venerdì 26 febbraio 2016

UN ITALIANO E UN ONEST'UOMO (di Piero Nicola)

Uno che abbia trascorso al fronte quasi tutta la nostra Grande Guerra, che abbia partecipato con D'Annunzio all'impresa di Fiume, che abbia ricoperto nel Ventennio importanti cariche politiche e in Istituti culturali e universitari, che sia stato ufficiale di stato maggiore della 4a Armata nel Secondo conflitto mondiale, sino al 1943, è comprensibile abbia avuto qualche oscillazione nei suoi giudizi sulla guerra e sulle cose umane.
  Questi è Arturo Marpicati, poeta, narratore, saggista, giornalista, professore, militare. Per stabilire la statura morale e il valore dello scrittore mi affido ancora una volta a Piero Operti, giudice competente e assai dotato d'imparzialità. Nel suo Dizionario Storico della Letteratura Italiana, egli annovera Marpicati, autore di "fecondissima produzione". Le sue Liriche di guerra, con prefazione di G. Prezzolini, l'Operti dice essere "improntate a una scabra e schietta umanità [...] L'anelito alla vittoria non vi si sovrappone alla carità cristiana, che in guerra dovrebbe brillare di luce più viva; cioè, è la guerra quale l'ha sentita un vero italiano, nella tormenta sì, ma senza imbestiarsi e rinnegare ogni cosa in altri momenti cara; ed insieme è la vittoria umanamente raggiunta e affermata".
  Nel 1961, poco prima di morire, il vecchio combattente ridà alle stampe il diario del conflitto '15 - '18 col titolo  ...E allora non dimenticateci. Rispondendo, nella prefazione, all'amico Prezzolini che gli chiede come mai abbia riesumato quelle vicende belliche dopo essersi dedicato a "racconti calmi e sereni", egli risponde d'essere stato indotto a rappresentare nuovamente la vita militare nelle trincee, a causa dell'ignoranza e anche dell'interesse, dimostrati da professori universitari, professionisti, industriali e banchieri, intorno ai fatti d'armi di quel periodo storico.
  La storia personale è varia, andando dalle trincee in cui si marcisce letteralmente, agli assalti, ai servizi di sussistenza, alle postazioni di mitragliatrici, alle soste nelle retrovie, all'ospedale, alla ritirata, all'ammutinamento, alla difesa costiera, durante tre lunghi anni. La singola sperimentazione può dilatarsi in trattato morale sulla guerra nelle diverse condizioni, dove le peggiori sono davvero pessime non solo per l'alta percentuale di caduti, ma anche per le sofferenze e le morti dovute alle malattie e agli stenti.
  La letteratura nazionale e internazionale abbonda di cosiffatte memorie o di opere romanzate del medesimo argomento. Parecchie sono antimilitariste, pacifiste o, peggio, politiche (vedi Hemingway). Altre manifestano eccessivo ottimismo e riguardano soltanto gli eroismi, allorché il pur sincero espositore perde di vista l'insieme. Non molti colgono l'essenziale dei dati e azzeccano l'etica e la sua applicazione.
  Marpicati riconosce cordialmente il puro eroismo, ne ha conosciuto il modello, prima della sua immolazione, nell'amico Giosuè Borsi.
  Anche nel libro di racconti  Sole sulle vecchie strade (1956) egli scrive: "I poveri fanti, sgomentati dal morbo tremendo che non restava [il colera], erano l'oggetto delle nostre cure più assidue. Imitavo Borsi e parlavo sovente a loro con semplicità e con serietà: lieti se riuscivamo a sollevarli un po' dalla sfiducia e dall'abbandono in cui facilmente, tristi o inaspriti, piombavano".
  In proposito, nel diario troviamo gli episodi in cui un ufficiale o un graduato suscitano e trasmettono le virtù ai tanti, che altrimenti sarebbero divorati dalla paura e dalla viltà. 
  "Egli sentiva in grado eroico l'amore della patria, e misticamente il dovere del soldato.
  "Oggi rileggendo con emozione le sue pagine, mi vien fatto d'accostarlo all'ammirabile autore dell'Appel des armes e del Voyage du Centurion, Ernest Psichari, nipote di Renan, per vocazione soldato e scrittore, ritornato cattolico dopo una lunga permanenza nei deserti dell'Africa, e caduto eroicamente in battaglia a trent'anni, il 22 agosto 1914, durante la ritirata di Charleroi [...] I due poeti eroi hanno lasciato libri che rimarranno nella storia spirituale delle generazioni della Grande Guerra.
