SOMMARIO:
1. Il concetto di
tradizione. 2. Tradizione cristiana e non
“giudaico-cristiana”. 3. Definizione di
Tradizione cattolica. 4. La Tradizione
cattolica non contiene nulla di segreto, non è esoterica. 5. La
nozione esoterica di tradizione è irrazionale e falsa. 5.1 Lo stravolgimento del significato della
Croce da parte di Guénon.
Che cosa si intende per tradizione lo
si dà in genere per scontato e lo si
lascia all’intuizione. Non sarà
male, tuttavia, tentarne una definizione.
1. Il concetto di tradizione. Innanzitutto,
l’idea di tradizione include quella di determinati valori, tramandati e
mantenuti nel corso delle generazioni.
Tramandati e mantenuti, quindi
insegnati e fatti rispettare come valori che costituiscono il fondamento
inalterabile di una determinata concezione del mondo e quindi del modo di
vivere di una determinata società, intesa globalmente come popolo. La tradizione si sostanzia, infatti, nel costume. L’idea di tradizione è dunque connessa a
quella di valore e costume. Qui non si lascia spazio ad una
determinazione soggettiva di che cosa sia il valore: il valore mantenuto dalla Tradizione è
proprio quello che si impone per il fatto stesso di fondare la tradizione e di
appartenerle, al di sopra e al di là di quello che possano pensarne i singoli
individui, che anzi devono riconoscerlo ed ottemperarvi. I valori espressi nella tradizione
costituiscono la verità della
tradizione stessa. Essi sono sentiti
come degni di appartenere alla tradizione per il fatto di esser veri,
perché si ritiene che in essi si esprima una verità di carattere religioso e
morale o solo religioso o solo morale o morale e politico o solo politico od
infine solo di costume: una verità comunque
oggettiva, che appartiene alla cosa in quanto tale, indipendentemente
dal flusso e riflusso delle opinioni e degli eventi. La verità che si sente nei valori della
tradizione equivale alla loro conformità all’idea della giustizia: i valori della tradizione sono giusti,
questa è la loro verità, ed è giusto osservarli e conservarli.
La tradizione è dunque un sistema
coerente di princìpi e comportamenti che costituiscono le norme, scritte
o non scritte, dalle quali l’individuo non può discostarsi o sul piano del
costume o su quello delle leggi.
Riferita a un’istituzione o a una nazione, la Tradizione appare pervasa
di una componente epica: atti
gloriosi o imprese memorabili, battaglie, guerre.
In quanto tale, la tradizione la ritroviamo
in tutti i campi dell’attività umana, nel senso che in ognuno di essi si forma
sempre una tradizione da rispettare; anche, p.e., tra i criminali, onde
possiamo parlare di tradizioni buone o cattive, come sono quelle dei malvagi
associatisi per delinquere. Le tradizioni
cattive, che sono di diverso tipo, o quelle del tutto superate,
vanno ovviamente combattute ed eliminate o disattese, per quanto è possibile.
2. Tradizione
cristiana e non “giudaico-cristiana”. Come
espressione di valori positivi, morali e politici, la tradizione è
intesa in Occidente ancora come quel complesso
di valori che si rifanno al Cristianesimo e che vengono riassunti nel
noto slogan: “Dio, Patria e
Famiglia”. Questi tre sono considerati,
da sempre i valori tradizionali per eccellenza, anche quando sono negati;
valori che in Europa, sin da quando ancora esisteva l’Impero Romano
d’Occidente, sono stati modellati dal Cristianesimo, come insegnato dalla
Chiesa cattolica. Valori, quindi, cristiani
e non giudeo-cristiani, come si usa dire impropriamente dopo il pastorale
Concilio Ecumenico Vaticano II. Infatti,
il “giudeo-cristianesimo” è stato solo un momento iniziale e locale del
Cristianesimo, poi rapidamente scomparso.
Né si può dire che i valori dell’Ebraismo abbiano concorso con quelli cattolici
alla formazione della nostra civiltà, se solo si pensa al concetto di Dio
dell’Ebraismo post-cristiano, fermo al Dio unico e al rigetto del vero Messia,
nonché alla concezione del matrimonio come contratto risolvibile col divorzio e
ad altri aspetti, riguardanti la religione e la morale (per esempio, il
“prestito ad interesse”, ammesso dagli Ebrei nei confronti dei Gentili (Dt 23,
20) e non ammesso per tanti secoli dalla Chiesa). In realtà, nei suoi valori, l’Ebraismo
si è posto sempre come antagonista di quelli dell’Europa cristiana anteriore
allo scisma protestante. Solo con gli
indebiti quanto ambigui riconoscimenti del Vaticano II alla religione ebraica,
come se fosse ancora portatrice di un’attesa messianica valida, si è tornati a
parlare, in ambito cattolico, di giudeo-cristianesimo: concetto artificioso
che falsifica a sua volta il Cristianesimo, mettendolo sullo stesso piano
dell’Ebraismo, nonostante quest’ultimo
rifiuti Cristo a priori.
