Il personalismo magisteriale costituisce, in ultima
analisi, un avvicinamento al Mondo, che è nient'altro che il regno della natura
caduta. Ma la missione della Chiesa non è di cedere alla natura caduta ma
piuttosto di resisterle, di combattere, castigarla e sanarla fin quanto
possibile per prepararla a ricevere la Grazia divina in questa vita e l'unione
definitiva e stabile nella prossima”.
Don Pietro Leone
L'infaticabile e sagace editore Marco
Solfanelli ha pubblicato in questi giorni, in Chieti, Il matrimonio sotto
attacco, un robusto saggio scritto dall'illustre studioso don Pietro Leone.
L'intento di Leone è svelare “le recenti fonti
magisteriali che troppi cattolici prendono come oro colato, mentre se ne
dovrebbero guardare con grande circospezione”, lo rammenta Alessandro
Gnocchi, che ha firmato una puntuale e acuta presentazione.
L'amorosa infiorata, stesa sull'asfalto
del conformismo da teologi graditi alla gerarchia nuovista, propone purtroppo
una dottrina avventizia, fondata sull'equivoco (entusiasticamente applaudito
dalla festante superficialità dei nuovi teologi e subito dai fedeli natanti
nelle oscure, imperiose acque in assidua uscita dai pulpiti del conformismo) e
profumata dall'abbaglio, che capovolge la gerarchia dei princìpi tradizionali,
costitutivi del matrimonio cattolico.
Leone infatti svela il tossico e quasi
invisibile errore che è diffuso dal soggettivismo soggiacente all'ingannevole
elucubrazione della teologia novista: il morbido inserimento di una dolce, scivolosa
teoria, che contempla la inaudita priorità del Bene sul Vero.
A proposito del nuovo e inavvertito errore, in
scena nel teatrino post conciliare, Leone disegna un quadro tanto puntuale
quanto angosciante: “La motivazione che spiega l'allontanamento dalla Fede
sembra essere la precedenza data ad un nuovo ideale, vale a dire la comunione
di amore degli uomini a prescindere dai loro credi”.
Sul festoso palcoscenico della teologia
acefala, in untuoso flusso dagli stati d'animo e degli equivoci post
conciliari, è in scena “la priorità dell'Amore sulla Verità, la priorità
dell'ordine del Bene sull'ordine del Vero”.
Misura del disordine in agitazione nella
teologia novista è la priorità, che si scontra “sia con la Ragione che con
la Fede, perché la Ragione che si debba conoscere un oggetto prima di amarlo –
e di amarlo in modo appropriato – e la Fede ci viene data come luce per i
nostri passi, in altre parole affinché possiamo amare coll'amore della Carità”.
Leone corregge o meglio confuta il
pensiero circolante negli ambulacri della nuova teologia, dove la priorità
delle Bene sul Vero viene affermata a scapito della Verità e a vantaggio degli
errori e delle eresia: “Si può vedere un esempio di questo nel documento
magisteriale Ut unum sint (1995) riguardante le Chiese
[impropriamente dette] sorelle”.
L'ardente luce dell'esagerazione ecumenica
spinge sulla scena della nuova teologia un matrimonio “non in accordo con la
legge morale oggettiva ma semplicemente in termine di amore. … Questa forma di
personalismo trova un'espressione particolarmente chiara nella dottrina
conosciuta come Teologia del corpo”.
La nuova, soggettivistica definizione del
matrimonio ha origine dall'avventurosa svolta antropocentrica della teologia,
suggerita e attuata da Giovanni Paolo II, il quale affermò, nell'enciclica Dives
in Misericordia, che “mentre le varie correnti del pensiero umano nel
presente e nel passato hanno avuto e continuano ad avere una propensione a
dividere e anche a mettere in contrasto il teocentrismo e l'antropocentrismo,
la Chiesa è impegnata a introdurre nella storia umana la loro organica e
profonda connessione”.
La fonte dell'intrepida teologia di Giovanni
Paolo II è la Costituzione pastorale Gaudium et spes, pubblicata da
Paolo VI nel 1967, per affermare che l'uomo è l'unica creatura che Dio vole per
se stessa: “ homo in terris sola creatura est quam Deus propter seipsam
voluerit”. Si tratta di un errore confutato da Romano Amerio, autore di Iota
Unum, un testo opportunamente citato da Leone perché in esso si rammenta il
testo sacro (Proverbi 16,4) in cui si legge una verità diversa e
irriducibile all'opinione di Paolo VI: “Universa propter semetipsum operatus
est Dominus”.
Leone sostiene pertanto che l'amore di
Carità “che noi dobbiamo all'uomo è un amore essenzialmente relato al nostro
amore per Dio, è un amore per amore di Dio, un amore per il quale amiamo
l'uomo in Dio, un amore motivato dal fatto che Dio ama l'uomo e lo ha redento”.
La lettura del saggio di don Leone, pertanto,
è suggerita ai cattolici che desiderano trovare una sicura via d'uscita dal
frastuono in rovinosa, fastidiosa, incontenibile discesa dai pulpiti della
teologia progressista.
Piero Vassallo
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