domenica 26 aprile 2015

L'IMMORALITÀ PUÒ ESSERE BELLA? (di Piero Nicola)

La storia è vecchia e purtroppo sempre si ripete. Che negli ambienti artistici, della critica d'arte e, disgraziatamente, scolastici, per la bellezza delle umane creazioni si debba prescindere dal loro significato morale, è una massima sostenuta e accettata salvo poche eccezioni.
  L'invenzione estetica, l'espressione resa magistralmente assurgerebbero a un valore assoluto, sicché la moralità del contenuto scomparirebbe o sarebbe affatto secondaria. Invece il Bello non è il Bene. Storia vecchia!
  Perciò, qui, la sciocchezza paludata e quella conformista non hanno scusa. Ma farebbe meraviglia che la crema dei pensatori e dei valutatori cada così miseramente, se non fosse per noi pacifico che i sapienti del mondo, ad esso vincolati, finiscono nell'idiozia.
  Qualsiasi opera umana implichi un giudizio sul bene e sul male, che proponga cosa onesta oppure disonesta, sarà buona o cattiva, benefica o malefica, secondo i casi, qualunque ne sia il pregio artistico.
  Un articolo di giornale di questo 25 aprile si annuncia col titolo La poesia è bella o brutta, né morale né immorale. La sentenza viene da Oscar Wilde. Per concessione dell'Editore Lindau, il quotidiano riproduce un'intervista rilasciata dal celebre poeta irlandese - che soggiornò negli Stati Uniti durante il 1882 - a un giornalista del San Francisco Morning Call.
  In realtà, la sostanza delle domande e delle risposte lascia il tempo che trova. La disistima verso gli inglesi che ignorano il singolare rinascimento del loro paese nel XIX secolo, è propria del noto scrittore raffinato, sferzante e paradossale. Tuttavia interessa l'origine della pur logora uscita del ventottenne Wilde il quale, dicendo d'aver ricevuto le osservazioni dei critici a lui contrari solo come ci si può trovare in una giornata uggiosa, rileva negli appunti che gli vengono mossi un moralismo fuori luogo.
  Per capire come nelle contrade anglosassoni, già infestate dalle eresie protestanti e dal liberalismo più o meno democratico, resistesse il senso della legge di natura (per cui anche Oscar Wilde venne condannato a due anni di carcere per aver dato scandalo di omosessualità), occorre considerare che le popolazioni cristianizzate da secoli conservarono nei costumi e nell'animo il retaggio della legge ecclesiastica, di cui si sarebbero disfatte quasi del tutto soltanto ai nostri giorni, adagiandosi nell'ignavia coltivata dai parlamenti e dai governi. Non fu semplicemente il puritanesimo dell'Est statunitense (quello, per intenderci, della secentesca caccia alle streghe) a reagire condannando le trasgressioni impudiche e i perversi insegnamenti. Le lusinghe democratiche, via via sviluppate e assodate in norme civili, erano ancora insufficienti per spazzar via una certa regola dell'onestà.
  Tornando a noi, l'infiltrazione infettiva nelle anime prodotta dall'arte idolatrata avrebbe l'aria di qualcosa di poco conto e di effetto assai circoscritto. Al contrario, per un dato strato sociale l'arte può essere un efficace veicolo di seduzione. Da esso ricevono un ulteriore logoramento le difese immunitarie contro la derubricazione di peccati mortali, la quale è più che mai in voga e, in pratica, sancita dal clero alto e basso.
  Ma anche il caso delle case editrici che pubblicano lavori dell'ortodossia cattolica o vicini ad essa, mentre ospitano nei loro cataloghi libri eterodossi o finanche complici della licenziosità, senza che gli autori di sicura fede cattolica mostrino sconcerto, anche questo fenomeno contribuisce allo scandalo. Per esso,  incerti e dubbiosi possono pendere dalla parte sbagliata.
   Alimenta l'insensibile ubriacatura dei deboli il quotidiano che riferisce una falsità propinata per vera da un personaggio famoso e grande nel suo genere, falsità deleteria e avvalorata dalla una sottintesa approvazione.
  Facendo la conoscenza dei deboli e buoni, che si adattano ai nuovi costumi pervertiti (p.e. liberi rapporti sessuali, convivenza di coppia, divorzio) e che credono alla propaganda delle libertà innaturali, il loro disagio parrebbe rivolto soltanto verso la corruzione e l'inettitudine dei poteri pubblici, verso alcuni disordini del consorzio umano. Invece la loro passività, che pure approfitta di diritti abusivi instaurati, non li salva da una contraddizione per cui restano privi della bussola nei passi cruciali e privi della fede intatta. 
 

Piero Nicola

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