Solo nella misura in cui si sono assimilati
alla civiltà cristiana, gli Ebrei hanno condiviso la nostra stessa
tradizione. Il fatto è che non si
possono ricomprendere sotto un unico comun denominatore tradizioni fra loro diverse
se non addirittura opposte, in tutto o in parte, quanto ai valori professati. Parlare oggi di valori giudeo-cristiani come
valori positivi comuni a cattolici ed Ebrei, ed anzi a tutti gli europei, è poi
in particolare assurdo, se si pensa che la maggioranza degli Ebrei sono atei e
miscredenti, immersi nel materialismo predominante nelle nostre società. Essi concorrono attivamente al sovvertimento
“liberal” della nostra civiltà. Politici
israeliti come Sarkozy, Cameron e Hollande, sostenuti da gran parte dei rabbini
e degli intellettuali ebrei, sono stati decisivi nell’emanare le leggi infami
con le quali si è imposta la Rivoluzione Sessuale alle nostre società.
La realtà di tradizioni tra loro
confliggenti è impossibile da negare e va anzi sviscerata contro il
conformismo ideologico dominante, che ha fabbricato un’idea falsissima di
tradizione comune a tutti i popoli, in quanto aspirerebbero tutti da
sempre al vero Dio, alla pace universale, alla dignità dell’uomo, alla
democrazia; pseudo-verità che l’ideologia “liberal” dominante da qualche
decennio impone come unica moneta corrente (a partire dal Vaticano II, corrente
anche in ambito cattolico).
Bisogna, invece, accettare la realtà,
storicamente costituita dalla contrapposizione frontale delle
tradizioni. Così alla tradizione
cristiana in generale dell’Europa e delle Americhe e in particolare a
quella cattolica, si contrappone la tradizione rivoluzionaria
dell’Europa e delle Americhe, nelle sue varie e ben note componenti. Essa mette l’Umanità al posto di Dio e della
Patria, il libero amore ed anzi uno sfrenato ed irresponsabile edonismo al
posto della famiglia. Tra le due
tradizioni non è possibile compromesso alcuno.
Il tentarlo, come ha fatto la Chiesa cattolica attuale
nell’“aggiornarsi” ai valori e alla mentalità del mondo moderno, significa solo
votarsi al suicidio.
Ma cerchiamo ora di stabilire il concetto
di tradizione cattolica in senso stretto.
3. Definizione
di tradizione cattolica. Visto il concetto di tradizione sopra
delineato, quali sono i caratteri in base ai quali possiamo parlare di
“Tradizione cattolica” come qualcosa di specifico, che la distingue dalle
tradizioni di altro contenuto? La
caratteristica della Tradizione cattolica è quella di rappresentare le
verità ed i valori contenuti nella dottrina e nella pastorale della Chiesa
cattolica, che li propone ed insegna come verità di origine sovrannaturale.
La Tradizione cattolica è cattolica proprio
perché mantiene la pretesa di conservare ed insegnare la Verità Rivelata da
Nostro Signore Gesù Cristo, Seconda Persona della Santissima Trinità, incarnatosi
storicamente nell’ebreo Gesù di Nazareth, che ha dimostrato in parole ed opere
di essere il Messia, il Figlio di Dio annunciato nelle profezie dell’Antico Testamento: Dio fatto uomo, simile in tutto a noi tranne che nel peccato .
Dal punto di vista del contenuto, in senso
stretto ed autentico, la Tradizione cattolica è pertanto costituita
dall’insegnamento di Nostro Signore per ciò che riguarda la fede e i
costumi, ossia la religione e la morale,
così come tale insegnamento risulta dai Vangeli e dall’insegnamento degli
Apostoli, inizialmente solo orale e subito dopo messo per iscritto. Tale insegnamento è costituito dalle fonti scritte e non scritte
(Corpo Neotestamentario e fonti non scritte) riconosciute ed accettate dalla
Chiesa e si è concluso, come ha sempre ritenuto la Chiesa, con la morte
dell’ultimo Apostolo. Le verità di
origine sovrannaturale rivelate in questo insegnamento costituiscono da
allora il Deposito della Fede, il cui mantenimento è il compito
specifico del Sommo Pontefice, dei Vescovi, dei chierici tutti (nonché, per
quanto sta a loro, dei fedeli).
