venerdì 3 aprile 2015

SARÀ UN CASO? (di Piero Nicola)

Finalmente una mezza buona notizia. Si spiega più avanti perché soltanto mezza. Per ora godiamoci questo poco di lieto che ci viene dagli USA.
  Sarà un caso che esso ci giunga a breve distanza da un'altra nuova confortante dovuta al medesimo Stato dell'Indiana? L'America, terra di eccessi e stravaganze, riserva sorprese in ogni senso e conviene andar cauti con i logici collegamenti.
   Un quotidiano della destra, in data 2 aprile, riporta che Oltreoceano  è stata inflitta una condanna a vent'anni per un delitto di "feticidio".
   La cronista fa il suo mestiere adoprando il sensazionalismo, un tempo appannaggio delle edizioni della sera esibite dagli strilloni, verso le quali era d'obbligo l'indulgenza dei lettori desiderosi di divagarsi con le iperboli curiose, non di rado divertenti.
  Una trentatreenne di origini indiane e di religione induista ha subìto arresto e processo per feticidio. Parrebbe sia questo il primo caso del genere negli Stati Uniti. L'articolista dice che la legge in questione non venne mai applicata prima, alludendo a una duplice condanna: per l'uccisione del feto prima che fosse nato e per il suo abbandono in vita, a parto avvenuto.
  "Ed è proprio questo [la doppia imputazione] che viene maggiormente contestato a livello procedurale dai critici del verdetto".
  Mi sorge il dubbio che la precipitazione abbia tradito gli indignati, prevenuti abortisti e, perché no? omosessualisti, contro le potestà di quello Stato del Middle West, e che la giornalista corra nella loro scia agitando un feticidio, che è un semplice infanticidio.
  Stenterei a credere alla grossolana incongruenza giuridica, stante una condanna a 20 anni di carcere. Credo piuttosto si tratti dell'imputazione di procurato aborto fuori dalle regole e, fallito questo, di uccisione del neonato immaturo. L'omicidio dev'essere il delitto che ha avuto il maggior peso. Essendo il tutto comprovato, non fa specie il rigore del tribunale.
  A questo punto, non è peregrino ricordare - come ho avuto occasione di scrivere ultimamente - che  il Governatore dell'Indiana ha proclamato una legge sulla libertà religiosa, con cui si autorizza a mettere sotto accusa, nell'ambito religioso, certi comportamenti omosessuali, e si consente ad artigiani e commercianti (pasticceri, fiorai) il rifiuto di consentire con loro prestazioni a tali costumi, senza incorrere nel reato di omofobia.
  Infatti, così un comunicato dell'ANSA (1° aprile '15): "Lo stato dell'Indiana - nell'occhio del ciclone per la contestata legge antigay - ha condannato per la prima volta negli USA una donna a 20 anni di reclusione per feticidio..." Per inciso, da la stessa fonte veniamo a sapere che l'accusa ha imputato alla donna l'acquisto online di farmaci per abortire.
  La condannata - viene riferito nel giornale citato prima - dichiarò di aver abortito spontaneamente e di essersi sbarazzata del piccolo nato morto, dopo aver negato la propria gravidanza al Pronto Soccorso, dove aveva dovuto ricoverarsi. Appare dunque credibile l'accusa d'aver assunto farmaci illegali e la soppressione del bambino. Se non ce ne vengono fornite le prove, non per questo dobbiamo ritenere che mancassero. Debole e vaga è l'osservazione: "I test tossicologici non individuarono alcuna traccia di medicinali abortivi nell'organismo della madre".
  "Inoltre" continua lo scritto, "secondo il medico che esaminò il feto trovato nel cassonetto, il piccolo aveva circa 30 settimane e avrebbe invece [sic] potuto sopravvivere con le giuste cure".
  Nonostante l'oscurità delle proposizioni, ci sono gli estremi dell'assassinio: la vittima sarebbe stata un settimino.
  Ma si torna a battere sulla protesta delle "attiviste per la difesa dell'aborto", le quali sostengono che "anche in caso di condanna la giuria avrebbe dovuto decidere quale dei due crimini Patel (l'imputata) abbia commesso".
  A nostra volta, dobbiamo ripetere che ci sembra improbabile una giuria idiota.
  Le "attiviste" concludono che "ciò dimostra come la sentenza sia una punizione basata su una concezione ideologica e non su un reato".
  Apprendiamo che il verdetto segue il divieto di interrompere la gravidanza "al di fuori di specifici e limitati parametri [non sappiamo quali siano]. Ma la preoccupazione di molti è che ora le donne tornino ad aver paura di ricorrere alle cure mediche in caso di gravidanze indesiderate o persino di aborti spontanei".
  Data la speciosità dell'argomentazione riferita pari pari, insomma, data per buona, e dal tenore dell'articolo non sarà difficile capire da che parte stia la giornalista e chi la sorveglia.
  Ma quanto è dura, per quelli che potrebbero promuovere il riscatto di questa società da una vecchiezza debosciata, staccarsi dalla calamita del congegno ideologico vampiresco che, aspirando il sangue sociale, inietta in sua vece una pletora di umori guasti!
 
Piero Nicola

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