La vicenda camaleontica di Franco Rodano è il
motore invisibile del dibattito politico
ispirato dalla profezia di Giacomo Lercaro e Giuseppe Dossetti, i nutritori
della fisima che ha preparato il tuffo nel progressismo di Giuseppe Alberigo,
Mario Monti, Alberto Melloni, Andrea Riccardi e del loro ectoplasma Matteo
Renzi.
Il cattocomunismo di Rodano, purificato dal
salotto lavativo di Raffaele Mattioli e dalla redazione dell'alta
rivista di Elena Croce, infatti, trovò nascosto alloggio nella laicità
professata da Alcide De Gasperi contro Pio XII.
Una leggenda democristiana, resa inossidabile
dalla ripetizione ossessiva, vuole che De Gasperi abbia salvato l’Italia dal
comunismo, affrontando e vincendo un duello politico con il rivale Palmiro
Togliatti.
Tra cattolici e comunisti il vero duello
politico, in realtà, si svolse dopo il 1947, quando Pio XII (contro l'opinione
De Gasperi, dubbioso e riluttante) incoraggiò e ottenne la rottura del governo
tripartito (democristiani, socialisti e comunisti). E nel 1948, quando Pio XII
assegnò a Luigi Gedda i mezzi necessari ad organizzare i Comitati Civici e a
condurre la vittoriosa campagna del 18 aprile [1].
Nella Dc la resistenza a Pio XII si era
organizzata fin dal 1944, quando i democristiani bocciarono il progetto di
costituzione proposto da Guido Gonella.
De Gasperi, seguace e interprete del secondo
Jacques Maritain, non era il campione del cattolicesimo anticomunista.
Vista la distanza della Dc dalla teologia
ortodossa, Gedda (in perfetto accordo con Pio XII) si rivolse agli elettori
proponendo De Gasperi come rappresentante di un male minore, e non come
un campione di fedeltà alla Chiesa.
I contenuti dei manifesti affissi dai Comitati
Civici durante la campagna elettorale del 1948 non lasciano dubbi al proposito.
La verità è che De Gasperi, dopo aver a lungo
esitato, prima di arrendersi ai suggerimenti della curia romana e di decidersi
alla rottura dell’alleanza con i socialcomunisti, stentava a credere nella
vittoria democristiana, essendo forse convinto (lo ha sostenuto lo storico
della Dc, Gianni Baget Bozzo) dell’ineluttabilità del successo comunista.
Cosa si deve intendere allora per drammatico duello tra Togliatti e De Gasperi? Ed anzi
tutto: quali erano le ragioni del (presunto) irriducibile contendere tra De
Gasperi e Togliatti?
Ecco il nodo che gli storici dovrebbe
sciogliere, prima di alzare lamenti contro le clamorose rivelazioni di Ettore Bernabei
sull’incauto accordo tra De Gasperi e l’iniziato Raffaele Mattioli, e prima di
proclamare solennemente che il partito d’ispirazione cristiana non può non
definirsi degasperiano osservante.
Giovanni Tassani, autore di un lucido e finora
insuperato commento all’avventura cattocomunista, ha dimostrato che Franco
Rodano non era più vittima di un abbaglio giovanile, ma lucido funzionario di
un progetto laico rivolto contro Pio XII, quando, dopo aver
ascoltato le lezioni di Palmiro Togliatti [e di Raffaele Mattioli, il gran banchiere crociano, che, come
ricorda Massimo Caprara, si dichiarava emulo di quel Parvus che, nel 1917,
organizzò il viaggio di Lenin a Pietroburgo] affermò il superamento della
rivalità tra De Gasperi e Togliatti e il loro implicito accordo su una politica
laica.
Nel saggio su Rodano, che Tassani ha
pubblicato nel lontano 1978, per le Dehoniane di Bologna, si trovano, dunque,
le ragioni della diffidenza manifestata da Pio XII nei confronti del modello
degasperiano.
