Formulata da Karl Popper negli anni cinquanta [1], la
critica dello storicismo ha accelerato la catastrofica corsa dell'ideologia
francofortese & californiana in direzione di un'ultima depressione /
corruzione dell'economia occidentale: il delirio che giustifica ed esalta le
imprese dei lugubri usurai e dei politicanti contro la natalità e contro
l'onesto benessere.
Il
sarcofago liberal-francofortese non è tuttavia un traguardo economico,
obbligatorio dopo la caduta della falsa
alternativa comunista. Nel recente passato, infatti, l'Italia è stata teatro di
un miracolo economico attuato grazie all'uso di istituzioni (l'Iri, ad esempio)
costituite da un sistema politico in uscita dalle soffocanti gabbie costruite
dai credenti nella mitologia liberale.
Non si
può vedere la luce oltre il muro della miseria di marca liberal-bancaria se non
si rammenta la percorribilità della terza via, tracciata dall'economista
Alberto Beneduce (1877-1944) dopo la crisi del 1929 e percorsa, non senza dubbi
ed esitazioni, dai governi italiani dal 1930 fino agli anni del recente,
disgraziato riflusso liberale.
Il
regime fascista non fu indenne da gravi errori, quali la sciagurata alleanza
con la Germania e la promulgazione delle leggi razziali, che colpirono alla
cieca, penalizzando avversari senza risparmiare i preziosi amici, ad esempio
Giorgio Del Vecchio, che avevano contribuito al successo della cultura
italiana.
Sarebbe
tuttavia ingiusto disconoscere il valore della riforma del sistema capitalista,
attuata dal regime di Benito Mussolini in conformità con le indicazioni di
Beneduce e di Giuseppe Bottai. Riforma ammirata e lodata perfino da George
Bernard Shaw e imitata da numerosi statisti filofascisti e/o antifascisti.
La
riforma fascista dell'economia, infatti, fu tacitamente ereditata dalla Dc e
usata quale efficace strumento della ricostruzione del paese devastato dalla
guerra perduta.
Protagonista
della seconda fase dell'impresa economia finalizzata al superamento delle
ridicole ma devastanti mitologie intorno
alla mano magica del mercato, fu il democristiano Amintore Fanfani
(1908-1999), insigne economista imprestato alla politica [2].
Di Fanfani la casa editrice
fiorentina Polistampa ha appena pubblicato il saggio finora inedito, Dall'Eden
alla terza guerra mondiale.
Monika
Poettinger, la studiosa che ha curato la pubblicazione del testo fanfaniano,
segnala opportunamente che, negli anni Trenta, Fanfani ha meditato e
interpretato in chiave economica le
concezioni neotomistiche di padre Agostino Gemelli e le opere giovanili del
Jacques Maritain militante nell'Action française: "Fanfani ripropone le
categorie storiche e filosofiche di Maritain applicandole al campo
dell'economia: la matrice volontaristica dell'azione umana ed il confronto tra
intelligenza e resistenze relative".
Quale
esempio di corretta dottrina economica, Fanfani citava la concezione medievale,
"che incoraggiava ciascun uomo a valorizzare i talenti ricevuti dal
Signore. ... In simile concezione l'iniziativa individuale era rispettata e
considerata una doverosa ed utile attività. Ma l'esasperazione individualistica
di essa era sospettata quale generatrice di conseguenze idealmente e
socialmente dirompenti. Ne conseguiva che i beni prodotti dall'impegno
individuale erano considerati spettanti a chi li aveva rettamente ottenuti, ma
si riteneva un dovere non trascurare l'uso comunitario di essi. ... Il
superfluo pertanto doveva essere destinato a soddisfare con benefiche elargizioni
i bisogni del prossimo o a promuovere nuovi investimenti che dessero lavoro a
chi non lo aveva ancora avuto".
Il
magnifico patrimonio artistico dell'Italia fu il risultato della dottrina
economica, che suggeriva e obbligava moralmente l'investimento della ricchezza
eccedente le necessità dei ricchi in opere concepite per dar lavoro ad artisti
e manovali e sopra tutto per glorificare il Signore.
