Un ecclesiastico ironico sostiene che Bergoglio non
lavora a maggior gloria di Dio ma a maggior gloria di io.
Antonio Socci
Non possiamo, non è consentito arrenderci alla
dolce, quasi avvolgente futilità, che squilla nei paralogismi, in corsa
precipitosa e incontrollata, nei discorsi (pistolotti) “ecumenici” del
buonista (a corrente alternata) José Bergoglio.
Dal Vaticano scendono discorsi curiosi e
avventurosi, nei quale si esprime, ad alta ed ecumenica (o sincretistica?)
voce, la temeraria, quasi eretica ed ogni modo grottesca affermazione
dell'inesistenza di (un) Dio cattolico.
Sulla cupola della basilica di San Pietro
incombe la figura perdente e sgangherata del sincretismo, un guazzabuglio
aperto a tutte le suggestioni emanate dalla disfatta e dallo sfacelo delle
moderne scuole di pensiero e delle loro rivoluzioni. (Di tutte le rivoluzioni,
da quella americana alla francese, dalla nazista alla maoista).
Dobbiamo, purtroppo, riconoscere, nelle
fulminanti e sconcertanti esternazioni del papa argentino, il frutto tossico
della teologia novista e aperturista, avviata dalla corsa sfrenata e rovinosa
dei protagonisti delle purtroppo festanti e squillanti sedute del Concilio
ecumenico Vaticano secondo.
Dal concilio, venerato dai cattolici
progressisti e incensato dalla volpina intelligenza dei laicisti e dagli
iniziati ai misteri del sottosuolo massonico, discende, infatti, l'allarmante
debolezza e la larga e incauta tolleranza della teologia, che circola, senza
controllo della gerarchia, nelle frivole e allegre scuole argentine, nelle
quali è stato rettamente formato e promosso (con decisione delli superiori, forse
incauta) il regnante pontefice.
Non ultima causa dell'imbarazzo e del disagio
dei cattolici refrattari è l'applauso caloroso dei laicisti radicali, degli
atei e dagli iniziati di varia e giornalistica inclinazione all'assurdo,
applauso specialmente indirizzato ai più arditi e sconsiderati discorsi di
Bergoglio.
Non possiamo cedere, tuttavia, all'ingenuità e
spingerci fino al punto in cui sembra lecito usare l'ignoranza e la
dabbenaggine quali cause dei gravi e sottili errori, che godono, purtroppo,
dell'alta e solenne impronta di quel rovinoso e raffinato delirio
teologico, a tempo debito denunciato e contrastato disperatamente da
padre Cornelio Fabro.
Ora il rigore di Fabro è l'antidoto alla
rilassata teologia in discesa dagli infondati entusiasmi eccitati dalla oscura
teologia, gongolante nelle pagine lungimiranti, scritte da Karl Rahner,
Pierre Teilhard de Chardin, Giovanni Franzoni, Yves Congar e recepita da una
folla di teologi ecumenisti, abbagliati, stralunati e fulminati dalle luci
della decadente e tramontante modernità.
La serotina fragilità del pontificato di
Giorgio Bergoglio e la crescente refrattarietà dei fedeli (ben visibile nei
vuoti in mezzo alle radunate, in domenicale ascolto del papa argentino) induce
a credere che la trionfale corsa della teologia modernizzante sia arrivata al
bivio finale, in cui si rivela che l'intatta montagna dell'ortodossia sovrasta
la debole, malsana palude dei teologi novisti.
Piero Vassallo
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