogno di esser stato creato.  E la gravità non sarebbe più una forza ma una semplice variazione di densità nella “fabbrica dell’universo” ossia nella geometria del “campo” costituente l’universo.
Ma le famose e difficilissime “equazioni di campo” elaborate da Einstein, né lui né altri erano riusciti a risolverle, applicandole alla realtà.  Ora ci dicono che l’applicazione è stata dimostrata con la scoperta dell’esistenza delle “onde gravitazionali”, onde di energia cosmica che dimostrerebbero la curvilineità dello spazio che le trasmette e la natura continua della forza di gravità, per successione di onde di energia e non più per attrazione a distanza nello spazio vuoto, mediante una forza che opera istantaneamente.     
Noi populares  non possiamo certo discutere con gli scienziati, a proposito delle loro scoperte.  Avranno fatto per bene i loro calcoli.  Ricordo che già due anni fa fu annunziata la scoperta di queste famose “onde”, con sperimentazioni diverse dalle attuali, ma poi la cosa finì nel nulla.  Noi del popolo ignorante, tuttavia, qualche domanda la possiamo porre, per capire meglio, anche prima che esposizioni divulgative ad hoc, che sicuramente non mancheranno, ci facciano comprendere, per lo meno nelle linee generali, in che modo sia avvenuta la scoperta.   Tra le possibili domande pongo la seguente, relativa alla determinazione dello spazio curvo
“All’alba del nuovo millennio un gruppetto di fisici sperimentali annunciò di aver verificato che i punti più caldi e più freddi della radiazione fossile avevano effettivamente dimensioni angolari di circa un grado e che, di conseguenza, la geometria dello spazio doveva ritenersi piana”[32].  Essa appariva di un vuoto euclideo o piatta (flat) a tutte le misurazioni cosmiche che venivano fatte su scala “più larga”.  Ora, se l’esistenza delle “onde gravitazionali” dimostra che lo spazio non è più euclideo ossia piano, e quindi vuoto e infinito, bensì “curvo” e pieno e chiuso su se stesso, che ne è di quelle misurazioni cosmiche correlate alla “radiazione fossile”?  Si devono ritenere errate?  Naturalmente, nella scienza è accaduto e può sempre accadere che nuove misurazioni facciano decadere quelle precedenti, comportanti diversi risultati.  Tuttavia, credo sia lecito aspettarsi una risposta al quesito da me posto, che resta nell’ambito dei problemi sollevati dalla teoria fisica stessa. 
Contro l’immagine dello “spazio curvo” inteso come realtà strutturale del cosmo, resta sempre valido, a mio avviso, l’argomento di tipo geometrico:  non esiste una forma geometrica che coincida con tutto lo spazio.  Qualcosa resta sempre fuori:  ogni sfera può sempre esser inscritta in un quadrato o in un poligono e questi a loro volta in un’altra sfera e così via, all’infinito.  E tutte queste forme geometriche possono incastrarsi l’una nell’altra all’infinito nell’immaginazione proprio perché al di fuori dell’incastro c’è sempre spazio.  Pertanto, al di là di uno spazio supposto “curvo” ci sarà sempre altro spazio poiché una forma geometrica è tale solo nello spazio, che la trascende e supera da ogni lato.  La forma dello spazio è in realtà sempre il luogo, occupato da qualcosa, sia esso materia od energia, e questo qualcosa è sempre una forma nello spazio tridimensionale.   

