giovedì 30 aprile 2015

Da Franco Rodano a Mario Monti & Matteo Renzi, dal cattocomunismo al culto della piissima banca

 La vicenda camaleontica di Franco Rodano è il motore invisibile del  dibattito politico ispirato dalla profezia di Giacomo Lercaro e Giuseppe Dossetti, i nutritori della fisima che ha preparato il tuffo nel progressismo di Giuseppe Alberigo, Mario Monti, Alberto Melloni, Andrea Riccardi e del loro ectoplasma Matteo Renzi.
 Il cattocomunismo di Rodano, purificato dal salotto lavativo di Raffaele Mattioli e dalla redazione dell'alta rivista di Elena Croce, infatti, trovò nascosto alloggio nella laicità professata da Alcide De Gasperi contro Pio XII.
 Una leggenda democristiana, resa inossidabile dalla ripetizione ossessiva, vuole che De Gasperi abbia salvato l’Italia dal comunismo, affrontando e vincendo un duello politico con il rivale Palmiro Togliatti.
 Tra cattolici e comunisti il vero duello politico, in realtà, si svolse dopo il 1947, quando Pio XII (contro l'opinione De Gasperi, dubbioso e riluttante) incoraggiò e ottenne la rottura del governo tripartito (democristiani, socialisti e comunisti). E nel 1948, quando Pio XII assegnò a Luigi Gedda i mezzi necessari ad organizzare i Comitati Civici e a condurre la vittoriosa campagna del 18 aprile [1].
 Nella Dc la resistenza a Pio XII si era organizzata fin dal 1944, quando i democristiani bocciarono il progetto di costituzione proposto da Guido Gonella.
 De Gasperi, seguace e interprete del secondo Jacques Maritain, non era il campione del cattolicesimo anticomunista.
 Vista la distanza della Dc dalla teologia ortodossa, Gedda (in perfetto accordo con Pio XII) si rivolse agli elettori proponendo De Gasperi come rappresentante di un male minore, e non come un campione di fedeltà alla Chiesa.
 I contenuti dei manifesti affissi dai Comitati Civici durante la campagna elettorale del 1948 non lasciano dubbi al proposito.
 La verità è che De Gasperi, dopo aver a lungo esitato, prima di arrendersi ai suggerimenti della curia romana e di decidersi alla rottura dell’alleanza con i socialcomunisti, stentava a credere nella vittoria democristiana, essendo forse convinto (lo ha sostenuto lo storico della Dc, Gianni Baget Bozzo) dell’ineluttabilità del successo comunista.
 Cosa si deve intendere allora per drammatico duello tra Togliatti e De Gasperi? Ed anzi tutto: quali erano le ragioni del (presunto) irriducibile contendere tra De Gasperi e Togliatti? 
 Ecco il nodo che gli storici dovrebbe sciogliere, prima di alzare lamenti contro le clamorose rivelazioni di Ettore Bernabei sull’incauto accordo tra De Gasperi e l’iniziato Raffaele Mattioli, e prima di proclamare solennemente che il partito d’ispirazione cristiana non può non definirsi degasperiano osservante.
 Giovanni Tassani, autore di un lucido e finora insuperato commento all’avventura cattocomunista, ha dimostrato che Franco Rodano non era più vittima di un abbaglio giovanile, ma lucido funzionario di un progetto laico rivolto contro Pio XII, quando, dopo aver ascoltato le lezioni di Palmiro Togliatti [e di Raffaele Mattioli, il gran banchiere crociano, che, come ricorda Massimo Caprara, si dichiarava emulo di quel Parvus che, nel 1917, organizzò il viaggio di Lenin a Pietroburgo] affermò il superamento della rivalità tra De Gasperi e Togliatti e il loro implicito accordo su una politica laica.
 Nel saggio su Rodano, che Tassani ha pubblicato nel lontano 1978, per le Dehoniane di Bologna, si trovano, dunque, le ragioni della diffidenza manifestata da Pio XII nei confronti del modello degasperiano.
 La storia di Rodano rappresenta la metamorfosi - avvenuta nel  1946 - dell’ingenua  e confusa fantasticheria antimoderna (incentivata da fatue nostalgie medievaliste) dei cattocomunisti in agenti inconsapevoli e golem dell’aggressione massonica alla tradizione spirituale e morale del popolo italiano.
