La storia è vecchia e purtroppo sempre si ripete.
Che negli ambienti artistici, della critica d'arte e, disgraziatamente,
scolastici, per la bellezza delle umane creazioni si debba prescindere dal loro
significato morale, è una massima sostenuta e accettata salvo poche eccezioni.
L'invenzione
estetica, l'espressione resa magistralmente assurgerebbero a un valore assoluto,
sicché la moralità del contenuto scomparirebbe o sarebbe affatto secondaria. Invece
il Bello non è il Bene. Storia vecchia!
Perciò,
qui, la sciocchezza paludata e quella conformista non hanno scusa. Ma farebbe
meraviglia che la crema dei pensatori e dei valutatori cada così miseramente,
se non fosse per noi pacifico che i sapienti del mondo, ad esso vincolati, finiscono nell'idiozia.
Qualsiasi opera umana implichi un giudizio sul
bene e sul male, che proponga cosa onesta oppure disonesta, sarà buona o
cattiva, benefica o malefica, secondo i casi, qualunque ne sia il pregio
artistico.
Un
articolo di giornale di questo 25 aprile si annuncia col titolo La poesia è bella o brutta, né morale né
immorale. La sentenza viene da Oscar Wilde. Per concessione dell'Editore
Lindau, il quotidiano riproduce un'intervista rilasciata dal celebre poeta
irlandese - che soggiornò negli Stati Uniti durante il 1882 - a un giornalista
del San Francisco Morning Call.
In
realtà, la sostanza delle domande e delle risposte lascia il tempo che trova. La
disistima verso gli inglesi che ignorano il singolare rinascimento del loro
paese nel XIX secolo, è propria del noto scrittore raffinato, sferzante e
paradossale. Tuttavia interessa l'origine della pur logora uscita del ventottenne
Wilde il quale, dicendo d'aver ricevuto le osservazioni dei critici a lui
contrari solo come ci si può trovare in una giornata uggiosa, rileva negli
appunti che gli vengono mossi un moralismo fuori luogo.
Per
capire come nelle contrade anglosassoni, già infestate dalle eresie protestanti
e dal liberalismo più o meno democratico, resistesse il senso della legge di
natura (per cui anche Oscar Wilde venne condannato a due anni di carcere per
aver dato scandalo di omosessualità), occorre considerare che le popolazioni
cristianizzate da secoli conservarono nei costumi e nell'animo il retaggio
della legge ecclesiastica, di cui si sarebbero disfatte quasi del tutto
soltanto ai nostri giorni, adagiandosi nell'ignavia coltivata dai parlamenti e
dai governi. Non fu semplicemente il puritanesimo dell'Est statunitense
(quello, per intenderci, della secentesca caccia alle streghe) a reagire
condannando le trasgressioni impudiche e i perversi insegnamenti. Le lusinghe
democratiche, via via sviluppate e assodate in norme civili, erano ancora
insufficienti per spazzar via una certa regola dell'onestà.
Tornando
a noi, l'infiltrazione infettiva nelle anime prodotta dall'arte idolatrata
avrebbe l'aria di qualcosa di poco conto e di effetto assai circoscritto. Al
contrario, per un dato strato sociale l'arte può essere un efficace veicolo di
seduzione. Da esso ricevono un ulteriore logoramento le difese immunitarie contro
la derubricazione di peccati mortali,
la quale è più che mai in voga e, in pratica, sancita dal clero alto e basso.
Ma anche
il caso delle case editrici che pubblicano lavori dell'ortodossia cattolica o
vicini ad essa, mentre ospitano nei loro cataloghi libri eterodossi o finanche
complici della licenziosità, senza che gli autori di sicura fede cattolica
mostrino sconcerto, anche questo fenomeno contribuisce allo scandalo. Per esso,
incerti e dubbiosi possono pendere dalla
parte sbagliata.
Alimenta l'insensibile ubriacatura dei deboli
il quotidiano che riferisce una falsità propinata per vera da un personaggio
famoso e grande nel suo genere, falsità deleteria e avvalorata dalla una
sottintesa approvazione.
Facendo
la conoscenza dei deboli e buoni, che si adattano ai nuovi costumi pervertiti
(p.e. liberi rapporti sessuali, convivenza di coppia, divorzio) e che credono
alla propaganda delle libertà innaturali, il loro disagio parrebbe rivolto soltanto
verso la corruzione e l'inettitudine dei poteri pubblici, verso alcuni
disordini del consorzio umano. Invece la loro passività, che pure approfitta di
diritti abusivi instaurati, non li salva da una contraddizione per cui restano
privi della bussola nei passi cruciali e privi della fede intatta.
Piero
Nicola
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