La storia di Rodano rappresenta la metamorfosi
- avvenuta nel 1946 - dell’ingenua e confusa fantasticheria antimoderna
(incentivata da fatue nostalgie medievaliste) dei cattocomunisti in agenti
inconsapevoli e golem
dell’aggressione massonica alla tradizione spirituale e morale del popolo
italiano.
Il partito cattocomunista (PSC) si costituì,
infatti, all’inizio degli anni quaranta, per l’iniziativa di alcuni giovani
della borghesia romana, coinvolti nelle acrobatiche avventure del gesuitismo, e
perciò “fermamente comunisti in politica,
proclamava Franco Rodano nel 1944, ma
cattolici, assolutamente e intransigentemente cattolici per la loro fede
religiosa”.
La piissima e spericolata peripezia di un
frequentatore della gesuitica “Scaletta”,
quale era Rodano, arrivava al punto di tentare la separazione della prassi
comunista dalla filosofia materialistica di Marx, giudicata “oltre che non indispensabile, dannosa per lo
sviluppo di una corretta e incisiva politica rivoluzionaria”.
Rodano era intimamente convinto che solo i
progressisti fossero interpreti delle istanze politiche dei cattolici
refrattari all'orrendo fascismo e alla suggestione anti-modernista: “Questo significa che il problema politico
del mondo cattolico non può essere risolto in Italia che dal Pci e cioè da
tutta la classe operaia del nostro paese, non dalla sinistra cristiana e dallo
strato cattolico del proletariato italiano”.
Considerata da questo singolare punto di
vista, la politica del Pci assumeva l’aspetto di una godibile alternativa al
laicismo liberal-massonico, alla sociologia
anglosassone, e all’ingiustizia praticata dalla classe borghese.
Il giudizio di Pio XII, che condannando ogni
forma d’obbedienza comunista, riaffermava
l’opposizione assoluta tra la fede cristiana e il comunismo negatore dei fondamenti stessi del diritto
naturale, da Rodano non era neppure preso in considerazione.
Il fatto è che al movimento rodaniano era soggiacente quel millenarismo
incendiario, che, a partire dalle farneticazioni immoralistiche esposte da Léon
Bloy nel libello “Dagli ebrei la salvezza”
(e apprezzate da Maritain, editore del libello) aveva attizzato le scorribande
del cattolicesimo francese contro la legge naturale.
Franco
Rodano rappresenta una fantastica contraddizione: l’acume intellettuale al
servizio di un encefalogramma piatto.
Gianni Baget Bozzo, in un intervento
pubblicato nel volume che raccoglie i saggi di Tassani, ha riconosciuto che la
dimensione politica rodaniana “non ha mai
avuto spunti di aggancio con la teoria delle istituzioni e statuali da un lato,
con la filosofia e la teologia dall’altro”.
Separati da Marx ma non dalla chimera
millenarista, Rodano e gli altri militanti della sinistra cristiana non
poterono fare altro che affluire disciplinatamente nel Pci.
Nel dicembre del 1945, infatti, fu deciso, con
voto quasi unanime, lo scioglimento del movimento e l’adesione al partito di
Togliatti.
Togliatti, invece, aveva consigliato a Rodano
di confluire nella Dc, dove le tesi dei cattocomunisti avrebbero dato più
consistenti risultati a vantaggio della sovversione. Fu l’ostinata e immotivata
avversione del giovane Rodano a De Gasperi a decidere in senso contrario.
Ma dopo l’adesione al Pci, Rodano cominciò a
comprendere le ragioni di Togliatti, ragioni perfettamente coincidenti con
quelle del crociano Raffaele Mattioli: il vero ostacolo alla rivoluzione italiana non era De Gasperi,
ma Pio XII, che in vista di un argine a difesa del diritto naturale, aggredito
dall’immoralità emanata dai laboratori massonici, aveva concepito e affidato
alla cura di Luigi Gedda il progetto di un’alleanza a destra.
Per Raffaele Mattioli (e per Palmiro
Togliatti) il nemico da battere non era il gruppo democristiano che seguiva
l’indirizzo laico e liberale della politica degasperiana, ma con il partito romano, costituito dai curiali e
dagli studiosi fedeli a Pio XII, partito che
tentava d’imporre alla Dc la politica dell’attenzione per le tesi della destra
interclassista e patriottica.
