La sera
sono solito ricrearmi guardando vecchi film sul piccolo schermo. Da qualche tempo approfitto anche di una emittente
televisiva, che trasmette pellicole in bianco e nero, soprattutto americane, e
anche qualcuna italiana e francese. Sembra che, con l'andar del tempo, il
programma vada riscuotendo un buon ascolto, tanto che si sta infarcendo di
pubblicità.
In
quelle storie, in quegli ambienti compresi tra l'avvento del cinema parlato e
circa i tre quarti degli anni '50, respiro un po' di normalità, una boccata
d'aria fresca; scartando alcune vicende meno pulite o infiltrate da pesanti
venature ideologiche liberal-democratiche. Anche i kolossal americani sul
Vecchio Testamento e sugli inizi del cristianesimo, mostrano un falso e sgradito
adattamento al cattolicesimo come al
protestantesimo.
Certamente il mio ristoro si deve meno al ritrovare il tempo della verde
età che al positivo contrasto d'epoche. Tuttavia non dimentico i giudizi
puntuali di Pio XII sui troppi spettacoli che pervertivano la morale, e i
bollettini parrocchiali che apposero, sulla censura esistente, una censura al
lume del Magistero: riguardo ai film di cui si interdisse la visione ai fedeli
minori o agli adulti.
Mi è
avvenuto di vedere I peccatori guardano il
cielo, titolo italiano di Crime et
châtiment (1956) diretto dal regista francese Georges Lampin, ispirato da Delitto e castigo di Dostoevskij. Un
critico attuale ne ritiene buona la recitazione, diligente la composizione, ma
"senz'anima", assegnandovi due sole stellette. Come più volte ho
osservato, le valutazioni odierne sono generalmente invalide, essendo alterate
dai pregiudizi d'una mentalità postmoderna in sostanza incredula e
progressista.
Posso
convenire sulla recitazione accurata e sulla diligenza. Quanto al difetto di
significato autentico e profondo, direi che i personaggi eminenti, il giovane povero
intellettuale che commette l'assassinio e il maturo borghese affetto da un
edonismo di satiro, aspirante al possesso di fanciulle, il dramma del primo,
velleitario immoralista, è reso piuttosto bene, mentre la triste parabola del
secondo risente di uno svolgimento psicologico alquanto meccanico.
In una
Parigi desolata da varie miserie: quella indigente, quella dello strozzinaggio,
quella commerciale del bistrot, quella della ricca bottega d'antiquariato,
quella del superomismo dello studente fallito, si somma, proveniente dalla
provincia, la viltà d'una madre disposta ad accasare la figlia Nicole con
l'antiquario lussurioso. Anche la ragazza, sorella del ribelle universitario,
ripiegherebbe sul matrimonio di interesse, apprezzando la tenuta di carattere
dell'uomo, il quale resiste con una certa signorile padronanza agli attacchi indignati
e oltraggiosi del fratello, René.
Unico
personaggio degno, sebbene poco approfondito, è Jean, l'amico del fratello. Tra
Jean e Nicole nasce una simpatia, che prelude all'amore.
René
medita l'uccisione della vecchia usuraia. Ella tiene in casa propria un banco
di pegni. Egli vi si reca a consegnarle un orologio ereditato dal padre, senza
trovare il coraggio di attuare il crimine. Nel bistrot conosce un disgraziato
schiavo dell'alcolismo, che va mendicando un bicchiere di vino. Preso da
compassione, accompagna l'uomo barcollante sino al tugurio dove lo aspetta una
moglie tisica e due loro bambini. La famiglia vive del sostentamento procurato
da Lili, la figlia maggiore, prostituta su una banchina della Senna. Toccato
dalla scena patetica, René, non visto, lascia il denaro del pegno sopra un
canterano. Quando si accomiata, il marito ubriaco viene a raccomandargli di
badare alle scale fatiscenti, ma egli stesso, appoggiandosi alla ringhiera,
precipita di sotto sfracellandosi.
Le
emozioni mettono a dura prova la fibra del giovane squattrinato, che compie
l'insano proposito in modo malaccorto. Accoltellata la vecchia, s'impossessa di
gioie e del proprio orologio. Si sbarazza dei preziosi nascondendoli in una
pietraia di periferia. Va alla vetrina dall'odiato antiquario, che lo attira
dentro in una conversazione filosofica, al termine della quale compera
l'orologio.
Del
delitto viene accusato un imbianchino addetto ai lavori di ripristino
dell'appartamento sottostante a quello dell'assassinata. René, in fuga dopo il
delitto, ha dovuto nascondersi un po' in quell'alloggio e vi ha perduto un
monile della refurtiva. Rinvenuto dalla polizia, il gioiello sarebbe un grave
indizio a carico dell'operaio.
Il
commissario (Jean Gabin), che conduce le indagini con la solida pacatezza propria
dell'impareggiabile attore, ha due sottoposti dalle maniere rudi e sbrigative.
L'imbianchino, d'animo fragile, non regge ai torturanti interrogatori e si
libera dall'incubo confessando.
Per René
il peso della colpa diventa eccessivo. Egli ha conosciuto Lili, le confessa
l'omicidio ed ella gli offre il rifugio della sua stanzetta, dominata da un
crocifisso. Ma l'ateo non accetta un pentimento religioso. Il commissario, che aspetta
un passo falso di colui che continua a sospettare, ha notato il ritratto di
Napoleone nella sua camera sottoposta a perquisizione. Il malconcio orgoglioso gli
espone la teoria d'una differente legge morale riservata agli uomini superiori,
giustificando la sua predilezione per l'Imperatore.
Nel
frattempo, l'antiquario deve prendere atto del rifiuto di Nicole, legatasi a
Jean. Non per questo desiste. Possedendo l'orologio, la prova della
colpevolezza di René, cerca di ricattare la ragazza. In un confronto
drammatico, in cui il respinto manifesta l'invincibile disgusto di sé, della
sua esistenza abietta, provoca Nicole a sparargli per difendersi dalla
violenza. Il colpo lo ferisce appena di striscio ed ella fugge.
L'antiquario
ha davanti soltanto la morte; va a darsela proprio in fondo alla banchina dove
Lili esercita il suo turpe mestiere.
Un'insperata
fortuna procura a René una somma considerevole. Gli permetterebbe di andare
all'estero per rifarsi una vita. Egli sembra essersi riavuto. Quantunque verso la
bella Lili non manifesti un grande amore, la solitudine lo spaventa, vorrebbe
che ella lo seguisse, che ricominciassero insieme seppellendo il passato. La
pia ragazza dolcemente si schermisce, lo invita a ubbidire al gendarme della
coscienza, ottiene il ravvedimento. Egli si lascerà arrestare nella chiesa in
cui si sono recati al funerale della vecchia strozzina.
Una
storia inattuale, distante anni luce dal presente, una storia che reca una
pecca. Non si può dipingere una prostituta, sia pure diciottenne, come esempio
di bontà e di pietà. Ciò non procede senza cattive conseguenze. Il Signore
proibisce di fare il male, di continuo, per ricavarne un bene.
E allora
risorgono le sante prediche dei Pontefici, che stigmatizzarono ogni immoralità
negli spettacoli.
Piero Nicola
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