Il deposito non può esser stravolto
con insegnamenti ad esso contraddittori o comunque con esso incompatibili. Certe verità di fede e della morale possono
sempre esser spiegate in modo più chiaro e ciò è avvenuto in genere nelle dispute teologiche che si
sono avute in passato nel controbattere le eresie. Approfondimento nella delucidazione del dogma
ma mai novità. Come si suol dire,
il dogma della fede può enunciarsi nove (in modo “nuovo” quanto agli
argomenti usati) ma mai introducendo nova, nuove cose, novità nel
contenuto stesso del dogma.
Faccio un esempio, su un tema d’attualità. L’indissolubilità del matrimonio è,
per i cattolici, dogma di fede, essa costituisce una delle verità fondamentali
sempre mantenute dalla Tradizione cattolica.
Così è stabilito dalla dottrina della Chiesa, che ha riscontri sia nella
Sacra Scrittura che nella tradizione non scritta. Questa verità vale sempre, altrimenti non
sarebbe stata rivelata da Dio: il matrimonio deve ritenersi indissolubile oggi
come lo era nei primi tempi del Cristianesimo, ai tempi degli antichi
Romani. Analizzando il concetto nel
merito, si vede che non può mutare, questa verità, perché la natura umana è
rimasta sempre la stessa, quanto ai suoi bisogni elementari e primari, ai suoi
desideri, istinti, passioni (e i peccati sono rimasti sempre gli stessi, pur
variando le modalità di esecuzione nelle varie epoche, a seconda del variare
dei mezzi a disposizione per offendere).
Il maschio e la femmina sono spinti sempre
dal medesimo istinto vitale di accoppiarsi per riprodursi, presente anche negli
animali. In noi, ovviamente, tale
istinto viene sublimato dalla consapevolezza, dalla sensibilità, dalla cultura,
insomma dal contorno spirituale con il quale
l’uomo, proprio perché ha l’anima e il pensiero, lo circonda, lo educa,
cerca di controllarlo. Ma resta il fatto
perenne che lo scopo primario del matrimonio trascende le persone stesse degli
sposi, consistendo nella procreazione e nell’educazione della prole. Il reciproco perfezionamento degli sposi ne
costituisce lo scopo secondario, sempre e giustamente subordinato al
primario. Su questo fondamento la Chiesa
ha sempre insegnato a disciplinare la concupiscenza carnale, il cui fòmite, se
incontrollato, è altamente distruttivo (come sapeva anche il pensiero classico,
nei suoi migliori esponenti); a farla sfogare unicamente nel matrimonio
rettamente concepito.
Pertanto, la diversa sfumatura introdotta
nella concezione del matrimonio nella costituzione conciliare Gaudium et
Spes, sulla Chiesa e il mondo contemporaneo, appare in contraddizione con
la Tradizione cattolica in senso proprio o Tradizione della Chiesa. Infatti, da quel testo si evince (all’art.
48.1) che la procreazione non è tanto il fine primario dell’unione, ciò che ne
giustifica l’esistenza, quanto il suo “coronamento” (fastigium): l’istituto matrimoniale e l’amore coniugale
sono “ordinati alla procreazione ed educazione della prole e in queste trovano
il loro coronamento [iisque veluti suo fastigio coronantur]”. Ecco perché da qualche decennio, nel
linguaggio ecclesiale, si parla sempre di matrimonio come “comunità di vita o
di amore aperta alla vita” e non più giustificata unicamente per
la procreazione e l’allevamento della prole, cioè per il fatto di doversi
“aprire alla vita”. L’espressione “fine
primario del matrimonio” non si usa nemmeno più. In tal modo, “l’apertura alla vita” non
sembra esser posta come un valore secondario rispetto al c.d. “perfezionamento
reciproco degli sposi” nella c.d. “comunità d’amore” che è (dovrebbe essere) il
matrimonio? E gli effetti disastrosi, in
ambito cattolico, di questa mutazione nella concezione del matrimonio, non sono
sotto gli occhi di tutti? Bisogna dunque
affermare, in ogni caso, che il dettato di GS 48.1 non esprime un concetto del
matrimonio pienamente conforme a quello sempre insegnato dalla Chiesa e quindi pienamente
conforme alla Tradizione cattolica.
Questa deviazione dalla Tradizione, e quindi
dalla retta dottrina, ovviamente non comporta come tale il riconoscimento del
carattere di “matrimonio” alle unioni di fatto o convivenze, che restano
concubinaggio, né ad ammettere il divorzio.