Paolo  Pasqualucci
 



[1] Walter Isaacson, Einstein.  His Life and Universe, Pocket Books, London, Sydney, New York, Toronto, 2008, p. 154, p. 442.
[2] My Pilgrimage from Atheism to Theism.  An Exclusive Interview with Former British Atheist Professor Antony Flew, di pp. 17, www.deism.com, apparsa nel 2005 nella rivista Philosophia Christi della Evangelical Philosophical Society (www.biola.edu/philchristi).
[3] Vedi la Costituzione dogmatica De Fide Catholica, del 24 aprile 1870,  DS 1782/3001 ss.   Non si può ritenere che il Concilio approvasse qualsiasi idea dell’esistenza di Dio, anche quella che ne fa un semplice quanto astratto ente di ragione, avulso da tutto, né creatore né Padre misericordioso né giudice,  il contrario  esatto del “Dio vivente”. Per il testo in italiano, vedi:  Giuseppe Alberigo (a cura di), Decisioni dei Concili Ecumenici, tr. it. di R. Galligani, UTET, Torino, 1978, p. 759, p. 767.  Si tratta della costituzione dogmatica De fide catholica, sulla fede cattolica.
[4] Walter Isaacson, Einstein.  His Life and Universe, cit., p. 386 - capitolo XVII:  Einstein’s God, pp. 384-393.  L’Autore riporta un'intervista fatta ad Einstein nel 1929.  Anche per Isaacson, tutte le dichiarazioni di Einstein sulla religione fanno vedere come egli professasse “un concetto impersonale, deistico  di Dio” (op. cit., p. 385).  Il passo da me riportato nel testo, recita:  - Do you believe in God? “I’m not an atheist.  The problem involved is too vast for our limited minds.  We are in the position of a little child entering a huge library filled with books in many languages etc.”(op. cit., p. 386).  Nell’intervista, Einstein affermava anche di esser affascinato dalla personalità di Gesù, della cui esistenza storica non dubitava, ma di non credere in una vita dopo la morte: “una vita mi basta” (op. cit., pp. 386-387).
[5] Walter Isaacson, op. cit., p. 387.
[6] Sarojini Henri, Review of Max Jammer’s “Einstein and Religion:  Physics and Theology”, October 11, 2004, sul sito:  www.metanexus.net/book review/ review-max-jammers-einstein-and-religion etc., di 4 pp.  Fortemente polemico, ma con buoni argomenti, contro la tesi di Jammer l’intervento:  Einstein the atheist on religion and God, sul blog: coelsblog. Defending Scientism, di pp. 21, coelblog.wordpress.com./2013/04/08/einstein-the-atheist-on-religion-and-god/
[7] Silvio Bergia (a cura di), Einstein e la relatività, Laterza, Bari, 19802, p. 160.  Si tratta di un’antologia di scritti einsteiniani preceduta da un ampio saggio introduttivo del curatore: op. cit., pp. 3-155.
[8] Op. cit., p. 161.  Secondo Issacson, il detto attribuito a Schopenhauer non è letterale (op. cit., p. 618).
[9] Markus Mühling, Einsteins Religion, www.theologie-naturwissenschaften.de, pp. 1-4; p. 1.
[10] Silvio Bergia (a cura di), op. cit., p. 164.  Corsivi miei.
[11] Albert Einstein, Ideas and Opinions, based on Mein Weltbild, edited by C. Seelig and other sources, new translations and revisions by S. Bargmann, Bonanza Books, New York, s.d., p. 48.  Si tratta dello scritto:  Science and Religion, pp. 41-49.
[12] Pascual Jordan, Der Naturwissenchaftler vor der religiösen Frage, Stalling, Oldenburg/Hamburg, 19726, p. 133.
[13] Vedi:  coelsblog, Einstein the atheist on religion and God, cit., p. 18.  L’originale recita:  “I believe in Spinoza’s God who reveals himself in the orderly harmony of what exists, not in a God who concerns himself with fates and actions of human beings”.  Lo stesso  Spinoza si considerava il vero credente:  accusava i Cristiani di ateismo perché a suo dire concepivano Dio in modo antropomorfico, rendendolo simile all’uomo.  Sulla vicenda della risposta di Einstein, vedi anche:  Isaacson, op. cit., pp. 388-389 e relative note. Egli sostiene che la visione panteistica di Einstein era diffusa negli Stati Uniti tra le persone colte sin dal tempo dei Padri Fondatori, condivisa per esempio da Jefferson e Franklin (proveniente però, aggiungo, più dall’unitarianesimo che dallo spinozismo, cioè dall’eresia antitrinitaria di origine protestante, per l’esattezza sociniana).
[14] Albert Einstein, Ideas and Opinions, cit., pp. 261-262.  Parentesi nell’originale. L’intervento di Einstein si intitolava appunto:  On Scientific Truth, sulla “verità scientifica”.
[15] Op. cit., p. 262.
[16] Vedi: New Humanist Magazine / Blog.  6 March 2012:  From the Rationalist Archive:  What Albert Einstein really believed, di pp. 3.   Secondo l’articolo Einstein era già membro dell’Associazione nel 1936.   La rivista New Humanist è un bimestrale tuttora abbastanza diffuso nel mondo anglosassone
[17] Albert Einstein, Religion and Science, in:  ID., The World As I See It – Out of My Later Years, translated by A. Harris, Quality Paperback Books, New York, pp. 24-28; p. 24.  Si tratta di un articolo apparso nel Berliner Tageblatt dell’11 novembre 1930.  L’inglese “cosmic religion” è nell’originale “kosmische Religiosität”(il passo con il termine originale l’ho trovato nell’articolo citato alla nota n. 26  qui di seguito).
[18] Op. cit., p. 25.
[19] Op. cit., p. 26.
[20] Op. cit., pp. 26-27.
[21] Op. cit., p. 27.
[22] Op. cit., ivi.
[23] Op. cit., p. 28.
[24] Op. cit., ivi.
[25] Op.c it., ivi.
[26] Dr. Lydia Jaeger, Einstein und die kosmische Religion, in ‘Philosophia Naturalis’. XLIII, 2006, pp. 313-327; ripreso dal sito: ljaeger.ibnogent.org/uploads/articles/0607 ae.deutsch.pdt; di pp. 14.  Rilievi alle  pp. 5-6.
[27] Op. cit., pp. 6-7, con le fonti dei passi di Einstein citati.
[28] Op.c it., pp. 7-9. 
[29]  Op. cit., pp. 9-12.
[30] Op. cit., ivi, con le fonti ivi indicate, per Einstein e Born.  Hedwig Born rimproverava giustamente  ad Einstein che il suo determinismo, oltre che astratto rispetto ai casi concreti della vita di tutti i giorni, distruggeva il fondamento stesso di ogni etica (vedi: Isaacson, op. cit., pp. 391-392).
[31] Albert Einstein, The Religiousness of Science, in ID., The World as I See It, cit., pp. 28-29.
[32] P.G. Ferreira, La teoria perfetta.  La relatività generale:  un’avventura lunga un secolo, tr. it. di C. Capararo e A. Zucchetti, Rizzoli, Milano, 2014, p. 246.  Con “radiazione fossile” si indica la radiazione di fondo presente in tutto lo spazio, percepibile come costante disturbo radio di fonte extragalattica, che costituirebbe la traccia sonora del Big Bang, l’esplosione che avrebbe dato origine all’universo quasi 14 miliardi di anni fa.  Che l’universo negli ultimi tempi lo si ritenesse “flat” ossia piano-piatto e aperto e non curvo su se stesso, risultava anche dal pluridecennale studio della sua densità, che risultava “inferiore a quella considerata minima per un universo chiuso” e quindi incurvato su se stesso, come quello ipotizzato da Einstein (vedi:  S. Weinberg, The First Three Minutes.  A Modern View of the Origin of the Universe, updated edition, Basic Books, 1993, p. 116).  Ora, anche queste comprovate rilevazioni sulla densità dell’universo devono ritenersi invalide?

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