  "Borsi amava quelle lunghe ore di obbedienza militare, di totale rinuncia a se stessi, di regola austera ma insieme soave per la pace dalla coscienza. Quel servire e quel comandare con sicurezza e con calma, ma più, in contingenze sì deprimenti, quell'assistere al prodigio ricreatore della nostra fragile parola sopra gli spiriti di una massa - che pareva vivere come le piante, e nulla sapere, nulla chiedere, e invece dalle zone più remote dell'animo rispondeva consapevole ai nomi e alle idee della patria e del dovere - erano pure una conquista e una letizia, e la fedeltà, che in compenso scaturiva dalle menti e dai cuori umili e racconsolati, il vero profumo di quella vita di guerra".
  Ma gli stessi tenenti vanno soggetti a malinconie e inquietudini, alle quali si alternano momenti in cui il "cuore come divelto dal mondo, fatto vicinissimo alle cose essenziali, e per nulla timoroso della stessa morte" comunica "una felicità leggera". "Giosuè Borsi raggiava a queste confessioni, e noi amici suoi dolcemente ammoniva essere ciò opera e lavorio prezioso della Grazia, intenta a prepararci le prove più aspre, onde l'anima uscisse più fiera e meglio accampata".
  Il 10 novembre 1915, durante un'offensiva a Zagora, Borsi "cade da prode". Riceve la preghiera del cappellano, ma poi un grosso calibro piovuto sulla spoglia la disperde irrimediabilmente.
  Nel volume di racconti sfolgora la figura di un compatriota di Marpicati, il bresciano Tito Speri, condottiero delle Dieci Giornate. In una ritrovata lettera scritta a un compagno la sera precedente l'impiccagione "passano accenti che hanno senz'altro del sovrumano: 'Ti assicuro di aver passato tre giornate veramente invidiabili; nella mia vita ho qualche volta gustato delle gioie, ma, te lo assicuro, in confronto a quelle che io provo in questi momenti, esse non furono che miserabile fango'. 'Una cosa ti dico, ed è questa: che non so come tutti gli uomini non si persuadano a farsi impiccare. Tu crederai che io esageri o sia impazzito; no, non esagera e non impazzisce l'uomo che è vicino a morire. Sento prevalere in me il principio spirituale in tal modo, che sospiro il momento di liberarmi dalla tortura del corpo e volare finalmente nelle braccia di Colui dal quale sono disceso. Ho trovato la religione nostra tanto augusta e tanto veritiera nei suoi argomenti, o per meglio dire nelle sue prove matematiche, ch'io commisero tutti coloro che per diffidenza ne vanno lontani, o per tracotanza la vogliono combattere'".
  D'accordo: i veri eroi sono degli eletti. Gli altri che, in guerra, dai più crudeli patimenti ne escono bene possono essere pochi, quando viene loro a mancare l'uomo, l'idea che li rianima e li rende valorosi. Tuttavia cominciamo col distruggere i velenosi negatori dell'eroismo. In secondo luogo la guerra, che sia quella giusta o quella ingiusta, essendoci, comporta la militanza di coloro che sono chiamati a combattere. Essi non hanno diritto di sottrarsi al calvario, anche se i responsabili, i comandanti sono tenuti ad alleviarlo per quanto sia possibile.
  Marpicati sull'orrenda trincea di Oslavia e sulle sue raccapriccianti vicinanze mostra qualche sconcerto. Forse dimentica che Dio permette le tremende torture, senza cessare d'essere giusto e misericordioso.
  Per altro verso il bravo Marpicati, osservando i berberi e i beduini del deserto libico e dell'oasi, presta a quei maomettani una religiosità, un'attuazione di spiritualità che sembrerebbero poter fare a meno di Dio vero.
  Ripeto che si tratta di piccoli sbandamenti smentiti da un lungo cammino ortodosso, ma ripresi tendenziosamente dai deplorevoli manipolatori della storia e della verità, che curano e redigono enciclopedie e dizionari corretti o nuovi, le nuove storie della letteratura, che praticano la critica pacifista, agnostica e nichilista, con un conformismo nella falsità da regime affatto totalitario, peggiore degli autoritarismi con cui la vera Chiesa poté conciliarsi.


Piero Nicola

1 commento:

  1. Molto interessante. Sapevo che Arturo Marpicati era stato segretario del PNF, ma non che avesse scritto libri. Ormai si troveranno solo nelle librerie antiquarie?

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