La ricerca della perfezione nel mondo è senza
dubbio patologica. Il perfezionista non può essere un giudice attendibile,
mancando di realismo. Tralascio il perfezionista integrale, mi interesso di
quello parziale, che pure esiste e fa danno in quanto non sembra ingiusto.
Sovente trattasi d'un tollerante, intollerante verso l'ordine che non è
liberale; ed egli può essere un generoso che predilige una soluzione politica.
Di per sé avere un'idea sull'ordinamento e sulla conduzione civile non
costituisce un impedimento all'obiettività. Ma troppo spesso uomini per certi
versi retti, nobili di sentimenti e alla prova dei fatti, uomini che sanno
apprezzare valori autentici, avviene che s'ingannino nel valutare il governo
che non condividono, misurandolo quasi col metro della perfezione, mentre, risultando
cattiva all'atto pratico la loro soluzione, la considerano perfettibile nelle
condizioni propizie e auspicabili, ora o in avvenire. Viceversa proprio
un'ingannevole concetto di perfezione (relativo alla libertà, alla giustizia,
alla presunta evoluzione, all'uomo e al cosmo) rende quel sistema
irrimediabilmente nato male.
Basterebbe che essi considerassero la serie
interminabile degli esempi forniti dai governi colorati del loro indirizzo
ideale per rendersi conto d'essere in errore. Questi signori che, se la loro
prevenzione non li tradisse, sarebbero stimabili, diventano ingiusti verso le
scelte cruciali assunte dalla parte cui essi non appartengono, scelte in
effetti indipendenti da un criterio di perfezione. La complessità della realtà
sfugge al perfezionista parziale. Gli si offre il giudizio facilmente dedotto
dagli elementi raccolti e lo abbraccia soddisfatto come fa uno che sia giocato
dalla passionalità.
Naturalmente
queste considerazioni non si applicano a quelli che oggi disprezzano il regime
attualmente in vigore e i suoi ministri. Questi ultimi e la loro ideologia sono
lontanissimi dall'impeccabilità e senza dubbio condannabili.
Ora,
quando si cerca la soluzione realistica, possibile e incolpevole, è inevitabile
volgersi alla storia e trarne insegnamento, adattare le esperienze del passato
alla mutate condizioni attuali. Ho riletto la cronaca Alamein 1933-1962 pubblicata da Paolo Caccia Dominioni di
Sillavengo, patrizio lombardo. L'autore, pluridecorato comandante di un reparto
di guastatori, aveva combattuto nella Prima Guerra Mondiale, aveva esercitato
la professione di ingegnere in Egitto e in Turchia e aveva deciso di tornare a
combattere dopo aver servito in un Ufficio Informazioni Militari ed essersi
disgustato della vita della Capitale. Dopo l'8 settembre si era fatto
partigiano. A prescindere dalla sua antipatia verso il Capo del Governo, specialmente
manifestata in occasione di episodi relativi alla presenza di Mussolini in
Libia al tempo dell'ultima offensiva che portò il fronte ad Alamein, le sue
critiche al regime si possono riassumere così. Improvvide dichiarazioni di
guerra, insufficienza dei mezzi militari, errori nella conduzione delle
campagne, pletora dei comandi e della burocrazia rispetto alle unità operative,
favoritismi di partito e corruzione della vita civile. In merito a questo
finale rilievo, gli stessi fascisti più scrupolosi, Ardengo Soffici, Barna
Occhini, si recarono a Roma per sollecitare provvedimenti. Salvo poi costatare
che il malcostume italiano era molto peggiore in democrazia, sia prima della
Marcia su Roma, sia dopo la Liberazione.
Va
notato il rispetto del Dominioni per la monarchia. Ma le dichiarazioni di
guerra furono sottoscritte da Vittorio Emanuele II, così come la conquista
dell'Impero e le opere di governo, incluse le leggi razziali e il Patto
d'Acciaio. La debolezza della macchina bellica era pure prevista, ed è
innegabile che si fecero miracoli, insieme agli inevitabili sbagli, opponendosi
alla superiorità materiale del nemico.
Vediamo
una similitudine. Se un uomo di taglia modesta si ribella e usa la forza (non
essendovi a tutelarlo un potere e una giustizia sopra ordinati) contro un
prepotente più forte di lui, che gli usa soprusi e lo minaccia nella sua
sussistenza (vedi le Sanzioni, la necessità dell'autarchia e d'un costoso
ricorso a paesi terzi per assicurarsi l'approvvigionamento di materie prime), si
accuserà il temerario o piuttosto si accuserebbe la viltà del succube? Di certo
nel 1940 le cose in Italia furono più complicate, tuttavia la sostanza fu
quella, e il popolo non era all'oscuro delle difficoltà quando colmò le piazze
per acclamare l'entrata in guerra. D'altra parte, poté non essere giustificata
l'alleanza con uno Stato riprovato dalla Chiesa. Ammesso questo errore, esso non
dipese dall'ordine politico instaurato. Anche un governo democratico può
stringere un analogo patto deplorabile.
Se
l'alleato germanico in Albania ci tolse castagne dal fuoco, l'Italia ricambiò
il favore, ad esempio in Russia. Il Dominioni illustra giustamente il valore,
l'eroismo diffuso e indiscutibile, da lui riscontrati in Africa nei combattenti
di tutti i corpi italiani, compresi quelli più legati al regime. Ed è
autorevolmente testimoniato che lo stesso avvenne sugli altri fronti. Le
giovani leve combatterono onorevolmente come quelle che già si erano distinte
nella Grande Guerra. Gli organici e gli eccessi di burocrazia dell'esercito
regio non li aveva determinati il fascismo. La relativa corruzione nel partito
e nella società rientrava nel disordine italiano di sempre. La generale
moralità fu alquanto assicurata. La Chiesa, superata la crisi del 1931, non
ebbe a lagnarsi del regime.
D'altronde l'Autore mette in chiaro la tracotanza inglese, superiore a
quella germanica. Il disprezzo ingiustificato, la slealtà, il cinismo, il
criminale sparare agli aviatori paracadutatisi dai velivoli in fiamme, i
bombardamenti degli ospedali da campo e i mitragliamenti delle ambulanze, le
menzogne denigratrici provenienti dalla propaganda e da comandanti in capo come
Montgomery, non ebbero riscontro nella nostra parte.
Morale:
la distinzione e la scelta tra il governo difettoso ma tollerabile e quello
intollerabile, soprattutto per la futura rovina morale che comporta, è
d'importanza capitale e mai abbastanza sottolineata. Ed ecco il criterio:
finché regge il presidio delle leggi giuste, il sistema è valido, rovinoso
invece il sistema per il quale i principi sono iniqui e leggi diventano
pervertite. Il fatto che oggi non si possa scegliere, non è un buon motivo per
perdere di vista i sani riferimenti.
Piero Nicola
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