 Il partito cattocomunista (PSC) si costituì, infatti, all’inizio degli anni quaranta, per l’iniziativa di alcuni giovani della borghesia romana, coinvolti nelle acrobatiche avventure del gesuitismo, e perciò “fermamente comunisti in politica, proclamava Franco Rodano nel 1944, ma cattolici, assolutamente e intransigentemente cattolici per la loro fede religiosa”.
 La piissima e spericolata peripezia di un frequentatore della gesuitica “Scaletta”, quale era Rodano, arrivava al punto di tentare la separazione della prassi comunista dalla filosofia materialistica di Marx, giudicata “oltre che non indispensabile, dannosa per lo sviluppo di una corretta e incisiva politica rivoluzionaria”.
 Rodano era intimamente convinto che solo i progressisti fossero interpreti delle istanze politiche dei cattolici refrattari all'orrendo fascismo e alla suggestione anti-modernista: “Questo significa che il problema politico del mondo cattolico non può essere risolto in Italia che dal Pci e cioè da tutta la classe operaia del nostro paese, non dalla sinistra cristiana e dallo strato cattolico del proletariato italiano”.
 Considerata da questo singolare punto di vista, la politica del Pci assumeva l’aspetto di una godibile alternativa al laicismo liberal-massonico, alla sociologia anglosassone, e all’ingiustizia praticata dalla classe borghese.
 Il giudizio di Pio XII, che condannando ogni forma d’obbedienza comunista, riaffermava l’opposizione assoluta tra la fede cristiana e il comunismo negatore dei fondamenti stessi del diritto naturale, da Rodano non era neppure preso in considerazione.
 Il fatto è che al movimento rodaniano era soggiacente quel millenarismo incendiario, che, a partire dalle farneticazioni immoralistiche esposte da Léon Bloy nel libello “Dagli ebrei la salvezza” (e apprezzate da Maritain, editore del libello) aveva attizzato le scorribande del cattolicesimo francese contro la legge naturale. 
 Franco Rodano rappresenta una fantastica contraddizione: l’acume intellettuale al servizio di un encefalogramma piatto.
 Gianni Baget Bozzo, in un intervento pubblicato nel volume che raccoglie i saggi di Tassani, ha riconosciuto che la dimensione politica rodaniana “non ha mai avuto spunti di aggancio con la teoria delle istituzioni e statuali da un lato, con la filosofia e la teologia dall’altro”.        
 Separati da Marx ma non dalla chimera millenarista, Rodano e gli altri militanti della sinistra cristiana non poterono fare altro che affluire disciplinatamente nel Pci.
 Nel dicembre del 1945, infatti, fu deciso, con voto quasi unanime, lo scioglimento del movimento e l’adesione al partito di Togliatti.
 Togliatti, invece, aveva consigliato a Rodano di confluire nella Dc, dove le tesi dei cattocomunisti avrebbero dato più consistenti risultati a vantaggio della sovversione. Fu l’ostinata e immotivata avversione del giovane Rodano a De Gasperi a decidere in senso contrario.
 Ma dopo l’adesione al Pci, Rodano cominciò a comprendere le ragioni di Togliatti, ragioni perfettamente coincidenti con quelle del crociano Raffaele Mattioli: il vero ostacolo alla rivoluzione italiana non era De Gasperi, ma Pio XII, che in vista di un argine a difesa del diritto naturale, aggredito dall’immoralità emanata dai laboratori massonici, aveva concepito e affidato alla cura di Luigi Gedda il progetto di un’alleanza a destra.
 Per Raffaele Mattioli (e per Palmiro Togliatti) il nemico da battere non era il gruppo democristiano che seguiva l’indirizzo laico e liberale della politica degasperiana, ma con il partito romano, costituito dai curiali e dagli studiosi fedeli a Pio XII, partito che tentava d’imporre alla Dc la politica dell’attenzione per le tesi della destra interclassista e patriottica.