I cattolici che divorzino e si risposino civilmente sono degli adulteri
e il commercio carnale con il nuovo coniuge regredisce a fornicazione. Ogni cattolico che scelga di vivere in
situazioni del genere offende grandemente Dio e commette peccato mortale. E sappiamo (perché è stato rivelato) che chi
muore in peccato mortale va all’eterna dannazione.
Tuttavia, l’aver posto l’accento più sulla
comunione di vita e perfezionamento reciproco degli sposi (inteso nella cruda
realtà in genere come libertà di “darci dentro” con il sesso per i primi tempi
o anni, con ampio uso di contracettivi, salvo poi pensare ad avere un figlio,
che magari non viene più perché Dio non si lascia prender in giro) ha favorito
il radicarsi di concezioni eterodosse, ben rappresentate nella parte oggi
apertamente deviata del clero, venuta prepotentemente alla ribalta nei recenti
due Sinodi dei Vescovi sulla famiglia (2014 e 2015), che tendono di fatto a
riconoscere in modo indiretto (concedendo l’uso di Sacramenti quali la S.
Comunione) le “comunioni di vita” rappresentate dai divorziati risposati, dalle
coppie di fatto, ivi incluse quelle omosessuali!
Quei chierici e quei laici non si rendono conto
dell’assurdità delle loro richieste, inaccettabili in sé e in relazione al vero
concetto di Tradizione cattolica. Non si
rendono conto, a quanto pare, che simili riconoscimenti, i quali non
permetterebbero più di distinguere tra ciò che è lecito e ciò che non lo è,
venendo in tal modo a distruggere il fondamento stesso della morale, sarebbero
in antitesi radicale con il Deposito della Fede, rappresentando essi la negazione
palese, anche se indiretta, dell’indissolubilità del matrimonio, che verrebbe
lasciata alla buona volontà dei singoli, quando invece (ci insegna la Chiesa da
duemila anni) essa è stata espressamente dichiarata in modo assoluto e senza
sfumature da Nostro Signore e dall’insegnamento degli Apostoli. E non si rendono conto che le prese di
posizione dell’Autorità Ecclesiastica da loro assurdamente auspicate sarebbero
in ogni caso intrinsecamente invalide, dal momento che l’indissolubilità
del matrimonio è di diritto naturale oltre che di diritto divino positivo (che
è quello contenuto nella Rivelazione) e nemmeno il Papa può andar contro il
diritto naturale e il diritto divino, anche indirettamente.
4. La
Tradizione cattolica non contiene nulla di segreto, non è esoterica. La Tradizione cattolica esprime
dunque al massimo grado il valore cogente di ogni tradizione che si
rispetti. E questo perché le sue fonti
sono sovrannaturali onde le verità da esse proclamate devono ritenersi alla guisa
di dogmi. Questo è un aspetto che non
bisogna mai dimenticare. Così come il
fatto che tale tradizione coincide con l’insegnamento della Chiesa per ciò che
riguarda la fede ed i costumi. Insegnamento
pubblico e comprensibile a tutti.
Come è stato pubblico e comprensibile a tutti quello di Nostro Signore
Gesù Cristo, che non ha mai insegnato nulla né di segreto né in segreto. Alle guardie del Sinedrio che venivano a
catturarlo nell’orto di Getsemani, Egli disse:
“Siete venuti con spade e bastoni a prendermi, come se fossi un
brigante; ogni giorno ero seduto in mezzo a voi nel Tempio ad insegnare, e non
mi avete preso” (Mt 26, 55). Egli ha
sempre insegnato ed operato in pubblico, in presenza di testimoni ed in modo
accessibile ad ogni intelletto normale.
A volte ciò che diceva poteva sembrare difficile, in prima
approssimazione, od oscuro, come nel caso delle profezie sulla fine di
Gerusalemme e sulla fine del mondo, da Lui volutamente intrecciate in un unico
discorso. Ma non si tratta di difficoltà
ed oscurità tali da cadere nell’ermetismo per iniziati. Tant’è che esiste una tradizione
interpretativa, quella riconosciuta dalla Chiesa, che ha spiegato in modo
soddisfacente i passi più difficili dei
Vangeli mentre, per ciò che riguarda le profezie, ha spiegato quanto a noi è
sufficiente comprendere per le necessità della nostra salvezza.
