domenica 8 gennaio 2017

PERFEZIONISMO PARZIALE (Piero Nicola)

La ricerca della perfezione nel mondo è senza dubbio patologica. Il perfezionista non può essere un giudice attendibile, mancando di realismo. Tralascio il perfezionista integrale, mi interesso di quello parziale, che pure esiste e fa danno in quanto non sembra ingiusto. Sovente trattasi d'un tollerante, intollerante verso l'ordine che non è liberale; ed egli può essere un generoso che predilige una soluzione politica. Di per sé avere un'idea sull'ordinamento e sulla conduzione civile non costituisce un impedimento all'obiettività. Ma troppo spesso uomini per certi versi retti, nobili di sentimenti e alla prova dei fatti, uomini che sanno apprezzare valori autentici, avviene che s'ingannino nel valutare il governo che non condividono, misurandolo quasi col metro della perfezione, mentre, risultando cattiva all'atto pratico la loro soluzione, la considerano perfettibile nelle condizioni propizie e auspicabili, ora o in avvenire. Viceversa proprio un'ingannevole concetto di perfezione (relativo alla libertà, alla giustizia, alla presunta evoluzione, all'uomo e al cosmo) rende quel sistema irrimediabilmente nato male.
   Basterebbe che essi considerassero la serie interminabile degli esempi forniti dai governi colorati del loro indirizzo ideale per rendersi conto d'essere in errore. Questi signori che, se la loro prevenzione non li tradisse, sarebbero stimabili, diventano ingiusti verso le scelte cruciali assunte dalla parte cui essi non appartengono, scelte in effetti indipendenti da un criterio di perfezione. La complessità della realtà sfugge al perfezionista parziale. Gli si offre il giudizio facilmente dedotto dagli elementi raccolti e lo abbraccia soddisfatto come fa uno che sia giocato dalla passionalità.
  Naturalmente queste considerazioni non si applicano a quelli che oggi disprezzano il regime attualmente in vigore e i suoi ministri. Questi ultimi e la loro ideologia sono lontanissimi dall'impeccabilità e senza dubbio condannabili.
  Ora, quando si cerca la soluzione realistica, possibile e incolpevole, è inevitabile volgersi alla storia e trarne insegnamento, adattare le esperienze del passato alla mutate condizioni attuali. Ho riletto la cronaca Alamein 1933-1962 pubblicata da Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo, patrizio lombardo. L'autore, pluridecorato comandante di un reparto di guastatori, aveva combattuto nella Prima Guerra Mondiale, aveva esercitato la professione di ingegnere in Egitto e in Turchia e aveva deciso di tornare a combattere dopo aver servito in un Ufficio Informazioni Militari ed essersi disgustato della vita della Capitale. Dopo l'8 settembre si era fatto partigiano. A prescindere dalla sua antipatia verso il Capo del Governo, specialmente manifestata in occasione di episodi relativi alla presenza di Mussolini in Libia al tempo dell'ultima offensiva che portò il fronte ad Alamein, le sue critiche al regime si possono riassumere così. Improvvide dichiarazioni di guerra, insufficienza dei mezzi militari, errori nella conduzione delle campagne, pletora dei comandi e della burocrazia rispetto alle unità operative, favoritismi di partito e corruzione della vita civile. In merito a questo finale rilievo, gli stessi fascisti più scrupolosi, Ardengo Soffici, Barna Occhini, si recarono a Roma per sollecitare provvedimenti. Salvo poi costatare che il malcostume italiano era molto peggiore in democrazia, sia prima della Marcia su Roma, sia dopo la Liberazione.
  Va notato il rispetto del Dominioni per la monarchia. Ma le dichiarazioni di guerra furono sottoscritte da Vittorio Emanuele II, così come la conquista dell'Impero e le opere di governo, incluse le leggi razziali e il Patto d'Acciaio. La debolezza della macchina bellica era pure prevista, ed è innegabile che si fecero miracoli, insieme agli inevitabili sbagli, opponendosi alla superiorità materiale del nemico.
  Vediamo una similitudine. Se un uomo di taglia modesta si ribella e usa la forza (non essendovi a tutelarlo un potere e una giustizia sopra ordinati) contro un prepotente più forte di lui, che gli usa soprusi e lo minaccia nella sua sussistenza (vedi le Sanzioni, la necessità dell'autarchia e d'un  costoso ricorso a paesi terzi per assicurarsi l'approvvigionamento di materie prime), si accuserà il temerario o piuttosto si accuserebbe la viltà del succube? Di certo nel 1940 le cose in Italia furono più complicate, tuttavia la sostanza fu quella, e il popolo non era all'oscuro delle difficoltà quando colmò le piazze per acclamare l'entrata in guerra. D'altra parte, poté non essere giustificata l'alleanza con uno Stato riprovato dalla Chiesa. Ammesso questo errore, esso non dipese dall'ordine politico instaurato. Anche un governo democratico può stringere un analogo patto deplorabile.
  Se l'alleato germanico in Albania ci tolse castagne dal fuoco, l'Italia ricambiò il favore, ad esempio in Russia. Il Dominioni illustra giustamente il valore, l'eroismo diffuso e indiscutibile, da lui riscontrati in Africa nei combattenti di tutti i corpi italiani, compresi quelli più legati al regime. Ed è autorevolmente testimoniato che lo stesso avvenne sugli altri fronti. Le giovani leve combatterono onorevolmente come quelle che già si erano distinte nella Grande Guerra. Gli organici e gli eccessi di burocrazia dell'esercito regio non li aveva determinati il fascismo. La relativa corruzione nel partito e nella società rientrava nel disordine italiano di sempre. La generale moralità fu alquanto assicurata. La Chiesa, superata la crisi del 1931, non ebbe a lagnarsi del regime.
  D'altronde l'Autore mette in chiaro la tracotanza inglese, superiore a quella germanica. Il disprezzo ingiustificato, la slealtà, il cinismo, il criminale sparare agli aviatori paracadutatisi dai velivoli in fiamme, i bombardamenti degli ospedali da campo e i mitragliamenti delle ambulanze, le menzogne denigratrici provenienti dalla propaganda e da comandanti in capo come Montgomery, non ebbero riscontro nella nostra parte.
  Morale: la distinzione e la scelta tra il governo difettoso ma tollerabile e quello intollerabile, soprattutto per la futura rovina morale che comporta, è d'importanza capitale e mai abbastanza sottolineata. Ed ecco il criterio: finché regge il presidio delle leggi giuste, il sistema è valido, rovinoso invece il sistema per il quale i principi sono iniqui e leggi diventano pervertite. Il fatto che oggi non si possa scegliere, non è un buon motivo per perdere di vista i sani riferimenti.


Piero Nicola

Nessun commento:

Posta un commento