1974-2014: quarant'anni di regresso sociale
La cultura di massa
contro la famiglia
Nel 1974 l 'infausto esito del
referendum per l'abrogazione della disgraziata legge Fortuna-Baslini rivelò che
la maggioranza degli italiani era in rivolta contro la dottrina sociale della
Chiesa cattolica e finalmente risoluta a percorrere la strada del disordine
sfascista e della violenza in famiglia. Iniziava l'oscuramento dell'Italia
cristiana.
Purtroppo
la classe dirigente democristiana (fatta eccezione di Amintore Fanfani) si
defilò per evitare il conflitto con gli alleati laici. Gli studiosi cattolici,
fatta eccezione di Gabrio Lombardo, Sergio Cotta e Augusto Del Noce
disertarono. Il clero postconciliare fece il possibile per raffreddare il clima
del dibattito. I preti più aggiornati contestarono addirittura i motivi
dell'opposizione al divorzio.
A monte del divorzio agivano forze spumeggianti e festose: la
giurisprudenza in bleu bas, la pseudo
scienza psicoanalitica, il giornalismo d’ispirazione esoterica, il libertinismo
a fumetti, la saggezza delle parrucchiere filosofanti, gli slogan incendiari
delle femministe, i consigli uterini delle cartomanti, le pozioni delle maghe
televisive, lo sfavillio dei rotocalchi aperti in tutte le direzioni della
pornografia.
A valle prosperavano gli
alberi della rapinosa cuccagna, sui quali abitavano pagliette & psicologi
ad alta tariffa e a bassa preparazione, gazzettieri incappucciati, pornografi
da premio letterario, politicanti senza pudore, fedifraghi e fedifraghe omologati,
cornuti d'alto bordo, preti di varia e squillante mondanità.
r
L'improvvisa dissolvenza delle cattedre
marxiste e l'incenerimento dei pulpiti sovietici, avviò un breve cambio di
scena: la cultura all'avanguardia in Occidente mise in dubbio la bontà del
feticcio divorzista.
I più aggiornati e coraggiosi sociologi
contestano apertamente le leggi divorziste, a causa delle quali le senescenti
democrazie (rovesciandosi stupidamente nell’etica dell’irresponsabilità)
avevano sconsigliato e quasi vietato ai loro sudditi di contrarre matrimoni
indissolubili e normali.
Alla luce degli osservatori qualificati e
disinteressati le leggi divorziste rappresentavano il risultato oscurantista
della folle guerra contro la morale cristiana.
Alla fine del 2001, le edizioni Ares
pubblicarono un saggio di Amedeo de Fuenmayor, “Ripensare il divorzio”, dove si rammentava l’esigenza,
particolarmente sentita dai più autorevoli giuristi americani, di rivedere le
leggi divorziste alla luce del naufragio dell’utopia sessantottina nel mare dei disturbi mentali conseguenti alla
trasformazione del matrimonio in “terreno
fertile per esperire le potenzialità dell’Io liberato da ogni ruolo e obbligo”.
La cultura giuridica professata
dall'avanguardia americana, festante quando si credeva che il divorzio fosse un
rimedio alle difficoltà della vita matrimoniale, dopo che il divorzio era
scaduto al livello di un anodino e devastante capriccio individualistico, aveva
proposto una ragionevole e graduale riforma.
Nella brillante
introduzione al saggio di Fuenmayor, Cesare Cavalleri ricordava che in alcuni states americani erano state introdotte
leggi correttive, “che affiancano al
matrimonio standard, agevolmente divorziabile, un convenant marriage, con il
quale i contraenti si impegnano a sottoporsi ad un procedimento più
difficoltoso prima di giungere all’eventuale richiesta di divorzio”.
All'inizio del
secondo millennio, la cultura stava abbandonando la tenda dei progressisti.
Dalla autentica e non statuaria Libertà scendeva una luce ostile
all'oscurantismo libertino.
Gli ostinati
seguaci della mitologia illuminista, pur vedendo lo scenario del progresso
civile scendere nel taboga del
nichilismo, rifiutavano di considerare le ragioni cogenti di quella cultura
giuridica d’avanguardia, che, in obbedienza al principio di realtà, aveva
avviato la necessaria e urgente revisione del sistema divorzista.
La foresta del disordine si agitava. Ad
esempio, l’impetuosa Miriam Mafai, sulle colonne scottanti, graffianti e
pontificanti di Repubblica si agitava come una gatta e, strappandosi le
vesti legalitarie, inveiva contro Giovanni Paolo II, colpevole di “dettare (con reiterata insistenza) norme di
comportamento che sono in contrasto con quelle della legge italiana”. In
breve giro di tempo la primavera della sociologia si rovesciò nell'inverno del
conformismo ritornante.
r
Oggi
nell'eloquente/raggelante cronaca nera italiana, l'errore divorzista tradotto
in legge grazie all'iniziativa libertina del duo Fortuna & Baslini,
incontra, giorno dopo giorno, l'errore psichiatrico personificato dai liberatori
basagliani.
Tale sventurato
incrocio genera le roventi/fiammanti tempeste mentali che armano il delittuoso
delirio degli uxoricidi quotidiani.
Ad uso di quanti
ascoltano la parlante realtà, la cronaca nera sciorina, giorno dopo giorno,
spaventosi argomenti contrari al sistema della menzogna instaurato dall'utopia
libertina.
Purtroppo la luce
della contrarietà all'abominio divorzista, ossia alla scolastica
anarco-tanatofila promossa dai banchieri americani, è ultimamente abbassata
dalla divagazione acrobatica della teologia sudamericana, maldestramente
interpretata dal sommo teologo della liberazione dalla morale tradizionale.
La teologia morale
della Chiesa cattolica, infatti, ha iniziato un folle e ridicolo girotondo
intorno alla salma della cultura divorzista. In obbedienza alla legge che
obbliga i modernisti ad inchinarsi al cospetto del pensiero inattuale e
cadaverico, il clero abbagliato dall'oscillante dottrina del Concilio ecumenico
Vaticano II, chiude gli occhi ai messaggi trasmessi dalla cronaca nera e si
lancia a capofitto nella giustificazione della cultura da cui hanno origine gli
scismi mentali, che armano gli uxoricidi.
Nella parodia della
misericordia serpeggiante nella Chiesa conciliare, l'infedeltà al
Vangelo, l'incapacità di interpretare i fatti e il tradimento dei princìpi di
ragione sono malinconicamente coniugati con la sordità alle richieste di
soccorso urlate disperatamente da un corpo sociale infettato da quella violenza
scismatica, che è generata dai fantasmi del libero amore e della
"felicità" ad ogni costo.
Radaelli, nel
magnifico saggio "La Chiesa ribaltata", sostiene che il clero
cattolico giudica sconveniente parlare chiaramente al peccatore, "a
partire dal dirgli che è peccatore (ovvio: come un pastore santo lo sa dire
alla pecorella smarrita).
Tale
"sconvenienza si è infiltrata nella Chiesa avvelenandole da
cinquant'anni la purezza di magistero, perché da cinquantanni la Chiesa ... ha
timore del mondo, ha timore del peccatore, del suo giudizio e di passare per
ossessionata, per non rispettosa della dignità dell'uomo, che sarebbe la
dignità del peccatore".
Piero Vassallo
Nessun commento:
Posta un commento