Finalmente una mezza buona notizia. Si spiega
più avanti perché soltanto mezza. Per ora godiamoci questo poco di lieto che ci
viene dagli USA.
Sarà un
caso che esso ci giunga a breve distanza da un'altra nuova confortante dovuta al
medesimo Stato dell'Indiana? L'America, terra di eccessi e stravaganze, riserva
sorprese in ogni senso e conviene andar cauti con i logici collegamenti.
Un
quotidiano della destra, in data 2 aprile, riporta che Oltreoceano è stata inflitta una condanna a vent'anni per
un delitto di "feticidio".
La cronista
fa il suo mestiere adoprando il sensazionalismo, un tempo appannaggio delle
edizioni della sera esibite dagli strilloni, verso le quali era d'obbligo
l'indulgenza dei lettori desiderosi di divagarsi con le iperboli curiose, non
di rado divertenti.
Una
trentatreenne di origini indiane e di religione induista ha subìto arresto e
processo per feticidio. Parrebbe sia questo il primo caso del genere negli
Stati Uniti. L'articolista dice che la legge in questione non venne mai
applicata prima, alludendo a una duplice condanna: per l'uccisione del feto
prima che fosse nato e per il suo abbandono in vita, a parto avvenuto.
"Ed
è proprio questo [la doppia imputazione] che viene maggiormente contestato a
livello procedurale dai critici del verdetto".
Mi sorge
il dubbio che la precipitazione abbia tradito gli indignati, prevenuti
abortisti e, perché no? omosessualisti, contro le potestà di quello Stato del
Middle West, e che la giornalista corra nella loro scia agitando un feticidio,
che è un semplice infanticidio.
Stenterei
a credere alla grossolana incongruenza giuridica, stante una condanna a 20 anni
di carcere. Credo piuttosto si tratti dell'imputazione di procurato aborto
fuori dalle regole e, fallito questo, di uccisione del neonato immaturo.
L'omicidio dev'essere il delitto che ha avuto il maggior peso. Essendo il tutto
comprovato, non fa specie il rigore del tribunale.
A questo
punto, non è peregrino ricordare - come ho avuto occasione di scrivere
ultimamente - che il Governatore
dell'Indiana ha proclamato una legge sulla libertà religiosa, con cui si
autorizza a mettere sotto accusa, nell'ambito religioso, certi comportamenti
omosessuali, e si consente ad artigiani e commercianti (pasticceri, fiorai) il
rifiuto di consentire con loro prestazioni a tali costumi, senza incorrere nel
reato di omofobia.
Infatti,
così un comunicato dell'ANSA (1° aprile '15): "Lo stato dell'Indiana -
nell'occhio del ciclone per la contestata legge antigay - ha condannato per la
prima volta negli USA una donna a 20 anni di reclusione per feticidio..."
Per inciso, da la stessa fonte veniamo a sapere che l'accusa ha imputato alla
donna l'acquisto online di farmaci per abortire.
La
condannata - viene riferito nel giornale citato prima - dichiarò di aver
abortito spontaneamente e di essersi sbarazzata del piccolo nato morto, dopo
aver negato la propria gravidanza al Pronto Soccorso, dove aveva dovuto ricoverarsi.
Appare dunque credibile l'accusa d'aver assunto farmaci illegali e la
soppressione del bambino. Se non ce ne vengono fornite le prove, non per questo
dobbiamo ritenere che mancassero. Debole e vaga è l'osservazione: "I test
tossicologici non individuarono alcuna traccia di medicinali abortivi
nell'organismo della madre".
"Inoltre"
continua lo scritto, "secondo il medico che esaminò il feto trovato nel
cassonetto, il piccolo aveva circa 30 settimane e avrebbe invece [sic] potuto
sopravvivere con le giuste cure".
Nonostante
l'oscurità delle proposizioni, ci sono gli estremi dell'assassinio: la vittima
sarebbe stata un settimino.
Ma si
torna a battere sulla protesta delle "attiviste per la difesa
dell'aborto", le quali sostengono che "anche in caso di condanna la
giuria avrebbe dovuto decidere quale dei due crimini Patel (l'imputata) abbia
commesso".
A nostra
volta, dobbiamo ripetere che ci sembra improbabile una giuria idiota.
Le
"attiviste" concludono che "ciò dimostra come la sentenza sia una punizione basata su una concezione
ideologica e non su un reato".
Apprendiamo
che il verdetto segue il divieto di interrompere la gravidanza "al di
fuori di specifici e limitati parametri [non sappiamo quali siano]. Ma la
preoccupazione di molti è che ora le donne tornino ad aver paura di ricorrere
alle cure mediche in caso di gravidanze indesiderate o persino di aborti
spontanei".
Data la
speciosità dell'argomentazione riferita pari pari, insomma, data per buona, e
dal tenore dell'articolo non sarà difficile capire da che parte stia la
giornalista e chi la sorveglia.
Ma
quanto è dura, per quelli che potrebbero promuovere il riscatto di questa
società da una vecchiezza debosciata, staccarsi dalla calamita del congegno
ideologico vampiresco che, aspirando il sangue sociale, inietta in sua vece una
pletora di umori guasti!
Piero Nicola
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