Sul sito Riscossa Cristiana, in data 20
settembre 2014, Cristina Siccardi ha presentato l’ultimo saggio del cardinale
Giacomo Biffi, “Dodici digressioni di un italiano cardinale”, Cantagalli 2014. L’autrice
rimarca che “il piccolo e saggio libro presenta variegati temi, distanti fra di
loro, anche a livello cronologico, proposti con vivacità, dove il buon senso è
l’arbitro della situazione. Si parla della lungimiranza di Pio IX, della sfida
della castità, dell’ideologia della omosessualità, del connubio fra ragione e
fede, dell’importanza della devozione mariana. Maria Santissima, nei momenti di
confusione è la stella polare che indica la via”.
Come
in altri precedenti testi dell’eminente porporato, il fedele troverà qui
sicuramente molteplici spunti di ammaestramento e riflessione. Tuttavia, mi ha colpito
il seguente rilievo di Siccardi, nella sua cristallina semplicità oggettivamente
critico nei confronti dell’Autore:
“Un
capitolo è dedicato anche al Concilio Vaticano II e al postconcilio. L’autore
osserva unicamente gli aspetti negativi delle scelte pastorali postconciliari,
senza considerare i tumulti di pensiero che avvennero fra i Padri dell’Assise e
la problematicità dei testi che furono emanati”.
Dispiace e rattrista dover constatare che
anche una personalità stimata ed autorevole come il cardinale Biffi, sembri di
fatto accettare la “vulgata” di coloro che, ancor numerosi, vogliono addossare esclusivamente
al cosiddetto “post-concilio” la colpa della gravissima crisi che imperversa da
circa cinquant’anni nella Chiesa, a cominciare dalla Gerarchia.
Sua Eminenza si è mai domandato, mi sia lecito
chiedergli, come mai né il Tridentino né il Vaticano primo abbiano dato luogo
ad un “post-concilio” come l’attuale, che tutto ha messo sottosopra nella
Cattolicità? E per quali motivi siano stati capaci, quei due grandi concili dogmatici,
di promuovere una ripresa ed una rinascita della Chiesa tutta, nonostante
difficoltà di ogni genere, di contro alla mondanizzazione e decadenza del clero
e alle eresie pullulanti: quelle gravissime del protestantesimo scismatico e
quelle non meno gravi del liberalismo e razionalismo, in piena fioritura
all’epoca del Vaticano primo, successivamente combattute come di dovere anche
dalle condanne fulminate da san Pio X contro il modernismo, che ne fu l’erede e
il continuatore?
Si è mai chiesto, mi sia permesso di
insistere, se il ben diverso esito di quei due concili non sia per caso dipeso
dal fatto che essi non hanno affatto allargato il concetto di Chiesa di Cristo
sino ad includervi anche le comunità acattoliche, come ha invece fatto il
“pastorale” Vaticano II (Lumen Gentium 8, Unitatis Redintegratio
3); non hanno inteso la Chiesa come una comunità non gerarchica sempre
imperfetta, un “popolo di Dio” sempre in cerca della pienezza della verità (Lumen
Gentium 4-8; Dei Verbum 8); non hanno tentato di insinuare una nuova
dottrina dell’Incarnazione come “unione del Figlio di Dio in certo modo ad ogni
uomo” (Gaudium et spes 22); non hanno introdotto una nuova dottrina
della collegialità, mostruosità giuridica che ha prodotto due distinti titolari
e due diversi esercizi della suprema potestà di giurisdizione sulla Chiesa: il
Papa da solo e il Collegio dei Vescovi con il Papa (Lumen Gentium
22); non hanno voluto saperne di una “libertà religiosa” che sembra un calco di
quella professata dalla laicità atea e miscredente (Dignitatis humanae,
tutt’intera); non hanno gettato il dubbio sul dogma dell’inerranza biblica (Dei
Verbum 11); né reso insicura la “teologia della sostituzione” che
giustifica l’esser la Chiesa fondata da Cristo Nostro Signore l’Israele dello
Spirito di contro a quello della carne, che ha rifiutato e ostinatamente
continua a rifiutare il Messia (Nostra aetate 4); né affermato che i
mussulmani “adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e
onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini” (Nostra
aetate 3): patente falsità, dal momento che il loro libro sacro rifiuta
esplicitamente il dogma della SS.ma Trinità, che essi non capiscono,
considerandolo assurdamente idolatria (allo stesso modo degli ebrei) da punire
con la morte. Né, infine – ma potrei continuare ancora a lungo – resa incerta
la vera natura del matrimonio, facendo ambiguamente della procreazione ed
educazione della prole non più il fine primario, assolutamente preminente,
bensí il “coronamento” dell’istituto matrimoniale e dell’amore coniugale (Gaudium
et spes 48).
Paolo Pasqualucci
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