mercoledì 30 settembre 2015

La luce della santità nella vita di San Tommaso d'Aquino

 Il santo è irremovibilmente fermo nei princìpi poiché ha la Fede, mentre è misericordioso nella pratica poiché ha la Carità  infusa. Invece il liberale è molto largo nei princìpi e pronto al compromesso o all'accomodamento dottrinale poiché non ha lo spirito di Fede mentre è rigido e acido nella pratica poiché non ha  la vera Carità soprannaturale”.
 Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange o. p.


 Giravolte mentali e fughe nei dubbi suscitati dal Vaticano II hanno ispirato compromessi liberali con gli eretici e suggerito caramellosi baci sui testi delle religioni elucubrate nelle officine dell'errore e della bestialità.
 L'assenza di difese immunitarie e l'oblio dell'avvertimento lanciato a tempo debito dal cardinale Louis Pie - “non esiste peggior settario e intollerante di un liberale” - sono le vere cause della crisi liberale in atto nella teologia e nella prassi del Vaticano.
 L'alterazione della dottrina e il volo della catechesi in un cielo sentimentale, popolato da pensieri filanti come strisce di carta colorata, hanno ispirato le incaute e veneranti escursioni dei teologi e dei vescovi buonisti nelle biblioteche della modernità e dell'esotismo.
 Tali viaggi hanno alterato il pensiero cattolico, che ora è umiliato e tormentato da una generazione di teologi avventizi, impegnati a difendere con irosa superbia opinioni giornalistiche e squillanti banalità.
 Di qui l'obbligo di riflettere sulle virtù – sapienza e misericordia - che hanno nobilitato la vita e l'opera di San Tommaso d'Aquino. Lo rammenta don Curzio Nitoglia, autore di una pregevole Breve vita di San Tommaso d'Aquino, edita da Effedieffe in questi giorni.
 Il Dottore comune ha corretto “qualche autorità cristiana (specialmente qualche teoria non pienamente sistematizzata dai Padri ecclesiastici) e lo ha fatto interpretando reverenter le loro opinioni o dissentendo educatamente o facendo dire correttamente (specialmente a S., Agostino) ciò che non avevano detto in maniera corretta”.
 Sant'Alberto Magno aveva insegnato all'Angelico il metodo necessario alla soluzione delle dispute, che dovevano essere affrontate e risolte “senza sprecar parole, evitando le ripetizioni, le ampollosità retoriche, le esclamazioni eccessive e gli aggettivi esuberanti”.
 Di qui la tesi sull'umiltà cui è obbligato lo studioso cattolico: “lo studio è anche una penitenza e una disciplina di purificazione, perché preserva la mente dai pensieri inutili e nocivi e castiga il corpo con la fatica che comporta”.
 Ai revisori zuccherosi e agli storditi frenatori dell'opera tomasiana, don Nitoglia rammenta che l'Aquinate, fedele alla tradizione domenicana, fu anche un polemista seriamente impegnato a confutare musulmanesimo e giudaismo, errori ultimamente coperti del timoroso silenzio della gerarchia post-conciliare.
 Al proposito l'autore rammenta che Santo delle Crociate, Luigi di Francia amava molto San Tommaso e lo aveva come consigliere spirituale ed anche come guida per meglio governare”.
 Puntuale è la valutazione dell'opera di San Tommaso, il quale “non solo studiò e commentò Aristotele, ma lo perfezionò, lo sublimò e, in un certo senso, lo trasfigurò senza alterarlo e deformarlo. Si dice comunemente che Aristotele, studiato come è in sé è simile ad un magnifico quadro visto al lume di una torcia, mentre studiato alla luce di San Tommaso è visto alla luce del giorno pieno”.
 Il genio dell'Aquinate rettificò e integrò l'opera geniale di Aristotele dimostrando, con inconfutabili argomenti di ragione, che la Causa prima, da Aristotele contemplata nell'eternità increata, era il perfettissimo Creatore rivelato ai credenti.
 Di qui il giudizio che conclude felicemente il saggio di don Nitoglia: “l'unico vero antidoto al veleno (intellettuale, morale e spirituale) idealistico/moderno e nichilistico/postmoderno è l'Angelico nella sua vita da imitare e nella sua dottrina da conoscere e da spiegare agli altri”.
 Lo studio della filosofia tomista è il primo passo sulla via d'uscita dal fumoso delirio, che spinge i teologi modernizzanti (e al proposito non è possibile tacere il nome del defunto cardinale Carlo Maria Martini) a inseguire i filosofi dopo Cartesio nelle fosse scavate dalla miscredenza e dalle ritornanti superstizioni.

 Piero Vassallo

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