A circa un
settantennio dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, è
possibile trarre un bilancio consuntivo sul periodo storico relativo, che punti
a un deciso superamento della situazione politica e quindi degli equilibri tra
le componenti partitiche che ne hanno animato la vita istituzionale.
Il problema del
superamento di tale equilibri e della relativa situazione istituzionale
complessiva che ne ha fatto da sfondo, si pone con particolare interesse per
quanti ritengano che quel bilancio sia sostanzialmente negativo, e comunque
tale da non poter prefigurare una continuità storica col recente passato
politico, e perciò auspicano una svolta decisiva, a partire dalla revisione
radicale della stessa Costituzione.
Infatti il quadro
storico e ideologico che l’ha formata e giustificata è profondamente cambiato,
anche se sopravvive per inerzia nelle rappresentanze politiche attuali, le
quali, pur con nomi e programmi aggiornati nel tentativo di mascherare il vuoto
venutosi a creare con la fine della guerra fredda, hanno perseverato nel senso
della sostanziale continuità ideologica coi primi movimenti repubblicani a cui
si ispirano e in cui si sono allevate idealmente le loro classi dirigenti.
Rispetto al nuovo
quadro storico della società italiana attuale, l’elemento politico e
istituzionale ispirato dalla Costituzione repubblicana rappresenta un notevole
anacronismo, ormai insopportabile, sia per le incongruenze culturali con la
mutata coscienza nazionale ed europea, che per la disfunzionalità rispetto alle
concrete esigenze di governo di una realtà sociale in rapido sviluppo e
movimento. E pertanto nessun riferimento ideologico ai partiti repubblicani
tradizionali potrà interessare un movimento politico autenticamente riformatore
e responsabilmente consapevole dei bisogni dell’Italia contemporanea e del suo
ruolo internazionale nel nuovo scenario geo-politico globale.
Al contrario, un
autentico movimento riformatore deve fondare la sua proposta politica nuova sul
fondato presupposto che le culture politiche del periodo repubblicano siano
storicamente superate e perciò consegnate a un irreversibile passato
ideologico, che ha contrassegnato la storia italiana ed europea per la sua
violenta semplificazione degli indirizzi ideali della cultura moderna nel senso
di una contrapposizione politica, la cui faziosità ha notevolmente compromesso
la crescita spirituale delle nuove generazioni attivamente o passivamente
coinvolte nel suo perverso radicalismo dottrinario.
Le stesse culture
politiche che si fronteggiavano socialmente alla ricerca del consenso popolare
e del potere istituzionale, sono state all’origine del patto costituente
repubblicano, dando vita a una carta costituzionale che ideologicamente le
rappresentasse, spesso senza coerenza, ma che, nella lotta politica e nella
rivalità ideologica, fungesse comunque da riferimento etico comune.
Per le sue
caratteristiche ideologicamente contraddittorie, che registrano la compresenza
nello stesso testo normativo di programmi di cattolici e comunisti, di liberali
e socialisti, in tutto divisi tranne che nel comune riferimento costituzionale,
l’unico punto di coagulo di una così eterogenea Costituzione è rappresentato
dalla sua contrapposizione ideologica alla cultura fascista, la cui fine
politica ha coinciso con la fine stessa della Guerra, e quindi a sua volta
anacronistica e puramente simbolica.
D’altro canto, però,
l’unità anti-fascista rappresentata dalle componenti costituenti della
Repubblica, è stata conseguita sulla divisione ideologica della società
italiana in due tronconi culturali, solo uno dei quali era quello
anti-fascista, restando l’altro quello da convertire ai valori espressi dalla
unità costituente. Tra questi anche il comunismo, contro il quale si battevano
a livello internazionale le forze di democrazia cristiana, liberale e
socialista alleate costituzionalmente ai comunisti locali nel comune fronte
anti-fascista. La distinzione tra comunismo politico e comunismo ideologico, è
stato uno dei motivi più perniciosi della dissoluzione della cultura italiana,
alla cui tradizione si è sovrapposto un dibattito ideologico imbastito di vieti
luoghi comuni perché tutto concentrato sulle contingenti questioni della
politica elettorale, la cui volgarizzazione ha indotto a credere nel fattibile
coinvolgimento politico delle masse, e quindi nella possibilità che fosse
possibile governare un grande paese semplicemente ricevendo il loro consenso
elettorale.
A tale divisione
ideologica tra fascisti e anti-fascisti, bisogna aggiungere la ulteriore
divisione nazionale tra monarchici e repubblicani già consumata dall’equivoco
referendum istituzionale del 1946, il cui esito, al di là delle discutibili
modalità, sancì in ogni caso la spaccatura degli italiani in due metà pressoché
uguali, una delle quali prese il potere misconoscendo la volontà dell’altra, e
stabilendo le forme istituzionali del regime repubblicano senza che l’altra ne
fosse partecipata e rappresentata.
