giovedì 5 gennaio 2017

Coriandoli velenosi volano nel “cabaret” vaticano

Un ecclesiastico ironico sostiene che Bergoglio non lavora a maggior gloria di Dio ma a maggior gloria di io.
 Antonio Socci



 Non possiamo, non è consentito arrenderci alla dolce, quasi avvolgente futilità, che squilla nei paralogismi, in corsa precipitosa e incontrollata, nei discorsi (pistolotti) “ecumenici” del buonista (a corrente alternata) José Bergoglio.
 Dal Vaticano scendono discorsi curiosi e avventurosi, nei quale si esprime, ad alta ed ecumenica (o sincretistica?) voce, la temeraria, quasi eretica ed ogni modo grottesca affermazione dell'inesistenza di (un) Dio cattolico.
 Sulla cupola della basilica di San Pietro incombe la figura perdente e sgangherata del sincretismo, un guazzabuglio aperto a tutte le suggestioni emanate dalla disfatta e dallo sfacelo delle moderne scuole di pensiero e delle loro rivoluzioni. (Di tutte le rivoluzioni, da quella americana alla francese, dalla nazista alla maoista).
 Dobbiamo, purtroppo, riconoscere, nelle fulminanti e sconcertanti esternazioni del papa argentino, il frutto tossico della teologia novista e aperturista, avviata dalla corsa sfrenata e rovinosa dei protagonisti delle purtroppo festanti e squillanti sedute del Concilio ecumenico Vaticano secondo.
 Dal concilio, venerato dai cattolici progressisti e incensato dalla volpina intelligenza dei laicisti e dagli iniziati ai misteri del sottosuolo massonico, discende, infatti, l'allarmante debolezza e la larga e incauta tolleranza della teologia, che circola, senza controllo della gerarchia, nelle frivole e allegre scuole argentine, nelle quali è stato rettamente formato e promosso (con decisione delli superiori, forse incauta) il regnante pontefice.
 Non ultima causa dell'imbarazzo e del disagio dei cattolici refrattari è l'applauso caloroso dei laicisti radicali, degli atei e dagli iniziati di varia e giornalistica inclinazione all'assurdo, applauso specialmente indirizzato ai più arditi e sconsiderati discorsi di Bergoglio.
 Non possiamo cedere, tuttavia, all'ingenuità e spingerci fino al punto in cui sembra lecito usare l'ignoranza e la dabbenaggine quali cause dei gravi e sottili errori, che godono, purtroppo, dell'alta e solenne impronta di quel rovinoso e raffinato delirio teologico, a tempo debito denunciato e contrastato disperatamente da padre Cornelio Fabro.
 Ora il rigore di Fabro è l'antidoto alla rilassata teologia in discesa dagli infondati entusiasmi eccitati dalla oscura teologia, gongolante nelle pagine lungimiranti, scritte da Karl Rahner, Pierre Teilhard de Chardin, Giovanni Franzoni, Yves Congar e recepita da una folla di teologi ecumenisti, abbagliati, stralunati e fulminati dalle luci della decadente e tramontante modernità.
 La serotina fragilità del pontificato di Giorgio Bergoglio e la crescente refrattarietà dei fedeli (ben visibile nei vuoti in mezzo alle radunate, in domenicale ascolto del papa argentino) induce a credere che la trionfale corsa della teologia modernizzante sia arrivata al bivio finale, in cui si rivela che l'intatta montagna dell'ortodossia sovrasta la debole, malsana palude dei teologi novisti.


Piero Vassallo

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