domenica 27 settembre 2015

L'Irredentismo italiano nel sud-est della Francia

 Ringrazio sempre il Signore di avermi fatto diventare professore universitario e come  tale esente dal giuramento di fedeltà alla Repubblica Italiana (intesa come regime)  in caso contrario avrei dovuto dimettermi o sarei stato spergiuro. (Giulio Vignoli)

 Infaticabile studioso e interprete geniale delle censurate e/o dimenticate vicende dei patrioti italiani attivi in territori contesi, Giulio Vignoli è un un degno erede e continuatore dell'opera di nobili scrittori quali Piero Operti e di Giovannino Guareschi.
 Vignoli, infatti, è il capofila della scuola storiografica, che, ove fosse possibile rompere il cerchio della banalità politicante, potrebbe far uscire la politica nazionale dal cerchio del pensiero impotente/urlante, intorno al quale si aggirano e prosperano spettri dossettiani, umbratili marxiani, maghi comizianti a destra, grotteschi arionordici, antichisti da palcoscenico, politologi da campo Hobbit, mezze culture e analfabeti conclamati [1].
 Ai disordinati pensatori, galoppanti nelle piste dell'emisfero destro, Vignoli indica la via maestra della ragion politica: riscoprire e fare proprio quell'amor di patria, che ha nobilitato gli italiani, da San Francesco a Dante, da Petrarca a Vico, dai patrioti italiani perseguitati dagli austriaci agli eroi delle guerre vinte o perdute nel XIX e nel XX secolo.
 L'influsso di studiosi infatuati dalla filosofia della storia elucubrata dai tedeschi ha destato purtroppo i pensieri e gli stati d'animo che rendono incapaci di comprendere il primato spirituale, culturale e civile degli italiani. Infine il patriottismo si è rovesciato nella gastronomia e nella mostra dei monumenti che testimoniano la grandezza di un irripetibile passato.
 L'umiliante scandalo messo in scena dai domenicani, che dimenticano e archiviano l'insuperata filosofia di San Tommaso per gettarsi a capofitto all'inseguimento di chimere tedesche o francesi o addirittura americane, è la misura del disordine mentale prodotto dal contagio della malattia antinazionale, che ci fu trasmessa dai vincitori della seconda guerra mondiale.
 Nel magnifico saggio L'Irredentismo italiano di Nizza e del nizzardo, edito in Roma dalla casa editrice Settimo Sigillo, Vignoli, dopo aver precisato che patriottismo “nulla ha a che fare con nazionalismo e con sciovinismo, così diffuso in Francia”, dimostra le radici dell'avversione al patriottismo, vizio circolante nell'Italia repubblicana: la riduzione del patriottismo al Fascismo, “il Fascismo demonizzato, mostro demoniaco causa di ogni male, demone immondo, non può aver pensato anche a ciò che poteva avere una qualche sua giustificazione.
 Vignoli, autentico patriota non fascista né antifascista, e perciò ammiratore della dignità degli italiani ovunque manifestata, mette il dito sulla piaga che ha tormentato la cronaca repubblicana: quell'avversione all'amor di Patria, che ha intossicato gli antifascisti (salva la impavida minoranza critica, radunata intorno a Gioacchino Volpe, Giorgio Del Vecchio, Balbino Giuliano, Carlo Delcroix, Giovanni Durando e ai già citati Giovannino Guareschi e Piero Operti) nelle opposte schiere di amici della Russia sovietica o dell'Occidente liberale.
 L'avversione del potere politico alla cultura e alla storia italiana governa la mano morta ideologica, che frena e scoraggia la qualunque ricerca della verità storica intorno agli italiani oppressi dai nazionalismi/sciovinismi stranieri.
 Al proposito di esterofilia, Vignoli rammenta un episodio surreale, il comportamento villano dei funzionari italiani in lotta contro le verità storiche sgradite ai francesi: “Per aver tentato di esporre la storia dell'agonia dell'italianità di Nizza ad un convegno presso il Consolato italiano di Nizza venivamo presi per un braccio e letteralmente trascinati via dal microfono”.
 Interessante è la rievocazione del grottesco episodio: “Siccome avevo notato che i relatori italiani non avevano accennato minimamente al perché della scomparsa, dopo la cessione, della presenza culturale italiana a Nizza, accennai alla persecuzione dell'italianità. Non lo avessi mai fatto, l'addetto culturale, certo preside Panattoni, presomi per un braccio, mi trascinava in malo modo via dal microfono”.
 La sgradevole verità emergente dall'episodio narrato da Vignoli conferma che – essendo il nome Patria umiliato dalla cultura repubblicana e retrocesso all'anodino termine paese – il patriottismo non ha cittadinanza nella repubblica nata dalla sconfitta.
 Per inciso: il delirio esterofilo, matrice dell'ideologia della repubblica, spiega le ragioni della gongolante e disarmata leggerezza con cui il governo italiano (complice il frivolo ecumenismo in corsa dissennata nei sacri palazzi) accoglie le avanguardie dell'islam.
 Agli attori recitanti sul sordo palcoscenico dell'esterofilia, Vignoli rammenta che il potere esercitato dai francesi nell'italianissima Nizza attuò una sottile oppressione, intesa a persuadere gli italiani renitenti ad emigrare. Il risultato della persecuzione esercitata nel segno dell'ipocrisia è l'esodo ingente degli italiani: “Si stima che attualmente a Nizza solo il 15% della popolazione sia di origine nizzarda”.
 Vignoli dimostra che l'italianità di Nizza si estinse per effetto della repressione della cultura, “con la congiura del silenzio e la disinformazione, che continua tuttora”.
 Opportunamente Vignoli osserva che la tendenza dei francesi ad addomesticare la verità sulla progettata e realizzata mutazione della nazionalità dei nizzardi, quantunque riprovevole è comprensibile “quella italiana è meno facile da spiegarsi se non con la viltà della Repubblica italiana, nata dalla morte della patria, spiritualmente una repubblica apatride”.
 Il furore anti-italiano circolante nella cultura di regime (lo rammenta Vignoli) si manifesta in un articolo pubblicato nella rivista “Il Veltro, periodico della Società Dante Alighieri, che dovrebbe dovrebbe diffondere la nostra lingua, in cui mi si accusa di creare dissidi fra Italia e Francia (con un libro, addirittura!) di aver citato un non citabile e cioè Ermanno Amicucci, (al rogo, al rogo...) e, ovviamente, di mire nazionalistiche se non proprio fascistiche[2].
 Nella seconda, robusta parte della sua pregevole opera di Vignoli rievoca la vicenda degli italiani renitenti agli appelli “democratici” lanciati dagli occupanti francesi. Le notizie (per lo più censurate dalla fellonia dei governi democratici) saranno prossimaente oggetto di una nota a mparte.

Piero Vassallo




[1]          In via riservata ho spedito al professore Vignoli un triste elenco dei dementi che squillano nelle prime file del desolato centrodestra.
[2]             Ermanno Amicucci (1890-1955) fu direttore del Corriere della Sera durante il periodo della Rsi. Per tale reato fu condannato a morte mediante fucilazione nella schiena. Evitò la fine toccata a Robert Brasillach perché Togliatti, consapevole dell'impossibilità di una maggioranza a-fascista, decretò un'amnistia finalizzata a captare la benevolenza dei fascisti. Amicucci tuttavia non entrò nel numero dei convertiti e svolse un'attività giornalistica scrivendo sul quotidiano anticomunista Il Tempo

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