Questo grave limite
etico-politico delle forze repubblicane, che si mostrarono in questo più
arretrate dello stesso Fascismo storico, che aveva teso a superare a suo modo
le divisioni nazionali createsi nel periodo risorgimentale e confermate nello
Stato liberale, fu aggravato dalla esclusione dal governo della Repubblica dei
comunisti, i quali, pur co-estensori ideologici della Costituzione repubblicana
e partecipi a pari titolo con gli altri partiti politici alla competizione
elettorale, furono ritenuti inidonei a governare il nuovo Stato per via della
loro ideologia totalitaria, già ritenuta valida per il suo anti-fascismo e
discriminata ora solo per ragioni internazionali, contribuendo surrettiziamente
ad accreditarla moralmente.
La metà repubblicana
dell’opinione pubblica italiana fu dunque ulteriormente dimezzata per
l’esclusione dei comunisti dal governo, sicché una strenua minoranza ideologica
poté governare l’Italia conseguendo una maggioranza elettorale praticamente
senza alternative politiche.
Questa minoranza
ideologica repubblicana, anche se solidale nel governo dell’Italia, comprendeva
al suo interno indirizzi culturali che si erano per secoli politicamente
opposti, per cui la loro concreta azione di governo è stata caratterizzata da
una contraddittorietà e frammentazione di indicazioni ideologiche che solo la
situazione internazionale bi-polare riusciva a coprire in nome della stabilità
politica della parte occidentale, le cui incongruenze locali passavano in
secondo piano rispetto alla sua tenuta complessiva.
Senza un serio
ricambio politico al governo del paese, e senza una alternativa culturale
nazionale che superasse il riferimento ideologico anti-fascista della
Costituzione, la lotta politica nell’Italia repubblicana si articolò entro un
attempato orizzonte ideale, in cui le posizioni contrapposte riflettevano alla
fine del sec. XX tradizioni e scenari sette-ottocenteschi, spesso neppure del
tutto compresi e perciò mal divulgati per rendita di posizione e senza il loro
spirito originario, peraltro inattuale nella società del tempo.
Il frutto socio-culturale
di questa situazione irresolubilmente problematica e contraddittoria è sotto
gli occhi di tutti, soprattutto di chi ne ha fatto generazionalmente le spese
maggiori, ossia i giovani, che hanno ereditato un corpo politico molto malato,
inconsapevole della sua malattia e languente in una struttura
sanitario-istituzionale molto arretrata per cultura medica e inidonea a
praticare efficaci terapie di risanamento civile.
In un contesto
internazionale completamente nuovo rispetto a quello che diede vita alla
Repubblica, oggi l’Italia si trova a gestire una eredità molto pesante,
soprattutto per i debiti accumulati in decenni di contraddizioni politiche e
assopimento ideologico, ossia di irresponsabilità etica verso le future
generazioni, che dimostrano di essere a loro volta del tutto impreparate a
gestire l’emergenza nazionale, continuando a offrire il loro consenso a
movimenti e tendenze logorate dall’inerzia culturale, o a formazioni recenti ma
improponibili per la disparità qualitativa delle loro risorse rispetto
all’entità dei problemi reali cui dovrebbero far fronte.
Un serio rinnovamento
etico-politico in Italia non potrà mai conseguirsi senza un previo rinnovamento
culturale, per cui non è realistico attenderlo dai movimenti politici
attualmente protagonisti della vita pubblica nazionale. D’altronde, i tempi
lunghi di ogni rinascita spirituale di una nazione non consentono, al di là di
ogni buona intenzione, quella necessaria urgenza richiesta dai pressanti
problemi economici e sociali lasciati in eredità da una politica fallimentare e
irresponsabile, per cui una seria e responsabile azione riformatrice deve
partire dalla consapevolezza che la società italiana è attualmente sprovvista
di una classe dirigente adeguata ai suoi problemi, e che ogni impegno dello
Stato e dei suoi organismi istituzionali deve essere profuso nella direzione
della sua formazione. A partire dalla scuola e dall’università.
Senza una scuola che
sia al contempo formativa e selettiva, cioè giusta e nello stesso tempo
efficiente, non potrà rinascere nessuna società, locale o nazionale che sia. E
proprio dal settore della cultura e dai suoi organi, pubblici ma anche privati,
deve partire il percorso del rinnovamento spirituale nazionale. A questo
proposito, nessun movimento riformatore può esimersi dal considerare la
priorità che la formazione culturale dei giovani deve avere ai fini stessi
della possibilità di un suo proficuo impiego nello sviluppo della vita civile
ed economica del paese.
E proprio l’economia
costituisce l’altro campo d’intervento dell’azione riformatrice. Non in
direzione di una programmazione statalistica e dirigistica delle forze
economiche, ma al contrario di un loro migliore impiego razionale, nel rispetto
dei valori fondamentali della civile convivenza, e non malgrado essi. In tal
senso, ogni ideologia liberistica fondata su un’etica utilitaristica che
pretenda di compensare la ricchezza dei pochi - spesso fortunati sol perché più
cinici degli onesti sfortunati - con l’indigenza dei molti, non soddisfa la
crescita civile dei cittadini, e quindi va bandita come moralmente perversa.
