mercoledì 23 settembre 2015

LA TEOLOGIA MORALE DEL SEGRETARIO DELLA CEI (di Piero Nicola)

  Da Il Giornale del corrente 22 settembre, apprendiamo che monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, è intervenuto a una tavola rotonda organizzata dalla giornalista presidentessa della Rai Monica Maggioni, in concomitanza con le cerimonie del Prix Italia (da notare il Prix: grazioso omaggio reso al francese, tanto per cambiare...)
  Il tema non lasciava dubbi sul concetto etico, oltre che sul retoricume della domanda: "Il fenomeno migratorio: coesione o divisione? Il ruolo dei media al servizio del pubblico".
  Il prelato si è esposto, balzando al di là delle giustificazioni della sua opinione sottintesa, dandola evidentemente per fondata e incrollabile, condivisa dal clero fino al suo vertice. Egli ha dichiarato: "Il ruolo del servizio pubblico è dare qualche pugno nello stomaco in più, perché quello è l'inizio della consapevolezza dell'opinione pubblica", a proposito della fotografia del bambino Aylan, profugo siriano naufrago, gettato morto dal mare sulla spiaggia.
  Ci si potrebbe sentire a disagio davanti a una figura retorica di certo poco conveniente, applicata alle spoglie d'un bimbo che ha reso l'anima. Già ci sono stati - non proprio incompresi - coloro i quali hanno deplorato lo scandalo dell'uso di un caso pietoso, alle cui immagini giornali e notiziari hanno fatto fare il giro del mondo a pro della causa dell'accoglienza, che sarebbe dovuta ai migranti imbarcati in traversate arrischiate, molto pericolose.
  L'incisivo Galantino sembra non darsi la pena del sacro riguardo verso i defunti, della spregiudicatezza del mezzo giornalistico da lui approvato, né della strumentalizzazione biasimata da... duri di cuore.
  Ma ciò che conta maggiormente è l'implicito giudizio morale sull'immigrazione di tal genere, avendo egli le spalle ben protette da analogo e parlante atteggiamento tenuto da Bergoglio e sodali suoi, per avventura graditi, a tale riguardo, dai signori della terra.
  Anzitutto va notato, oltre alla qualità del mezzo ("il pugno dello stomaco"), il genere del fine prossimo: un urto emotivo che desti la retta informazione e la retta coscienza.
  Non è molto ragionevole supporre che un'immagine, la quale induce al compianto o al pianto o ad altra reazione suscitata da una realtà pietosa e funebre, sia "inizio della consapevolezza", cioè apprendimento d'un fenomeno umano di vasta portata, ossia il viaggio di genti che con esso mettono la vita a repentaglio. Il fenomeno comporta un esame delle responsabilità, e per compierlo occorre ben altra conoscenza, anzitutto una conoscenza scevra del fattore emotivo. Stando così le cose, chi si compiace del "pugno dello stomaco" e dà per scontato il giusto effetto prodotto è forse ancora in regola con il criterio morale?
  Il pubblico che riceve la dura scossa atta ad orientarlo, come perviene a una risoluzione o convinzione confortata dalle debite cognizioni e dalle conseguenze da trarre, non trascurabili? Esso non è in grado di sapere quali e quanti emigranti siano perseguitati e profughi, quali e quanti, non essendolo, siano sospinti da fame e miseria insostenibile, quali e quanti siano ingannati e costretti all'emigrazione, quali e quanti siano mossi dal semplice desiderio di miglior vita, approfittando dei vantaggi offerti dai paesi in cui entrano, quali e quanti siano temerari e colpevoli nel rischio della pelle, quali e quanti siano disertori delle guerre  o fuggano alla giustizia della loro patria, quali e quanti abbiano il viaggio pagato e altre sovvenzioni non dichiarate. Nessuno di questi casi è improbabile, e mancano al riguardo le statistiche e le loro pubblicazioni.  
  Nunzio Galantino avendo in tasca la soluzione,  fa a meno di statistiche, di ponderate valutazioni e di stima delle conseguenze. Nella sua illuminata saggezza, sa che la misericordia da attuare risponde alla soluzione, sa che il loro grande potere attrattivo necessita soltanto di una spinta robusta per condurre il vasto pubblico all'umano convincimento.
  Nella logica del presupposto galantiniano, trattandosi della carità, entrerebbe la grazia, la sua divina ispirazione. Egli non si sogna di considerarla, perché ormai è noto che tutti gli uomini, essendo stati riscattati, beneficiano ugualmente del favore divino, e la dottrina della grazia è stata archiviata come si conviene; il popolo cova una pletora di uomini di buona volontà
