La
Domenica delle Palme il Messia venne accolto in Gerusalemme trionfalmente. Sul
suo passaggio la "folla" stese suoi indumenti, in segno tangibile di
un devoto riconoscimento. "Benedetto colui che viene, il Re, nel nome del
Signore!" Il venerdì successivo lo stesso popolo, suggestionato dai suoi
capi, volle che Cristo fosse crocifisso, scegliendo la salvezza del ladrone
Barabba.
Di
analoghi voltafaccia la storia abbonda per opera dell'uomo di sempre. Non
tenerne conto riguardo a quelli dotati del carisma di capo (p.e. un semplice Berlusconi,
almeno di qualche anno fa) che intendano rifondare la vita pubblica, significa porre
una grave remora al successo.
Al
momento, non esiste sulla piazza ombra di qualcuno che abbia la qualità
necessaria a concretare la fausta rivoluzione. Non mancherebbero invece i
pensatori, i proponenti le soluzioni politiche abbastanza idonee a rimettere in
sesto la baracca statale, esisterebbero i fornitori di programmi servibili per
chi venga a metterli in pratica.
Ma
lunghi anni di un regime elettorale che, pur manovrando la massa a suo talento,
è in qualche modo sospeso al suo consenso, lunghi anni di pregiudizio
democratico, di regno dei consumi e della pubblicità commerciale, lunghi anni
in cui si è dato per scontato che la mentalità e la cultura affermate fossero
un dato di fatto, rimediabile soltanto rieducando la gente, a partire dalla
scuola, questa lunga epoca ha fatto perdere di vista la realtà di cui sopra,
cioè l'immediata conversione del popolo e l'impossibilità di cominciare
partendo dalla sua rieducazione alle benedette tradizioni.
Risulta
velleitaria ogni pretesa di persuadere per mezzo della giustizia e del naturale
buon senso, mettendosi in concorrenza con le forze maligne e corrompenti.
Soltanto un santo enorme o un grande capopopolo (per il quale fa ridere il
marchio di populista o il timore di dirigismo) sarebbe all'altezza dei tempi, e
la loro azione comincerebbe dalla fine: un capovolgimento immediato delle
credenze e degli usi e costumi ritenuti consolidati. L'esaurimento odierno è
universale.
Un
altrettanto nostrano intoppo consiste nel giudicare la disgraziata condizione
in cui si vive propria dell'Italia, o che questa sia in ogni caso impotente di
fronte al dominio straniero e mondiale, o che da un paese qualunque della terra
non possa partire la riscossa conquistatrice, o che essa non debba accendersi
proprio nel centro del potere egemone.
Perciò,
a mio avviso, gli intellettuali intesi a fornire gli strumenti del buon governo,
dovrebbero deporre i concetti di attuale stato delle cose e delle menti, i
quali fanno capo, lo si voglia o no, alle trite idee di progresso, di rinnovamento,
di irreversibile avanzamento civile in parallelo con le, di per sé, neutre novità
della tecnica cibernetica o comunque scientifica.
D'altronde, in fondo, la gente, rassegnata alla sua miseria e drogata
dalla propaganda lusinghiera come dai vari concreti allettamenti, procede nel
malessere e ne risente quanto mai. Essa è intimamente scettica sull'attuale
impostazione della vita e pronta al cambiamento radicale.
Ma non
si zavorri il piede degli auspicati mondani salvatori prescrivendo cure blande
e femminee, mettendo loro avanti cauti procedimenti per convincere il popolo a correggersi,
a liberarsi dei suoi vizi, a adottare sistemi migliori, con riguardo alla sua
presente realtà. Essa dev'essere e può essere sbandita d'un sol colpo.
Piero Nicola
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