La
modernità purtroppo entra in scena nel XV secolo quando "divennero
giudicati comunemente degni di plauso comportamenti capaci di garantire il
promotore del processo produttivo il massimo utile al minimo costo, anche se
ciò avesse potuto attenuare precedenti preoccupazioni per l'occupazione e le
retribuzioni dei lavoratori o perfino per possibili squilibri nell'intera
comunità". La mutata della mentalità degli imprenditori "fece
prevalere uno spirito economico individualistico, diverso da quello
solidaristico che era stato incoraggiato dagli ordinamenti medievali, ispirati
dai trattati dei tomisti, dalle prediche delle nel Campo da Bernardino da
Siena, dalle esortazioni confessionali di Antonino da Firenze".
Il
balzo della cultura economica italiana nella disgraziata direzione della
rivoluzione liberale accelerò il progresso dell'impresa ma oscurò l'umanesimo del
lavoro, che aveva lasciato una nobile impronta nella storia del Medioevo.
Di qui l'involuzione
liberale dell'economia e l'emergenza di contrasti all'apparenza insanabili fra
gli irriducibili interpreti del nuovo mondo. Coerente con il sano ottimismo suggerito
dalla fede cattolica, Fanfani, tuttavia "si conferma tra coloro che
continuano a sperare nella persistenza di certe spinte innovative. Esse si
accentueranno non solo per preveggenza e coraggio dei protagonisti ma anche per
spinta inesorabile delle cose che continuano a dare ragione a ... Gian Battista
Vico: le cose fuor dell'ordine naturale, né durano né vi stanno".
In
vista dell'auspicata e possibile pace sociale, Fanfani affermava "la
necessità di dare ai lavoratori parte consultiva e deliberativa in organi
aziendali", secondo quella logica riformista che è stata congelata
dalla crisi finanziaria causata dall'affaire Madoff.
Purtroppo "con
l'avvento della pace del '45 i contrasti nei popoli non erano scomparsi. Anzi
da allora si sono verificati nel mondo oltre centocinquanta colpi di stato e
cruenti movimenti sociali, nonché più di duecento conflitti e molti con
riflessi internazionali".
Secondo
Fanfani, un'altra ombra sul futuro è proiettata dalla burocratizzazione del
sistema dei partiti, un'anomalia "che sta riducendo il peso della
partecipazione del cittadino a singoli momenti, a qualche forma, a pochi
settori".
Pertanto
Fanfani dichiarava la propria contrarietà all'esercizio elitario del potere,
quindi suggeriva l'avvio di operazioni atte "ad eliminare i difetti del
capitalismo e quelli del collettivismo", attività che contemplano la
partecipazione dei sudditi alle scelte politiche e alle scelte economiche.
Infine
Fanfani formulò una previsione che ultimamente è confermata dall'involuzione
della politica: "se i partiti non si curano s'ammaleranno seriamente -
come spesso di constata - di sclerosi ideologica, di paralisi strutturale,
d'impotenza politica. ... la senescenza impotente porterà i partiti a non poter
più esercitare la loro funzione di ponte tra i cittadini e la comunità".
Il
desolato scenario liberista, che è sotto i nostri occhi conferma l'esattezza
della descrizione proposta da Fanfani e fa del suo pensiero il ponte, che la
cultura della sedicente destra deve attraversare per raggiungere la terra della
sua identità.
Piero Vassallo
[1] Cfr.
Karl R. Popper, Miseria dello storicismo, Milano 1975.
[2] Fanfani ha meritato la
stima e la riconoscenza dei cattolici per la coraggiosa attività contro il
divorzio e l'aborto, piaghe purulente della società laicizzata. Memorabile una
sentenza da lui pronunciata nel 1974: "Volete il divorzio? Allora
sappiate che dopo verrà l'aborto. E dopo ancora il matrimonio tra
omosessuali".
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