La logica
utilitaristica, infatti, denegando ogni valore umano che non sia l’affermazione
individuale, esalta la sola capacità di sopravvivenza dell’uomo come animale
politico, riducendo la sua esistenza a una lotta concorrenziale entro la
specie, all’insegna di un regresso antropologico inammissibile, dopo due mila anni
di Cristianesimo e di esperienza spirituale, per la più matura coscienza
europea.
Ai fini della ripresa
economica dell’Italia, nel quadro del benessere complessivo della comunità internazionale,
un governo riformatore dovrebbe puntare a tre obiettivi fondamentali e
inderogabili, il primo dei quali è il risanamento della spesa pubblica, il
secondo è la riduzione dei gravi fiscali diretti e indiretti, compreso il costo
del lavoro, e il terzo è il massiccio investimento di risorse nella ricerca scientifica
e nello sviluppo culturale.
Circa il primo
obiettivo, che è il risanamento della spesa pubblica, non si potrà attenere
alcun significativo risultato mantenendo l’attuale struttura
burocratico-amministrativa dello Stato, per cui si deve procedere a un riassetto
organico della pubblica amministrazione, che implica il profondo rinnovamento
degli assetti costituzionali di cui si diceva sopra.
Tale riassetto dovrà
riguardare :
a)
la riforma dell’attuale sistema
parlamentare in senso del netto rafforzamento dell’organo di governo e la
riduzione drastica del numero dei parlamentari e delle competenze di una Camera
semplificata ed efficiente;
b)
la abolizione delle regioni e la
trasformazione delle attuali province in distretti inter-comunali
rappresentativi del governo territoriale, costituito dagli stessi sindaci dei
Comuni compresi nel territorio provinciale. La drastica riduzione del personale
politico professionale e delle sue spese di mantenimento, costituirebbe un
enorme vantaggio per la collettività locale e nazionale, con conseguente
riduzione della tassazione utile a mantenerlo e rafforzamento del ruolo delle
amministrazioni comunali, che sono i riferimento più prossimo dei cittadini;
c)
il riassetto della spesa sanitaria
nazionale, che impegna la maggior parte del bilancio dello Stato e
costituisce la maggior fonte di reddito illegale a spese dei contribuenti. A
questo proposito, andrebbe abolita l‘assistenza obbligatoria a favore di una
libera scelta dei cittadini, che possono richiederla attraverso un pagamento
volontario preventivo sotto forma di detrazione fiscale vitalizia e ottenerla
così alla bisogna per sé e familiari a carico senza altri oneri, che invece
sarebbero a carico di chi decida di usufruirne a sua discrezione e perciò a sue
spese. Questo aumenterebbe la professionalità dei servizi non più massificati e
un risparmio dell’erario e dei singoli contribuenti.
In ultima istanza, il
risanamento civile dell’Italia passa attraverso lo sviluppo del ruolo della famiglia nella società, quale centro non
solo di formazione morale e civile dei cittadini, ma anche di assistenza
economica integrata. Infatti la forza morale ed economica della famiglia si
ripercuote sul tessuto generale della società in termini di maggior autonomia
dei singoli componenti dallo Stato, il quale se ne avvantaggerà a beneficio
comune per i minori oneri sociali cui è costretto a provvedere a seguito della
frantumazione dei nuclei familiari, la cui polverizzazione andrebbe contrastata
attraverso incentivi economici favorevoli alla convivenza. E questo, da un
lato, rendendo molto onerose le separazioni dei coniugi e quindi sconsigliabili
quelle per futili motivi, e dall’altro liberalizzando la disponibilità
ereditaria dei patrimoni familiari nell’ambito del nucleo familiare legalmente fissato,
al fine di consentire le concentrazioni dei beni nelle mani degli eredi
ritenuti più meritevoli di disporne da parte di chi li ha a sua volta creati o
custoditi lungo una vita. Questo favorirebbe la solidarietà familiare anche in
senso economico, rendendo meno facile la dispersione della proprietà e meno
vantaggiosa quella dei nuclei familiari. Una famiglia più raccolta e solidale è
una famiglia più forte e benestante, il cui potenziale sociale riduce in
proporzione le onerose opere assistenziali dello Stato.
Ma la
responsabilizzazione etica delle comunità familiari produrrebbe anche un
accrescimento dei valori solidali, arginando l’imperante dissoluzione morale
delle società contemporanee, incapaci di trovare una ragione di convivenza che
non sia dettata da motivi di interesse meramente economico, venuti meno i
quali, non soltanto i nuclei familiari tendono a sciogliersi, ma gli stessi
assetti sociali vengono a perdere le ragioni morali della convivenza di fronte
alle crisi che nessun regime politico umano può del tutto scongiurare né una tantum risolvere.
Costantino Marco
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