Quest’è, dunque, un altro punto importante
da tener presente per il vero concetto di Tradizione cattolica: la Tradizione cattolica non comprende
insegnamenti segreti di Nostro Signore o degli Apostoli, impartiti di nascosto
con discorsi mai riportati da alcuno o attraverso simboli misteriosi, la cui
interpretazione sia da affidare a cosiddetti “iniziati”. Non li comprende, per il semplice motivo che
non ci sono mai stati. Nella vera
Tradizione cattolica non vi è nulla di esoterico. Non esiste un Cristianesimo per le masse, per
i semplici ed ignoranti, ed uno esoterico (“sapienziale”) per gli
iniziati. Questo è un modo di intendere
la Tradizione cattolica del tutto sbagliato, che possiamo lasciare
tranquillamente ai Massoni, che amano pascersi di questo genere di
fantasie. Dal Vangelo di S. Giovanni,
per esempio, essi notoriamente ricavano le più strane ed incredibili
simbologie. Il concetto di tradizione
che ritroviamo nella Tradizione cattolica non ha perciò nulla a che vedere con
il concetto esoterico di tradizione. Chi
crede di poter conciliare tradizione cattolica e tradizione in senso esoterico,
erra grandemente.
5. La
nozione esoterica di Tradizione è irrazionale e falsa. La nozione esoterica di tradizione vien
detta oggi di preferenza “sapienziale”.
La tradizione “sapienziale” si riferisce evidentemente ad un’antica
“sapienza”, intesa come conoscenza originaria e superiore. Ma quale può essere? Quella contenuta nei Libri Sacri dei Giudei e
dei Cristiani? Anche quella,
purché opportunamente interpretata alla luce della “vera” conoscenza, che
sarebbe quella “sapienziale”. E quale
sarebbe concretamente questa “vera” conoscenza, da porsi alla fonte di tutta la
“vera” Tradizione? Tale conoscenza
andrebbe ricavata dalle credenze e simboli delle antiche religioni, a cominciare
da quelle ariane arcaiche, testimoniate nei Rig Veda. Non solo.
Queste conoscenze o tradizioni “primitive” (incredibile a dirsi) sarebbero
conservate da millenni in un centro iniziatico misterioso o centro supremo
occulto, situato originariamente in Asia, nel Tibet, che si sarebbe in qualche
modo mantenuto sino ai nostri giorni, anche se non si sa bene dove. Questo “centro supremo” viene individuato
dagli esoteristi in vari nomi di località o città mitiche: Agartha, Thule, Luz,
etc. riportati nelle varie “tradizioni”[1].
Le
credenze di cui sopra svelerebbero, a chi le sa interpretare, i segreti
dell’antica sapienza primordiale e quindi il supposto, autentico significato
del mondo e della vita. Si tratta di una
conoscenza (mantenuta dal misterioso “centro iniziatico”) che richiede
un’iniziazione e si basa soprattutto sull’interpretazione dei simboli. Ciò
comporta l’esprimersi a sua volta in simboli.
Essa elabora significati in modo appunto “sapienziale” ossia sulla base
di una “sapienza” non razionale, poiché non opera mediante concetti e
dimostrazioni razionali ma per “illuminazioni”, metafore, analogie. Non si affida al logos, al discorso
raziocinante, bensì all’eidos, all’immagine, caricandola dei significati
più strani. Significati ovviamente non
alla portata di tutti ma dei soli “iniziati”, di coloro che sono in possesso
della “scienza sacra”, dell’ermeneutica (da iniziati) che permette di
(ri)costruire i significati suddetti.
Presso diversi suoi cultori, questa cosiddetta “scienza” fa anche largo
spazio, come si può facilmente immaginare, a pratiche iniziatiche intrise di
magia e occultismo, con i loro tradizionali contorni libertini e omosessuali.
Nell’ottica “sapienziale” propria della
tradizione intesa in questo senso falso e deviato, il Cristianesimo non può
quindi esser concepito nella sua autentica natura che è quella di essere l’unica
ed assoluta fonte della verità, unica ed assoluta perché l’unica a
provenire storicamente dal vero Dio, Uno e Trino. La Rivelazione cristiana viene intesa,
invece, in modo del tutto errato, come una manifestazione storicamente
determinata della “sapienza primordiale”.
Quest’ultima le sarebbe anteriore e la ricomprenderebbe. Il
Cristianesimo sarebbe espressione di questa “tradizione” sapienziale e pertanto
di qualcos’altro rispetto alla verità assoluta di origine divina che
esso pretende di rappresentare. La
Tradizione cattolica andrebbe perciò (re)interpretata alla luce della
“tradizione primordiale”. Ne consegue
che il “vero” insegnamento di Cristo e degli Apostoli deve esser quello
“sapienziale” o segreto che dir si voglia, racchiuso in simboli il cui significato
il volgo dei credenti non può penetrare.
5.1.
