Studioso instancabile, scrittore di polso e
demistificatore puntuale e implacabile, lo storico napoletano Luciano Salera è
autore di un avvincente ed esauriente saggio revisionistico, La fuga di
Garibaldi e il giallo della morte di Anita, edito in Chieti
dall'anticonformista Marco Solfanelli.
Il robusto saggio in questione fa scendere
l'impertinente e impietosa luce della verità su uno dei più strombazzati e
incensati episodi della rivoluzione massonica, la morte di Anita Garibaldi,
avvenuta nell'agosto del 1849, durante l'ultima fase della fuga precipitosa,
attuata degli eversori, dall'effimera, scellerata e iniziatica
repubblica romana.
Un monumento, in mostra squillante sul
Gianicolo, rappresenta Anita nella veste inverosimile di una cavallerizza
furente e implacabile, che ha sguainato l'eroica sciabola, scagliandosi contro
i nemici clericali.
In realtà la statuaria leggenda di Anita
sciabolatrice a cavallo rovescia la verità, che contempla una donna stremata
dalla febbre e dall'irragionevole sequela dell'avventuriero nizzardo, lo
strombazzato Giuseppe Garibaldi.
Al proposito Salera rammenta che gli storici
di scuola risorgimentista, squillanti e veneranti autori della leggenda intorno
alla monumentata cavallerizza, hanno nascosto e censurato le deprimenti
notizie sull'inferma salute di Anita: “nessun accenno alle condizioni
estreme di questa povera donna, che viene trascinata, morente, in stato di
drammatico disagio e massima precarietà, in una fuga che lasciava pochissimo
spazio alla speranza di riuscita; anzi ne lasciava talmente poca, stante la
necessità di dover trasportare quel corpo in fin di vita, da rendere ancora più
complesse le operazioni di fuga”.
L'ufficiale, lacrimosa narrazione della morte di
Anita, stremata dalle fatiche della fuga patriottica da Roma, fa parte delle
pagine apologetiche intorno al c. d. risorgimento ed è usata per censurare e
nascondere la verità, messa in luce dall'ispettore Giuseppe Radicchi, autore di
una relazione sul ritrovamento del cadavere dell'infelice sposa di Garibaldi.
Al proposito Salera scrive: “premesse le
note circostante in cui il cadavere di Anita è stato rinvenuto, il Radicchi
assicurava che questo appariva come quello di una donna strozzata … con la
lingua fuori, con gli occhi tumefatti e stravolti e con i lividi in
corrispondenza della trachea”.
Salera cita una testimonianza inconfutabile
sulla fine violenta di Anita, omicidio definito terribile misfatto, compiuto
dai garibaldini nell'agosto del 1849. Per far sloggiare (scappare) Garibaldi
dalla casa in cui si era nascosto, “si era tenuto un congresso in casa
Moreschi e alla sera era seguito lo strangolamento dell'infelice donna e la sua
sepoltura alle cosiddette motte”. La morte di Anita fu un caso di
eutanasia, delicatamente taciuto dalla storiografia di stampo massonico
e pseudo patriottico.
Gli storici propriamente detti, quelli che non
ignorano e sopra tutto non nascondono la spietatezza e il cinismo dell'eversore
nizzardo, sono fermamente convinti dell'esistenza di un'ombra scellerata
sull'avventura del Garibaldi.
L'opera di Luciano Salera, storico erudito ed
onesto e fervido patriota rinnova e accresce le ragioni della fondata
diffidenza negli ideali dei garibaldesi, falsi italiani, attivi
sul fronte massonico costituito dalla rabbiosa, laida avversione alla
Cristianità e all'ordine civile.
La memoria storica degli italiani dovrà,
pertanto, superare e liquidare l'umiliante e intossicante dipendenza dalle
pagine della storia, che sono infettate dalla lue massonica e dal furore
anticristiano.
Piero Vassallo
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