In
questi giorni luttuosi a causa di un imputato di bancarotta fraudolenta, che ha
ucciso per vendetta un giudice, un suo avvocato e un proprio socio in affari,
si è avuta un'ulteriore difesa della dignità della magistratura, soprattutto da
parte dei stessi suoi capi.
I mezzi
d'informazione hanno dato spazio e implicito consenso ai giudici che hanno
colto il destro per lamentare il discredito gettato sul loro ordine, sulla loro
potestà costituita indipendente. In tale circostanza era pur ovvio che nessuno
osasse elevare riserve e obiezioni. Ma altre volte gli esponenti del potere
giudiziario avevano parlato dall'alto della propria posizione per accusare chi
li criticasse, chi attentasse all'autonomia del magistrato, magari condizionandola
con una legge che punisse la sua colpa nell'amministrare la giustizia.
In linea
di principio, costoro avrebbero ragione. Si può anche ammettere che colui al
quale spetta di emettere un verdetto goda di alcune immunità, come, mutatis mutandis, beneficiarono di
franchigie penali e amministrative i deputati e i senatori. Ma, se osserviamo
bene la faccenda per cui esse vennero tolte (lasciando da parte i provvedimenti
legislativi presi ad hoc, come
avvenne nei riguardi di Berlusconi estromesso dal senato) troviamo una sorta di
coerenza giuridica, che dimostra la debolezza del preteso rispetto dovuto alle
corti togate.
Mi
spiego. Il giudice è, per definizione, tenuto all'imparzialità, sia nel suo
foro interiore, sia negli atti manifesti della sua vita. Dapprima, i magistrati
si attennero a tale degna deontologia relativa al loro stato. Il criterio
democratico egualitario, invece, vuole che chiunque disponga dei diritti e
della libertà previste dal democratico ordinamento. Ciò ha prodotto l'anomalia
per cui anche i membri dell'indipendente, dunque apolitico, potere giudiziario potessero
fare politica e in ogni forma consentita ai cittadini.
La
giusta e nobile rinuncia, i debito sacrificio sono estranei al principio
democratico. Ed è pacifico che esso cada e si degradi nel suo peccato
originale.
Dunque,
come in America il commissario di pubblica sicurezza, ovvero lo sceriffo, sono
alla mercé di una loro elezione politica e delle sue corruzioni, da noi ai
magistrati si diede la facoltà di manifestare le proprie ideologie, di proporsi
candidati al parlamento e a ogni carica statale, per giunta conservando il
diritto di riprendere il proprio posto nella carriera interrotta.
Se il
senso comune non è un'opinione, non si può credere alla neutralità di chi
applica la legge dovendo valutare la colpevolezza o l'innocenza, dovendo condannare
o assolvere nelle delicate e difficili circostanze d'un'imputazione, d'un
processo, quando costui è uomo di parte, uomo politico e politico nel campo
delle contrapposizioni ideologiche e delle fazioni democratiche.
Si dirà
che nessuno è esente da inclinazioni politiche, nessuno ha la mente sgombra e perfettamente
equanime. Se non esiste una simile perfezione, sarebbe forse questo un buon
motivo per allontanarsi viepiù da essa ammettendo che l'essere, già difettoso
per natura, esibisca la sua imperfezione pubblicamente con simpatie, aderendo a
questa o a quella impostazione dei problemi civili? L'adesione a un partito,
con tutto quello che soprattutto oggi comporta di corruzioni la vita partitica,
costituisce un cimentarsi assolutamente disdicevole per l'integrità del
magistrato. Egli si espone così quantomeno al sospetto di partigianeria, egli
che deve apparire del tutto irreprensibile.
La
stessa vicenda storica della nostra magistratura negli ultimi cinquant'anni, lo
stesso passaggio dal suo essere stata dignitosamente segreta nelle vita privata
e esteriormente impersonale, a un regime
di personali manifestazioni di idee e di opinioni sociali contrastanti, la
stessa divisione del corpo giudiziario in correnti sindacali di pensiero
contrastante, manifesta l'involuzione e la degradazione della sua dignità.
E allora
quale meraviglia se il popolo, soggetto alle leggi, mostra diffidenza e
scetticismo verso un potere che dovrebbe farle rispettare stando al disopra di
ogni sospetto?
Non si
può dare ad intendere che la persona allorché presiede un tribunale si sdoppi, diventando
un'altra da quella che era. E se rimane quale mostrò pubblicamente di essere,
ella dipende dal suo essere intero, non è più indipendente.
Piero Nicola
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