Lo stravolgimento del significato della Croce da parte di Guénon. È quasi superfluo sottolineare che il contenuto
di questa “tradizione primordiale” resta sempre qualcosa di vago ed
indeterminato, dovendo risultare soprattutto dall’interpretazione di miti e
simboli, i quali rinviano sempre ad una realtà ulteriore, al di là e più
profonda, che resta tuttavia sempre indeterminata e in sostanza inconoscibile,
come una sorta di vuoto riempibile
all’infinito. Questo nulla fa
vedere tutta la falsità dell’idea esoterica di tradizione. Nell’ottica di Guénon, lo sappiamo, la
“tradizione primordiale” risulterebbe “dall’unità trascendente delle religioni”
onde la tradizione sarebbe “ciò che si conserva com’era in principio,
sebbene non nella sua espressione esteriore”.
Questa “espressione esteriore” deve esser penetrata, nelle varie
religioni, mediante un’analisi dei simboli basata soprattutto sull’analogia,
per risalire appunto all’unità della tradizione “primordinale”, alla “sapienza”
originaria[2]. Tuttavia, questa definizione di “tradizione
primordiale” resta in superficie. La
difficoltà di coglierla, dandole concretezza, risulta anche da altri autori,
ampiamente influenzati da Guénon, quali il De Giorgio, che scrive: “la tradizione quindi è la confluenza di
tutte le vie in Dio e la determinazione integrativa delle vie che conducono a
Dio affinché Dio sia veramente il termine che si vuol raggiungere e l’uomo il
punto di partenza di questo ritorno al ciclo divino”[3]. Di quale Dio si parli non è spiegato né qui
né nel resto del paragrafo, nel quale restano oscure le nozioni di “confluenza”
e “determinazione integrativa”.
In una prospettiva del genere, il
significato del Cristianesimo risulterà del tutto stravolto. La cosa appare in tutta la sua evidenza se
noi consideriamo, a mo’ d’esempio, in che maniera Guénon intenda il significato
della Croce di Cristo.
“Se Cristo è morto sulla croce, scrive
Guénon, è proprio, si può ben dirlo, per il valore simbolico che la croce ha in
se stessa e che le è sempre stato riconosciuto in tutte le tradizioni; ed è
perciò che, senza volerne sminuire il significato storico, si può considerarla
come una semplice derivazione da questo stesso valore simbolico”[4]. Il
valore simbolico della croce, “segno” presente in tutte le “tradizioni”
sapienziali, dall’antica India e Cina all’esoterismo mussulmano, nel quale
ultimo Guénon era particolarmente ferrato, prevale dunque sul significato
storicamente autentico della Crocifissione, che non si riferisce ovviamente
alla “croce” in quanto tale, ma alla persona di Colui che sulla Croce è
morto.
La crocifissione di Cristo, come fatto
storico, non presenta nulla di simbolico, nel senso adombrato da Guénon. La crocifissione era una condanna a morte
particolarmente crudele, usata nel mondo antico per reati molto gravi, quali il
tradimento e la ribellione. I Romani
non la infliggevano certo per il suo significato simbolico, per di più nel
senso “sapienziale” del termine. La
morte crudele ed infame richiamata dalla sua immagine era considerata un
sufficiente deterrente per i traditori ed i ribelli e comunque una giusta
punizione per la gravità dei loro reati.
Si ricordi lo spavento con il quale Cicerone nominò questo supplizio,
definendolo: “crudelissimum teterrimumque”[5]. Gesù vi fu condannato grazie alle false
accuse dei Farisei, che lo presentarono bugiardamente a Pilato come un ribelle
all’autorità romana. Dal punto di vista
del suo significato storico, che non è affatto meramente simbolico, la Croce ha
per noi credenti il ben noto significato salvifico: è la morte ingiusta dell’uomo-Dio innocente,
liberamente subita per obbedire alla volontà del Padre, esigente riparazione
per il peccato di Adamo; evento che permette alla Misericordia divina di
perdonare i peccati a tutti quegli uomini e donne che credono in Cristo,
improntando integralmente la propria vita ai Suoi insegnamenti.
Il significato intrinseco della Croce di
Cristo, e proprio come fatto storico, che è espiatorio (per il peccato di
Adamo), propiziatorio ( perché ci ottiene misericordia – propitiatio –
per i nostri peccati) e quindi specificamente salvifico, viene
completamente perduto nell’ottica “sapienziale” di un Guénon. Dal modo in cui quest’ultimo si esprime, si
ha la sensazione che egli attribuisca alla Crocifissione il significato di un
simbolo che si doveva realizzare in Cristo, in quanto simbolo ammesso “da tutte
le tradizioni”! E difatti, nel suo
citato studio, egli sciorina una vasta conoscenza di tutto il simbolismo
esoterico della Croce “nelle varie tradizioni”, simbolismo nel cui ambito il
vero significato della Croce di Cristo scompare del tutto.