Rodano fatto accuorto da Togliatti, da Mattioli (e forse da don Giuseppe De
Luca), modificò profondamente il suo
giudizio su De Gasperi.
Ora la strategia iniziatica di Mattioli-Parvus
e di Togliatti non contemplava guadagni per il proletariato ma una radicale
secolarizzazione e corruzione dell’Italia. Il disegno tracciato da Antonio
Gramsci nei "Quaderni dal carcere".
La secolarizzazione era infatti il preambolo a
quella rivoluzione culturale di segno liberal-libertino, che doveva scatenarsi
nel fatidico Sessantotto, quando le fondazioni dell’oligarchia iniziatica e
finanziaria sostennero l’utopia francofortese-californiana.
Tassani svela l’argomento che aveva convinto
Rodano a riabilitare e in qualche modo a far propria la linea politica di
Togliatti, che apprezzava apertamente il cattolicesimo liberale di De
Gasperi: la convinzione (avventurosa) che occorreva ripartire dal risorgimento,
in altre parole dall’unica rivoluzione riuscita in Italia, quella
liberal-democratica, laicista e borghese.
Era da quel punto che occorreva ripartire,
dopo la dolorosa parentesi fascista. Di qui la dannazione di Giovanni Gentile e
la sciagurata esaltazione di Benedetto Croce.
Ripartire dal recupero degli aspetti positivi
della rivoluzione liberale attraverso la rilettura di Benedetto Croce, avrebbe
reso possibile il pieno innesto nel processo rivoluzionario delle realtà di
massa (la comunista e la cattolica) che erano intanto diventate protagoniste
della repubblica.
Massimo Caprara ha dimostrato che questo recupero
procedeva nella stessa direzione dei saggi del raffinato esoterista cantrabigense Piero Sraffa su Gramsci e
di Benedetto Croce su Marx e su Gramsci.
Nel 1955, Rodano detterà la formula di questo
perfezionamento della tradizione liberale e del libertinismo borghese: “Il problema politico del nostro tempo è quello
di una fuoriuscita dall’ordinamento liberal-liberalista, che si svolga in
termini di organica compiutezza e di superiorità positiva: tale cioè da non
cancellare e non perdere quell’aspetto fondamentale e preziosissimo di paragone
e di concorrenza, che da quel sistema, appunto, viene formalmente garantito”.
La scena rodaniana del 1974, con Enrico
Berlinguer che festeggia, insieme con gli alleati liberali, repubblicani,
socialisti e cattocomunisti, la rivincita del laicismo garibaldino sul popolo
cattolico, la populace che aveva avversato la legge divorzista, e sull'orrido
fascismo, che aveva realizzato la conciliazione e avviato la riforma
corporativa dello stato, spiega il significato ultimo e la finalità della
politica di Franco Rodano.
Da un opposto osservatorio, Tassani sostiene
la medesima tesi di Augusto Del Noce: in Italia il processo di
porno-secolarizzazione – la vera rivoluzione attuata negli ultimi quarant’anni
di vita repubblicana - è passato attraverso la Dc, cioè attraverso il
rifiuto che De Gasperi oppose alla svolta a destra programmata da Pio
XII e da Gedda.
Per questo è da giudicare antistorica e
suicidaria l’intenzione dei politicanti che vorrebbero rifondare la Dc nel
segno liberale e degasperiano e nel rifiuto di quella cultura politica esposta
da Pio XII nei radiomessaggi nel Natale (affermazione della democrazia secondo
il diritto naturale nel 1944, umanizzazione della tecnologia nel 1953, rifiuto
dell’equilibrio nel terrore, nel 1954).
[1] Di recente Giulio Alfano ha rivelato che Pio
XII rifiutò di ricevere De Gasperi dopo che lo statista trentino aveva
consegnato la medaglia al valore agli attentatori di via Rasella. Cfr. "La
notte di Roma", Solfanelli, Chieti 2012.
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