La
ghirlanda cosmopolita dei mandanti
L'omicidio di Gentile,
l'eclissi dell'amor di Patria
La
finalità anti-italiana dell'omicidio appare evidente non appena si leggono gli
inviti all'amor di Patria e alla moderazione indirizzati ai militanti nel
partito fascista repubblicano, scritti da Gentile e pubblicati nel "Corriere
della sera" e nella rivista fiorentina "Italia e civiltà"
[1].
E'
peraltro probabile che Mussolini, durante l'incontro avvenuto a Gardone
Riviera, il 17 novembre del 1943, abbia confidato a Gentile di aver aderito
alla pressante richiesta di fondare una repubblica alleata della Germania,
disarmato dalla minaccia, ventilata da Hitler, di polonizzare l'Italia
in caso di un suo rifiuto.
Sono
infatti da escludere sia l'intenzione di Mussolini di continuare un'attività
politica giudicata conclusa il 25 luglio (come risulta chiaramente dalle
lettere indirizzate alla sorella Edvige) sia l'incondizionata adesione di
Gentile a un progetto che contemplava la subordinazione dell'Italia alla
Germania nazista.
Certo è
che Gentile, quasi per manifestare l'angoscia prodotta dalla rivelazione
dell'oscuro retroscena, uscì in lacrime dalla sala in cui avvenne l'incontro
con il duce e annunciò di aderire al progetto della Repubblica sociale inteso
alla salvezza della Patria.
Il
nobile e forse irrealizzabile progetto, concepito da Gentile a seguito
dell'incontro con Mussolini, era la pacificazione nazionale: "lo scopo scrive
Renzo De Felice, opportunamente citato da Mecacci, era di non rompere il
tessuto morale del paese e di evitare o contenere la guerra civile. Un
obiettivo difficile, come è facile immaginare, che forse, per il filosofo fu la
vera ragione della sua uccisione: l'eventualità che l'idea di una pacificazione
nazionale potesse trovale terreno fertile fra i giovani, al Nord come al Sud,
preoccupava sommamente una parte dei vertici della resistenza, soprattutto i
comunisti".".
Lo
scrittore Enrico Sacchetti, che incontrò Gentile poco prima dell'attentato,
rammenta che il sorriso di Gentile "aveva una grande forza: la forza
che ha uno spirito indulgente e conciliativo o persuasivo: la grande forza di
Gentile".
La
condanna a morte di Gentile, non per caso, fu decisa dai fautori della guerra
civile, radunati nel fronte antitaliano, costituito dal partito comunista
(internazionalista), dal partito d'azione (arnese al servizio della qualunque
politica inglese) e dal partito democristiano, anomala fazione costituita da
modernizzanti infatuati dalla cultura anticattolica.
La
sentenza che condannava Gentile fu sottoscritto dal comunista Girolamo Li
Causi, che in calce a un articolo di Concetto Marchesi dichiarò: "Per i
manutengoli del tedesco invasore e dei suoi scherani fascisti, senatore
Gentile, la giustizia del popolo ha emesso la sentenza: Morte!"
Se non che dietro il
tribunale del popolo italiano si intravede il potere dello straniero. A
proposito della pista inglese Mecacci cita opportunamente un testo di
Renzo De Felice in cui si afferma risolutamente: "La morte di Gentile
fu preceduta da una sequenza di furibondi attacchi del colonnello Stevens da
Radio Londra. Che l'idea sia venuta fuori d'Italia? Benedetto Gentile, il
figlio, fin da allora ha dato credito all'ipotesi che il delitto sia stato
suggerito dai servizi segreti inglesi. Erano tempi in cui bastava una parolina
ben detta..."
Senza
ombra di dubbio, gli esecutori dell'attentato a Gentile furono proletari
militanti del partito comunista. Ma il disegno criminale fu concepito da
intellettuali appartenenti alla borghesia illuminata e alla Firenze
filo-inglese.
Sergio
Romano al proposito ha affermato "che si trattò di un affare tra
intellettuali. Credevo che il Gap di Fanciullacci avesse colpito Gentile per
una sorta di frenetico attivismo rivoluzionario e scopro invece che alla
preparazione dell'attentato collaborarono, direttamente o indirettamente, un
esponente della borghesia industriale [Sanguinetti], una studentessa di
filosofia [Mattei] e uno dei maggiori studiosi dell'antichità classica [Bianche
Bandinelli"].
Di qui il tagliente
giudizio di Mecacci sui mandanti del delitto: "Salta all'occhio la
differenza di classe e di stile tra Fanciullacci rispetto agli intellettuali di
quell'esecuzione furono i mandanti: umile il primo ma audace fino alla morte;
raffinati i secondi, ma pavidi al punto di non osare mai accennare pubblicamente
al ruolo svolto in quell'aprile del 1944".
Peraltro
Mecacci non esclude che, per gli inglesi, la conseguenza dell'assassinio di
Gentile costituisse un vantaggio per la futura sfera d'influenza politica ed
economica della Gran Bretagna sull'Italia. A sostegno di una tale ipotesi, nel
suo libro, sono citati numerosi indizi a carico della borghesia illuminata.
La storia del musicista ucraino Igor Markevitch (1912-1983) ad esempio:
frequentatore e ospite di influenti ed eletti protagonisti del movimenti anti-italiano,
quali Sir Harold Acton e Bernard Berenson, era in contatto con i servizi
segreti anglo-americani e con autorevoli esponenti della resistenza fiorentina,
quali Cesare Luporini, Romano Bilenchi, e Ranuccio Bianchi Bandinelli.
Inquietante
è la complicità con gli autori del delitto di Teresa Mattei, una studentessa di
filosofia, figlia di un antifascista fiorentino amico di Ferruccio Parri e di
Piero Calamandrei.
La
Mattei, in quel tempo confidente del partigiano & omosessuale Aldo
Braibanti, confesserà senza ritegno la sua parte nel delitto: "Per fare
in modo che i gappisti incaricati dell'agguato potessero riconoscere Gentile,
alcuni giorni prima li accompagnai presso l'Accademia d'Italia, che lui
dirigeva. Mentre usciva lo indicai ai partigiani, poi lui mi scorse e mi
salutò... Poco dopo procurai a Fanciullacci anche delle fotografie del
filosofo. Le ottenni con una scusa da Lavinia Mazzucchetti, che era
collaboratrice della casa editrice Sansoni ed era amica del figlio di Gentile
... Lei non me lo perdonò: dopo l'attentato mi disse: siete voi che l'avete
ammazzato".
Il libro di Mecacci
offre l'opportunità di riflettere su una pagina di storia diventata oggetto
della manipolazione intesa a perpetuare la divisione fra gli italiani buoni (i
virtuosi eredi dei liberatori) e i cattivi promotori della pacificazione
nazionale. Una discriminazione da cui discende l'immaginaria autorità morale
attribuita ai comunisti e ai loro sciocchi caudatari.
Piero Vassallo
[1] Al settimanale "Italia e Civiltà"
pubblicato in Firenze tra il gennaio e il giugno del 1944, collaborarono Giotto
Dainelli, Roberto Paribeni, Arrigo Serpieri, Ardengo Soffici e Giovanni
Spadolini. Nel 1971 l 'editore
Giovanni Volpe pubblicò un'antologia degli scritti pubblicati nella rivista
fiorentina.
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