Guénon dà del simbolo della croce
un’interpretazione che definisce metafisica, ricavandola in particolare
dall’esoterismo islamico. In realtà,
Guénon, come suo costume, cerca di districarsi tra i vari esoterismi,
fabbricando le più singolari analogie. L’esigenza che si esprimerebbe
nel simbolo della croce sarebbe quella della determinazione-realizzazione dello
“Uomo Universale”, nel quale il “macrocosmo” e il “microcosmo” unificherebbero i “diversi stati
dell’essere”. Ciascuno di noi sarebbe solo la “modalità individuale umana”
dell’essere o “Sè”. La connessione tra
il micro e il macrocosmo può, dunque, risultare in noi solo per analogia,
nozione che resta nell’insieme anodina, per quanto Guénon cerchi di chiarirla.
L’Uomo Universale dell’esoterismo islamico sarebbe lo Adam Qadmôn della Cabala e
“il re” (Wang) della tradizione estremo-orientale. Ora, “l’Uomo Universale non esiste che
virtualmente e in certo modo negativamente, come un archetipo ideale, fino a
quando la realizzazione effettiva dell’essere totale non gli abbia conferito
un’esistenza attuale e positiva”. Tale
“realizzazione” viene “simboleggiata” nella maggior parte delle dottrine tradizionali
da un segno che è ovunque il medesimo perché ricollegabile direttamente alla
“Tradizione primordiale”. E questo segno
è appunto “il segno della croce”. E per
qual motivo, proprio questo segno?
Perché la croce, con i suoi due bracci, indicherebbe “la comunione
perfetta della totalità degli stati dell’essere, ordinati gerarchicamente in
armonia e conformità, nell’espansione integrale secondo i due sensi
dell’”ampiezza” [braccio orizzontale] e dell’”esaltazione” [braccio
verticale]”. In questo “segno” abbiamo
perciò la rappresentazione di una “doppia espansione dell’essere”.
Orizzontalmente, “cioè a un determinato livello o grado di esistenza, e
dall’altra verticalmente, cioè nella sovrapposizione gerarchica di tutti i
gradi”. Ne consegue, che “il senso
orizzontale rappresenta l’estensione dell’’individualità assunta come base
della realizzazione [dell’essere o Sè], estensione che consiste nello sviluppo
indefinito di un insieme di possibilità soggette a condizioni particolari di
manifestazione”. All’opposto, “il senso
verticale rappresenta la gerarchia – anch’essa a maggior ragione indefinita –
degli stati multipli, ognuno dei quali, considerato nella sua integralità,
rappresenta un insieme di possibilità corrispondente a uno dei tanti “mondi” o
gradi che sono compresi nella sintesi totale dell’”Uomo Universale”[6].
Da questa fumosa costruzione, che per
Guénon sarebbe metafisica, nella quale domina la molteplicità,
intesa come pluralità indifferenziata di simboli e significati ricavabili dalla
geometria della croce, si capisce con chiarezza solo che (annoto) questa
“realizzazione effettiva della totalità dell’essere” è una forma universale di liberazione. Da che cosa, da chi? Liberazione in senso esoterico, ovviamente,
trattandosi della “liberazione” (Moksha) della quale parla la dottrina
indù e che l’esoterismo islamico chiama “identità suprema”, perché “l’Uomo
Universale” che si realizza nella totalità dell’essere, in quanto rappresentato
dall’Androgino primordiale nella coppia “Adamo-Eva” avrebbe il numero di Allâh, il 66, che “è appunto un’espressione di
tale identità”. Da tutto questo incredibile
miscuglio, una sola cosa risulta evidente:
che Guénon interpreta la creazione dell’uomo e della donna di cui alla
Bibbia, come creazione di un androgino!
Infatti, in nota specifica:
“Secondo il Genesi ebraico, l’uomo, “creato maschio e femmina”, cioè in
uno stato androginico è “immagine di Dio” […]
Lo stato androginico originale è lo stato umano completo, in cui gli
elementi complementari, anziché opporsi, si trovano in perfetto equilibrio”[7].
Con quale logica Guénon veda nella
creazione biblica dell’uomo e della donna quella di un “androgino”, non si
saprebbe dire. In questa cervellotica e
blasfema interpretazione, ricavata affastellando un guazzabuglio di “analogie”
tra i simboli delle varie “tradizioni” esoteriche (di per se stesse già il
risultato di elucubrazioni e miscugli di ogni genere), viene chiaramente alla
luce la ciarlataneria erudita di
Guénon. Su queste basi, come stupirsi
che egli ritenesse alla fin fine la Croce di Cristo come simbolo dell’indiamento
dell’uomo, rovesciandone del tutto il vero significato, seguito in questo
dai suoi discepoli?[8] Dell’Uomo Universale, si capisce, l’analogo
del supposto Androgino originario: “Non
è l’uomo individuale (che, come tale, non può conseguire nulla al di fuori del
proprio stato di esistenza), ma “l’Uomo Universale”, che questa croce
simboleggia, a essere veramente la “misura di tutte le cose”, secondo la già
ricordata espressione di Protagora”[9].
