sabato 20 settembre 2014

LE TENIE E IL TEMPO ANDATO (di Piero Nicola)

Il termine tenia, di certo inelegante ma efficace, fu coniato da L.F. Céline quale epiteto di suoi colleghi nell’arte dello scrivere, che, a suo avviso, saccheggiavano lo stile e le idee altrui per foggiare i propri componimenti.
  Il medesimo appellativo si potrebbe applicare a cineasti, registi teatrali et similia che, con qualche pretesto, si appropriano di un soggetto, di un testo e di un titolo appartenenti all’opera d’un autore del tempo che fu per rielaborarne la trama, le azioni, i dialoghi aggiornandoli secondo il gusto d’oggidì, ambientando in parte o del tutto la vicenda nella modernità, con l’abuso di quel titolo notorio sia per reminiscenze scolastiche e culturali, sia perché rimasto in locuzioni del linguaggio corrente.
  Sono ormai più di cinquant’anni che isteriliti operatori dello spettacolo attuano, a piacimento, simile indegno plagio. Essi non devono pagare lo scotto dei diritti d’autore, né trovano gente dabbene che rinfacci loro l’espediente con cui rimediano all’impotenza che li affligge.
  Purtroppo il pubblico si è assuefatto a vedere i personaggi di Shakespeare, Goldoni, Molière, Goethe, Verga, Pirandello, ecc. in vesti moderne, in attitudine pop, in scenografie squallide e sommarie, sopra palcoscenici bui (il buio delle scene è ormai diffuso arbitrariamente e fa il paio con le spettrali illuminazioni di troppi musei). Questo pubblico rassegnato ormai non storce il naso, non opina, teme di farsi tappare la bocca da persone à la page o da addetti ai lavori, che lo guarderebbero dall’alto in basso commiserandolo.
  I succhiatori della digestione altrui attraverso canali immondi, hanno rielaborato altresì le sostanze del teatro lirico e ne rilasciano aborti deformi. Ancora nel dopoguerra permaneva il rispetto del musicista e del librettista. Pellicole in bianco e nero resero agli spettatori delle sale di proiezione La Sonnanbula, L’elisir d’amore, Il barbiere di Siviglia, Aida, affidati a ottimi interpreti, e storie dei maggiori compositori italiani, corredate da brani di opere in esecuzioni prestigiose. Il film Carmen Jones del 1954, ispirato all’opera di Bizet, non fu biasimevole.
  I rifacimenti di vecchie pellicole non sono cosa nuova né recente, e spesso superarono gli originali. Ma, da quando ci si mise in testa che i costumi del passato erano peggiori e rappresentati ipocritamente dalle fabbriche dei sogni, anche la riproposta delle vite del passato divenne canagliesca e denigratoria.
  Il peggio dell’andazzo si è avuto con i Vangeli, con la vita di Nostro Signore, nel migliore dei casi interpretata conforme allo spirito conciliare e post-conciliare. Eccezione che conferma la regola fu, tutto sommato, La Passione di Mel Gibson.
  Non intendo sconfinare nel falsi storici, già da un pezzo propinati dallo schermo grande o piccolo.  Mette conto di colpire certi luoghi comuni che concorrono al falso, branditi come aurei arnesi con cui abbattere ogni paragone tra la vecchia cinematografia e quella posteriore. Alcuni critici in cattedra sostengono che la produzione, corrispondendo necessariamente e strettamente alla vita attuale, il cinema è ognora vincolato all’attualità. Solo Charlot sarebbe sempreverde e giammai datato.
  La baggianata si smonta in quattro e quattr’otto. Quando l’opera è buona, regge e vale per sempre. Quando essa si fa condizionare dalla moda e dalla mentalità corriva e difettosa di un’epoca, il suo valore è scarso o nullo.
  Se prendiamo il Giulio Cesare o il Romeo e Giulietta o il Re Lear di Shakespeare o l’Edipo Re di Sofocle, costatiamo che sono lavori godibili adesso, ieri e l’altro ieri, purché vengano riprodotti fedelmente rispettando il testo, le disposizioni e lo spirito dell’autore. Il pregio della regia e dell’interpretazione sono l’arte di corrispondervi al meglio, pur senza escludere un’influenza del contingente. Influenza, che dipende dal punto di vista filosofico del momento, anche manifestato in senso critico nei confronti del pensiero dominante.
  Non dico che i contenuti di tali tragedie debbano considerarsi oro colato e che il cattolico non debba guardarsi dalle loro deviazioni morali o religiose. D’altronde, non sono certo i nostri contemporanei rifacitori ad apportare le correzioni in modo ortodosso. Al contrario! Essi pervertono ciò che di sano possa trovarsi nella filosofia degli antichi e degli elisabettiani. Inoltre, usano uno stile imbarbarito dall’adesione all’onda nichilista e alla forma mentis del popolo, il cui gusto è viziato dalla cultura imperante.
  Sicché, appare peggio che gratuito l’intento di aggiornare i capolavori: appare un chiaro segno della pochezza di questo mondo intellettuale, sia in quanto a esausta creatività, sia in quanto, a furia di edonismo e di materialismo, esso riduce tutto sul piano dei sentimenti grossolani, subordinati alle false ragioni dei sensi, alla schiavitù degli appetiti, ai diritti abusivi accordati alle passioni, alle passioni adonestate dalla vigente libertà democratica.
   I film storici si producono ancora, inclusi i film western. E, se è vero che il tempo presente lascia la sua impronta sulle rappresentazioni di età lontane, giova l’insegnamento che si trae dal confronto fra il genere western anteriore agli anni Sessanta e quello successivo a tale data: il confronto mette in rilievo la ragguardevole onestà precedente rispetto alla successiva disonestà sovente spudorata.
  Alla stessa stregua, il decadimento avvenuto salta all’occhio allorché i registi ripropongono i fatti della grecità, della romanità, del medioevo, o storicamente la vita degli anni Cinquanta, se vi affianchiamo sincere immagini e scene della stessa vita tramandate dal cinema di allora, tanto in Italia che in America. - Quando non bastassero le testimonianze dei testimoni spassionati non ancora defunti.
  A che pro volgersi indietro a situazioni storiche differenti, che non possono ripetersi, essere riprodotte? Il motivo sussiste. L’uomo odierno redimibile spesso non sa da che parte rifarsi per uscire dalla bassura che l’avvilisce, anzi vi è rassegnato, adattandosi e contaminandosi. Egli si ritira con scarso giovamento nel proprio buco, perché gli manca l’idea della soluzione morale privata e civile. Ma, siccome l’uomo morale è sempre lo stesso e i suoi problemi fondamentali non mutano in qualsiasi epoca e circostanza, osservare nella giusta ottica e attentamente il proprio simile nella storia lontana o in quella più vicina accende il lume con cui si offuscano i pregiudizi, con cui si abbattono i falsi principi, con cui si afferrano le norme eterne tralasciate e si riprendono per abolire le contrarie, per risolvere i problemi attuali.

Piero Nicola

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