“Non esiste
possibilità di conciliazione tra la filosofia evoliana e il Cristianesimo, tra
il cattolicismo di Evola e il cattolicesimo cristiano, che perseguono due
itinerari contrastanti”.
Gian Franco Lami
Nell'appendice a La folgore di Apollo,
raccolta di saggi su Evola, scritti con competenza da Roberto Melchionda e
riproposti, a cura del sagace Rodolfo Gordini, in una collana di Cantagalli
editore in Siena, sono pubblicate alcune magistrali lettere scritte da un
allievo di Augusto Del Noce, il compianto Gian Franco Lami, e indirizzate
all'illustre interprete del pensiero tradizionista.
Il
fine perseguito dallo studioso romano era svelare le debolezze e le
incongruenze dell'esoterismo, in fumosa, intossicante, inarrestabile circolazione
negli ambulacri affollati dai riformatori della proibita cultura fascista.
Intento a promuovere la disintossicazione dal
magismo, in sfrenata circolazione negli ambienti del post-fascismo, Lami
giudicava indispensabile ridimensionare l'autorità di Evola e perciò dichiarava
apertamente “per come la penso io, un Evola, inserito nel panorama della
filosofia contemporanea, è un minore”.
Il travolgente/incapacitante/devastante
successo dell'evolismo nella fragile area destra, oltre che allo
stile squillante/incantante/intrigante, si doveva al complice silenzio calato
sull'aperta dichiarazione di ateismo, leggibile (ad esempio) nelle pagine
roventi di Cavalcare la tigre. Professione che ha azzerato il
vantato tradizionalismo e ha abbassato Evola alla figura di un bizzarro,
implicito alunno del mondo moderno (quale fu nella rovente giovinezza
dadaista).
Associata
all'ateismo circolava la grottesca teoria evoliana intorno ai rapporti sessuali
consumati con mille (1000!) diverse giovani donne, atti necessari (secondo la
scolastica neopagana) all'acquisto della suprema saggezza (e di una malattia
sessuale, secondo la testimonianza di Clemente Graziani, che aveva consultato
la desolata cartella clinica del barone).
Fuori
dalla nube d'incenso destro, Evola è un pensatore in
aperto e dichiarato conflitto con la verità cattolica e con le avanguardie
fasciste, rappresentate da Arnaldo Mussolini, Francesco Orestano, Carlo
Costamagna, Balbino Giuliano, Armando Carlini, Carmelo Ottaviano, Niccolò Giani
e Guido Pallotta.
L'osservatore che non teme il rischio
dell'apparente paradosso, può affermare in tutta tranquillità che l'evolismo ha
inquinato, alterato e depistato la cultura della destra italiana, inducendo i
suoi interpreti a rifugiarsi ultimamente nel vuoto mentale di Fini &
Bocchino, gli emigranti nel salotto quirinalizio, in cui il polo escluso
si è appiattito e accasciato sulla pittoresca sagoma del nulla squillante nei
pistolotti de noantri.
Opportunamente Lami, in una delle lettere
indirizzate a Melchionda, ha svelato la obliqua dipendenza del pensiero
evoliano dall'ateismo di sinistra, professato da Adriano Tilgher (1887-1941) e
si è domandato “Come fare a passare in silenzio la filosofia della storia di
Evola, il suo violento antiprogressismo, da cui sembra provenire la sua critica
a Croce?”
D'altra parte Lami ha dimostrato che il
pensiero evoliano corre sul filo di una oscillazione/elusione perpetua:
“Evola mi sembra cattolico, pur non essendo cristiano, ed è filosofo della
razza, della individualità, della personalità e della idealità, senza essere
razzista, individualista, personalista e idealista”.
Entrando
nel groviglio delle squillanti contraddizioni evoliane, Lami ha dimostrato che
del senso logico Evola “sapeva molto o poco in maniera niente affatto
esaustiva. Direi addirittura che l'aspetto migliore del modello evoliano
consiste nell'aver contribuito a minimizzare il principio di non contraddizione
e nell'aver collaudato personalmente che si può tranquillamente convivere con
il paradosso assurto a valore”.
Non
aveva dunque il torto Giano Accame, quando riconobbe e sostenne (contro la
impettita direzione del Borghese) la stretta parentela di Evola con
l'irrazionalismo del francofortese Herbert Marcuse.
In sintonia con il giudizio sull'ascendenza
idealistica (schellinghiana) dell'evolismo, formulato da Francisco Elias de
Tejada nel 1974, Lami sostiene che, durante gli anni Trenta, “nell'area
germanica, già predisposta da una consuetudine di studi che ha per capostipite
l'ultimo Schelling, il metodo tradizionale ebbe presto buona eco presso la
scuola di Othmar Sapann e di Walter Heinrich, collaboratori con Evola della
rivista Lo Stato”.
Di
qui l'ironica conclusione di Lami: “Direi addirittura che l'aspetto migliore
del modello evoliano consiste nell'aver contribuito a minimizzare il principio
di non contraddizione e nell'aver collaudato personalmente che si può
tranquillamente vivere con il paradosso assurto a valore. … Forse sarà una mia
impressione sbagliata, forse sarà quell'insistere evoliano sui percorsi
iniziatici di tradizioni lontane dalla nostra, ma, alla fine, l'apertura del
suo occhio interiore la vedo come un processo poco medi(t)ato”.
In definitiva Lami condivide il giudizio,
formulato sui disvalori della destra colonizzata e asiatizzata dagli
evoliani.
L'emigrazione
dei pensieri evoliani nelle raffinate ridotte dell'esoterismo turbava i
redattori dell'Osservatore romano, che attribuivano ad Evola “spropositi
e aberrazioni”.
La scoperta della stranezza circolante nell'opera
evoliana ha liberato la destra dalle paralizzanti fantasticherie
ario-indo-nipponiche e ha posto l'obbligo (non ancora seriamente obbedito e
forse non perfettamente compreso dagli scappati dalla casa destra) di risalire
alle fonti della autentica tradizione nazionale. Un cammino in salita, vista la
fragilità della classe dirigente scampata alla distruzione finiana ma
seriamente minacciata dalla rapida ascesa del convincente leghista Matteo
Salvini.
Piero Vassallo
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