Perciò, il famoso passo del Vangelo di S.
Giovanni, nel quale Cristo si definisce “la via, la verità, la vita”, secondo
Guénon si può interpretare nel senso della
sua propria metafisica, riferendolo cioè alla Croce come simbolo dell’Uomo
Universale.
“Riprendendo per un istante la nostra prima
rappresentazione “microcosmica”, ed esaminando i suoi tre assi di coordinate
[confluenti nel centro della croce], la “via” (specifica per l’essere
considerato) sarà rappresentata dall’asse verticale; quanto ai due assi
orizzontali, l’uno rappresenterà la “verità”, e l’altro la “vita”. Mentre la “via” si riferisce all’”Uomo
Universale”, che è identico al “Sé”, la “verità” si riferisce all’uomo
intellettuale, e la “vita” all’uomo corporeo (benché quest’ultima possa subire
una certa trasposizione); di questi due termini, appartenenti entrambi
all’ambito di uno stato particolare, cioè a uno stesso grado dell’esistenza
universale, il primo deve essere assimilato all’individualità integrale, di cui il secondo non è che una
modalità […] Ciò implica dunque che il disegno della croce a tre dimensioni si
riferisca all’individualità umana terrestre, poiché è solo in relazione a
questa che abbiamo preso in considerazione la “vita” e la “verità”; questo tracciato raffigura l’azione del Verbo
nella realizzazione dell’essere totale, e la sua identificazione con l’”Uomo
Universale”[10].
Nel clima sempre più torbido di oggi sembra
trovare udienza anche chi, al vero significato della Croce consacrato da tutta
la Tradizione di fede della Cattolicità (si pensi ad opere quali L’imitazione
di Cristo), sovrappone per l’appunto la falsa interpretazione sapienziale
od esoterica della Croce stessa come simbolo grazie al quale “si risolvono
tutte le opposizioni” e si raggiunge (simbolicamente) una sorta di armonia
universale, quella del supposto “Uomo Universale”. Il sincretismo che caratterizza la
nozione “sapienziale” di tradizione sembra mirare allo stesso fine dell’ecumenismo
professato oggi dalla Gerarchia cattolica:
il raggiungimento della pace nel mondo, dell’armonia universale
nell’incontro di tutte le “tradizioni”, e quindi di tutte le esperienze
religiose. Un obiettivo che, come
sappiamo, non solo non ha nulla in comune con il fine della vera Tradizione
cattolica ma le si oppone frontalmente.
Paolo
Pasqualucci
[1] Su questo tema, cfr. R. Guénon, Il re del mondo (1958), tr.
it. B. Candian, Adelphi, Milano, 1977, con abbondanza di particolari. A giudicare da questo saggio, Guénon, che
alcuni si ostinano a ritenere un autentico filosofo, sembrava credere
effettivamente all’esistenza di un simile centro e dei relativi “superiori
occulti”! Il mito di un centro occulto di sapienza primordiale o tradizionale
che ha continuato a operare in segreto nei secoli, è caratteristico della “filosofia”
esoterica. Esoteristi quali Reghini,
Evola e De Giorgio ritenevano, senza fornire alcuna prova, che “la tradizione
pagana”si fosse sempre mantenuta in segreto in Italia, con i suoi riti
ininterrottamente dai tempi antichi (sul punto:
P. Di Vona. EVOLA E
GUÉNON. Tradizione e civiltà, Società Editrice Napoletana, Napoli, 1985, p.
195).
[3] G. De
Giorgio, La tradizione romana, a cura di G. de Turris, Edizioni
Mediterranee, Roma, 1989, p. 91. L’Autore
sta appunto illustrando il paragrafo dedicato a La Tradizione primordiale,
pp. 91-106.
[4] R. Guénon, Il simbolismo della Croce (1931), tr. it. T. Masera, Rusconi, Milano, 1973, pp.
13-14.
[6] Guénon, op. cit., pp. 25-32, per tutte le citazioni. Quest’interpretazone del simbolo della Croce
deriva originariamente dall’Alchimia.
Vedi: O. Wirth, Il simbolismo
ermetico nei suoi rapporti con l’Alchimia e la Frammassoneria (1969), tr.
it. di G. Del Ninno, Edizioni Mediterranee, Roma, 1991, voce: La Croce.
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