domenica 12 aprile 2015

MAGISTRATURA DIPENDENTE (di Piero Nicola)

  In questi giorni luttuosi a causa di un imputato di bancarotta fraudolenta, che ha ucciso per vendetta un giudice, un suo avvocato e un proprio socio in affari, si è avuta un'ulteriore difesa della dignità della magistratura, soprattutto da parte dei stessi suoi capi.
  I mezzi d'informazione hanno dato spazio e implicito consenso ai giudici che hanno colto il destro per lamentare il discredito gettato sul loro ordine, sulla loro potestà costituita indipendente. In tale circostanza era pur ovvio che nessuno osasse elevare riserve e obiezioni. Ma altre volte gli esponenti del potere giudiziario avevano parlato dall'alto della propria posizione per accusare chi li criticasse, chi attentasse all'autonomia del magistrato, magari condizionandola con una legge che punisse la sua colpa nell'amministrare la giustizia.
  In linea di principio, costoro avrebbero ragione. Si può anche ammettere che colui al quale spetta di emettere un verdetto goda di alcune immunità, come, mutatis mutandis, beneficiarono di franchigie penali e amministrative i deputati e i senatori. Ma, se osserviamo bene la faccenda per cui esse vennero tolte (lasciando da parte i provvedimenti legislativi presi ad hoc, come avvenne nei riguardi di Berlusconi estromesso dal senato) troviamo una sorta di coerenza giuridica, che dimostra la debolezza del preteso rispetto dovuto alle corti togate.
  Mi spiego. Il giudice è, per definizione, tenuto all'imparzialità, sia nel suo foro interiore, sia negli atti manifesti della sua vita. Dapprima, i magistrati si attennero a tale degna deontologia relativa al loro stato. Il criterio democratico egualitario, invece, vuole che chiunque disponga dei diritti e della libertà previste dal democratico ordinamento. Ciò ha prodotto l'anomalia per cui anche i membri dell'indipendente, dunque apolitico, potere giudiziario potessero fare politica e in ogni forma consentita ai cittadini.
  La giusta e nobile rinuncia, i debito sacrificio sono estranei al principio democratico. Ed è pacifico che esso cada e si degradi nel suo peccato originale.
  Dunque, come in America il commissario di pubblica sicurezza, ovvero lo sceriffo, sono alla mercé di una loro elezione politica e delle sue corruzioni, da noi ai magistrati si diede la facoltà di manifestare le proprie ideologie, di proporsi candidati al parlamento e a ogni carica statale, per giunta conservando il diritto di riprendere il proprio posto nella carriera interrotta.
  Se il senso comune non è un'opinione, non si può credere alla neutralità di chi applica la legge dovendo valutare la colpevolezza o l'innocenza, dovendo condannare o assolvere nelle delicate e difficili circostanze d'un'imputazione, d'un processo, quando costui è uomo di parte, uomo politico e politico nel campo delle contrapposizioni ideologiche e delle fazioni democratiche.
  Si dirà che nessuno è esente da inclinazioni politiche, nessuno ha la mente sgombra e perfettamente equanime. Se non esiste una simile perfezione, sarebbe forse questo un buon motivo per allontanarsi viepiù da essa ammettendo che l'essere, già difettoso per natura, esibisca la sua imperfezione pubblicamente con simpatie, aderendo a questa o a quella impostazione dei problemi civili? L'adesione a un partito, con tutto quello che soprattutto oggi comporta di corruzioni la vita partitica, costituisce un cimentarsi assolutamente disdicevole per l'integrità del magistrato. Egli si espone così quantomeno al sospetto di partigianeria, egli che deve apparire del tutto irreprensibile.
  La stessa vicenda storica della nostra magistratura negli ultimi cinquant'anni, lo stesso passaggio dal suo essere stata dignitosamente segreta nelle vita privata e esteriormente impersonale, a un  regime di personali manifestazioni di idee e di opinioni sociali contrastanti, la stessa divisione del corpo giudiziario in correnti sindacali di pensiero contrastante, manifesta l'involuzione e la degradazione della sua dignità.
  E allora quale meraviglia se il popolo, soggetto alle leggi, mostra diffidenza e scetticismo verso un potere che dovrebbe farle rispettare stando al disopra di ogni sospetto?
  Non si può dare ad intendere che la persona allorché presiede un tribunale si sdoppi, diventando un'altra da quella che era. E se rimane quale mostrò pubblicamente di essere, ella dipende dal suo essere intero, non è più indipendente.


Piero Nicola

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