  Andiamo invece al giudizio ultimo sul bene o sul male del comportamento di stati e di cittadini, cattolici o altri, verso l'immigrazione. A sentire il Galantino, il nostro atteggiamento sarebbe tardo, superfluo, sospetto di connivenza con i cattivi insensati. Difatti egli piamente ha aggiunto: "Quanto siamo ridicoli quando ci impelaghiamo in polemiche di bassa lega, l'immigrazione non è Galantino contro Salvini, non c'è niente di più triste che personalizzare un dramma come questo. Il ruolo dell'informazione è mettere davanti agli occhi le storie e quando non lo fa è solo un riempire il tempo". Poi conclude: "L'accoglienza va preparata ed è il ruolo più faticoso: Ogni storia è un bullone e ogni bullone al posto giusto può far camminare la nave dell'umanità".
  Purtroppo Galantino non si accorge di tante storie che rendono l'accoglienza un misfatto. Scampato alle complicazioni di ambienti e studi, egli gode di un'idillica semplicità. Nella sua benevolenza sconfinata, vede in ogni straniero diretto ai nostri confini un disgraziato, pertanto verso di lui è doveroso essere buoni Samaritani e basta così. Nel suo immenso buon volere egli non comprende che la soccorrevole carità individuale, dovuta al sofferente, si conserva con la carità restante: contro il male che egli possa recare a se stesso e agli altri, né considera che il soccorso dovuto dallo Stato a naufraghi o ai privi di cibo e di ricovero, non può essere disgiunto da provvedimenti che impediscano "il dramma", e dai successivi provvedimenti assunti nei confronti delle persone assistite.
  Il punto di partenza resta il bene o il male complessivi e preponderanti che vengono dall'immigrazione.
Essa risulta essere cattiva per questi motivi.
  1) Immette nella nazione ospite genti aventi tradizioni, lingua e costumi differenti, tanto più dannosi in quanto recano una religione incompatibile con il cattolicesimo, e che di certo ostano alla conversione, anzi costituiscono un elemento perturbatore mediante infedeltà o eresia trasmesse, mentre impediscono - o almeno rendono assai problematico - che i nuovi venuti si integrino nella società civile e ne diventino autentici componenti.
  2) Introduce manodopera che accresce la disoccupazione.
  3) Ad essa si deve il notevole aumento dei delitti e dei danni, non ultimi quelli delle illecite esportazioni di denaro.
  A queste ragioni preponderanti, si oppongono argomenti zoppi e insufficienti. I principali sono: i vantaggi derivanti da un miscuglio di etnie e di presunte civiltà (in definitiva, sarebbe come dire che mettere acqua nel vino migliora il vino); il lavoro svolto dagli immigrati che supplisce alle nostre deficienze nel soddisfare le richieste dei mestieri umili (se da noi ci sono disoccupati che rifiutano un lavoro, bisogna metterli nelle condizioni o nella necessità di accettarlo); l'apporto demografico (molti figli degli immigrati - Francia e Gran Bretagna lo insegnano - non si integrano, diventano pericolosi; il difetto della denatalità può e deve essere rimediato dallo Stato).
  Monsignor Galantino sdegna il confronto delle idee, ritiene inutile fatica fare il bilancio. Buon per lui? Preghiamo per l'anima sua.
  Stabilito il male dell'invasione di stranieri (ed invasione è quando una massa eterogenea pretende di stabilirsi all'estero, cioè a casa nostra, ed anche dove si sta meglio, come generalmente accade) occorre provvedere ad eliminarlo, eliminando nel contempo le disgrazie. Se le frontiere nazionali sono chiuse e difese, nessuno verrà. Gli aiuti agli sventurati possono essere forniti altrove, con spese e perdite di gran lunga inferiori a quelli dell'accoglienza.
  Tutto ciò è semplice, onesto, caritatevole. Ma per chi ha saltato il fosso e, sistemato sulla sponda conformista, non si scomoda a ragionare, non c'è evidenza che tenga.
  Rese zerbino della soglia la patria, la civiltà romano-cattolica, la carità composta di amore soprannaturale e di giustizia, spregiata la peste dell'errore religioso e filosofico, dopo aver sommerso questo tesoro con i sofismi teologico-umanitari postconciliari, vi si sbandiera sopra una misericordia falsa, sentimentale, immoralista, ricattatrice di coscienze deboli e viziate.
  La Repubblica dello stesso giorno, ci informa che Galantino, rivolgendosi al clero diocesano torinese, lo ha ammonito dicendo che l'appello del loro arcivescovo per l'accoglienza ai profughi è stato recepito "subito dal basso, generando una risposta di carità contagiosa". A suo avviso, la crisi generale del Paese è antropologica e culturale prima che economica. Bravo! Peccato che la sua ricetta sia il contrario di quella risanatrice. Per lui ci vuole un cambiamento di stile e consuetudini, una conversione pastorale, un rinnovamento (ancora un altro?), una testimonianza cristiana. Appunto quella mostrata "dal basso"!


Piero Nicola

Nessun commento:

Posta un commento