 Rodano fatto accuorto da Togliatti, da Mattioli (e forse da don Giuseppe De Luca), modificò profondamente il suo giudizio su De Gasperi.
 Ora la strategia iniziatica di Mattioli-Parvus e di Togliatti non contemplava guadagni per il proletariato ma una radicale secolarizzazione e corruzione dell’Italia. Il disegno tracciato da Antonio Gramsci nei "Quaderni dal carcere".
 La secolarizzazione era infatti il preambolo a quella rivoluzione culturale di segno liberal-libertino, che doveva scatenarsi nel fatidico Sessantotto, quando le fondazioni dell’oligarchia iniziatica e finanziaria sostennero l’utopia francofortese-californiana.  
 Tassani svela l’argomento che aveva convinto Rodano a riabilitare e in qualche modo a far propria la linea politica di Togliatti, che apprezzava apertamente il cattolicesimo liberale di De Gasperi: la convinzione (avventurosa) che occorreva ripartire dal risorgimento, in altre parole dall’unica rivoluzione riuscita in Italia, quella liberal-democratica, laicista e borghese.
 Era da quel punto che occorreva ripartire, dopo la dolorosa parentesi fascista. Di qui la dannazione di Giovanni Gentile e la sciagurata esaltazione di Benedetto Croce.
 Ripartire dal recupero degli aspetti positivi della rivoluzione liberale attraverso la rilettura di Benedetto Croce, avrebbe reso possibile il pieno innesto nel processo rivoluzionario delle realtà di massa (la comunista e la cattolica) che erano intanto diventate protagoniste della repubblica.
 Massimo Caprara ha dimostrato che questo recupero procedeva nella stessa direzione dei saggi del raffinato esoterista cantrabigense Piero Sraffa su Gramsci e di Benedetto Croce su Marx e su Gramsci.
 Nel 1955, Rodano detterà la formula di questo perfezionamento della tradizione liberale e del libertinismo borghese: “Il problema politico del nostro tempo è quello di una fuoriuscita dall’ordinamento liberal-liberalista, che si svolga in termini di organica compiutezza e di superiorità positiva: tale cioè da non cancellare e non perdere quell’aspetto fondamentale e preziosissimo di paragone e di concorrenza, che da quel sistema, appunto, viene formalmente garantito”. 
 La scena rodaniana del 1974, con Enrico Berlinguer che festeggia, insieme con gli alleati liberali, repubblicani, socialisti e cattocomunisti, la rivincita del laicismo garibaldino sul popolo cattolico, la populace che aveva avversato la legge divorzista, e sull'orrido fascismo, che aveva realizzato la conciliazione e avviato la riforma corporativa dello stato, spiega il significato ultimo e la finalità della politica di Franco Rodano.
 Da un opposto osservatorio, Tassani sostiene la medesima tesi di Augusto Del Noce: in Italia il processo di porno-secolarizzazione – la vera rivoluzione attuata negli ultimi quarant’anni di vita repubblicana - è passato attraverso la Dc, cioè attraverso il rifiuto che De Gasperi oppose alla svolta a destra programmata da Pio XII e da Gedda.
 Per questo è da giudicare antistorica e suicidaria l’intenzione dei politicanti che vorrebbero rifondare la Dc nel segno liberale e degasperiano e nel rifiuto di quella cultura politica esposta da Pio XII nei radiomessaggi nel Natale (affermazione della democrazia secondo il diritto naturale nel 1944, umanizzazione della tecnologia nel 1953, rifiuto dell’equilibrio nel terrore, nel 1954).

 Piero Vassallo






[1] Di recente Giulio Alfano ha rivelato che Pio XII rifiutò di ricevere De Gasperi dopo che lo statista trentino aveva consegnato la medaglia al valore agli attentatori di via Rasella. Cfr. "La notte di Roma", Solfanelli, Chieti 2012.

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