Nel tempo remoto, in particolare gli edifici
pubblici, così come i templi, venivano costruiti per durare. Essi ricevevano
un'impronta di monumentalità. Perciò da Roma, dalla Grecia, dall'Egitto ci sono
pervenute piramidi, mura, colonnati, vestigia di teatri, di fori, di terme, d'anfiteatri,
di palazzi, di ponti e acquedotti. Né il medioevo fu da meno, lasciandoci
chiese, castelli, auguste sedi di potestà civili, che trasmettono Storia. Le
epoche successive immortalarono similmente il loro stile sin nelle ville e nei
giardini. Finché, nel secolo scorso, con lo pseudo-stile del razionalismo
s'inaugurò l'architettura momentanea,
che non si curava di parlare ai posteri. Di certo, i grandi architetti
dell'avanguardia svincolata dai canoni tradizionali non la pensarono così.
Tuttavia le opere dei fuoriclasse si
mantengono a fatica, sotto la campana di vetro della fama accademica e di restauri
estenuanti. Nell'Occidente evoluto le opere non transeunti cominciarono a
scarseggiare.
L'Italia
di quel periodo fece eccezione. Allora si continuò a usare rivestimenti e
strutture fatti per sfidare le ingiurie del tempo, ed essi armonizzavano con
una ammodernata classicità delle linee e degli stilemi.
Da noi si
proseguì a costruire senza risparmio di spazio, ubbidendo ai criteri di una
grandezza consona ai criteri della salubrità, dell'igiene. Le scuole, già dagli
inizi del '900 venivano edificate con aule di ampie dimensioni specie in
altezza, con finestre che immettevano luce abbondante e che non era necessario
aprire, giacché, sotto i davanzali avevano aperture tipo feritoia, per un buon
ricambio dell'aria.
Nel
dopoguerra del benessere tanto spreco di ornamento e di spazio fu considerato vecchio
e antieconomico. Negli ospedali, negli edifici pubblici, nelle scuole, ovunque
fosse possibile si cominciò col ribassare i soffitti, col restringere e
suddividere gli ambienti alzando tramezze e paratie. Ma tra il controsoffitto e
il soffitto, nel vuoto usato per farvi passare ogni sorta di tubi e di cavi,
dapprima si dovette ignorare che cosa potesse succedervi, poi, fedeli alla
parsimonia, infine costretti a risparmiare, si omise l'installazione delle spie
che rivelassero guasti o crepe dovute a infiltrazioni d'acqua o ad altri
accidenti.
Pur non
essendomi esaurientemente documentato sull'origine degli incidenti più o meno
gravi accaduti nelle aule, dove calcinacci o pezzi di soffitto sono caduti addosso
agli allievi, appare affatto verosimile che in molti casi le cose siano andate
quali conseguenze di quanto ho esposto sopra.
Circa le
costruzioni per uso abitativo o per usi della comunità compiute dopo la
ricostruzione postbellica, cioè quando lo stesso aspetto esteriore veniva
lasciato anonimo e sempre più assumeva il carattere dell'utilità priva di valore
estetico, ossia prendeva la foggia dello scatolone un po' adattato, mette conto
riportare un servizio giornalistico che ho letto su un quotidiano piuttosto
controcorrente.
La
notizia è degna di nota, come è da notare il silenzio dell'informazione su di
essa, su un dato notevole della catastrofe che ha fatto parlare e scrivere molto,
restando fonte di commemorazioni, di recriminazioni e di polemiche. Si tratta
dell'Aquila terremotata.
Orbene,
all'Aquila hanno subìto crolli o gravi danni case, chiese, palazzi edificati
prima del Ventennio o dopo il Ventennio: le costruzioni stile Novecento ne sono
uscite quasi indenni.
Perciò è
scontato che nel tempo della precarietà, nella cui fuga in avanti i nababbi
d'Arabia elevano grattacieli fantasiosi che arieggiano gli scenari teatrali,
che oggi ci sono e domani, cambiata la moda della messa in scena, vanno alla
rottamazione, è scontato, dicevo, che quando la ricca, emblematica Las Vegas
appare un gigantesco Paese dei balocchi, destinato a cambiare faccia di più e
magari più in fretta dell'aggiornamento d'una Disneyland, i nostri ponti contemporanei
possano crollare, le strade nuove sprofondino e le autostrade scivolino a
valle, i palasport si affloscino come castelli di carte, la Nuvola dell'EUR
abbia abortito come una Torre di Babele, e via dicendo. Qual è il nesso? La
follia dell'usa-e-sostituisci, il malato bisogno di nuovo, insensibile alla
civiltà, risiedono in una corruzione dello spirito: eletta matrice della
corruzione venale sia di mafie spadroneggianti, sia della debolezza comune che
vi fa riscontro.
Futile
indignarsi del dissesto idro-geologico non prevenuto, sprecato scandalizzarsi
perché Pompei va in rovina. La rovina sta negli animi postmoderni, magari affascinati
dalle antichità oltre l'interesse economico del turismo, ma lontani dalla
giustizia e dal suggello, variamente misterioso, messo dal Creatore su tutte le
cose.
Gira e
rigira, rieccoci a toccare con mano la corruzione nel sordido effimero di
questa evoluzione democratica.
Piero Nicola
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