martedì 26 aprile 2016

Il matrimonio sotto l'attacco del personalismo

Il personalismo magisteriale costituisce, in ultima analisi, un avvicinamento al Mondo, che è nient'altro che il regno della natura caduta. Ma la missione della Chiesa non è di cedere alla natura caduta ma piuttosto di resisterle, di combattere, castigarla e sanarla fin quanto possibile per prepararla a ricevere la Grazia divina in questa vita e l'unione definitiva e stabile nella prossima”.
Don Pietro Leone


 L'infaticabile e sagace editore Marco Solfanelli ha pubblicato in questi giorni, in Chieti, Il matrimonio sotto attacco, un robusto saggio scritto dall'illustre studioso don Pietro Leone.
 L'intento di Leone è svelare “le recenti fonti magisteriali che troppi cattolici prendono come oro colato, mentre se ne dovrebbero guardare con grande circospezione”, lo rammenta Alessandro Gnocchi, che ha firmato una puntuale e acuta presentazione.
 L'amorosa infiorata, stesa sull'asfalto del conformismo da teologi graditi alla gerarchia nuovista, propone purtroppo una dottrina avventizia, fondata sull'equivoco (entusiasticamente applaudito dalla festante superficialità dei nuovi teologi e subito dai fedeli natanti nelle oscure, imperiose acque in assidua uscita dai pulpiti del conformismo) e profumata dall'abbaglio, che capovolge la gerarchia dei princìpi tradizionali, costitutivi del matrimonio cattolico.
 Leone infatti svela il tossico e quasi invisibile errore che è diffuso dal soggettivismo soggiacente all'ingannevole elucubrazione della teologia novista: il morbido inserimento di una dolce, scivolosa teoria, che contempla la inaudita priorità del Bene sul Vero.
 A proposito del nuovo e inavvertito errore, in scena nel teatrino post conciliare, Leone disegna un quadro tanto puntuale quanto angosciante: “La motivazione che spiega l'allontanamento dalla Fede sembra essere la precedenza data ad un nuovo ideale, vale a dire la comunione di amore degli uomini a prescindere dai loro credi”.
 Sul festoso palcoscenico della teologia acefala, in untuoso flusso dagli stati d'animo e degli equivoci post conciliari, è in scena “la priorità dell'Amore sulla Verità, la priorità dell'ordine del Bene sull'ordine del Vero”.
 Misura del disordine in agitazione nella teologia novista è la priorità, che si scontra “sia con la Ragione che con la Fede, perché la Ragione che si debba conoscere un oggetto prima di amarlo – e di amarlo in modo appropriato – e la Fede ci viene data come luce per i nostri passi, in altre parole affinché possiamo amare coll'amore della Carità”.
 Leone corregge o meglio confuta il pensiero circolante negli ambulacri della nuova teologia, dove la priorità delle Bene sul Vero viene affermata a scapito della Verità e a vantaggio degli errori e delle eresia: “Si può vedere un esempio di questo nel documento magisteriale Ut unum sint (1995) riguardante le Chiese [impropriamente dette] sorelle”.
 L'ardente luce dell'esagerazione ecumenica spinge sulla scena della nuova teologia un matrimonio “non in accordo con la legge morale oggettiva ma semplicemente in termine di amore. … Questa forma di personalismo trova un'espressione particolarmente chiara nella dottrina conosciuta come Teologia del corpo”.
 La nuova, soggettivistica definizione del matrimonio ha origine dall'avventurosa svolta antropocentrica della teologia, suggerita e attuata da Giovanni Paolo II, il quale affermò, nell'enciclica Dives in Misericordia, che “mentre le varie correnti del pensiero umano nel presente e nel passato hanno avuto e continuano ad avere una propensione a dividere e anche a mettere in contrasto il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa è impegnata a introdurre nella storia umana la loro organica e profonda connessione”.
 La fonte dell'intrepida teologia di Giovanni Paolo II è la Costituzione pastorale Gaudium et spes, pubblicata da Paolo VI nel 1967, per affermare che l'uomo è l'unica creatura che Dio vole per se stessa: “ homo in terris sola creatura est quam Deus propter seipsam voluerit”. Si tratta di un errore confutato da Romano Amerio, autore di Iota Unum, un testo opportunamente citato da Leone perché in esso si rammenta il testo sacro (Proverbi 16,4) in cui si legge una verità diversa e irriducibile all'opinione di Paolo VI: “Universa propter semetipsum operatus est Dominus”.
 Leone sostiene pertanto che l'amore di Carità “che noi dobbiamo all'uomo è un amore essenzialmente relato al nostro amore per Dio, è un amore per amore di Dio, un amore per il quale amiamo l'uomo in Dio, un amore motivato dal fatto che Dio ama l'uomo e lo ha redento”.

 La lettura del saggio di don Leone, pertanto, è suggerita ai cattolici che desiderano trovare una sicura via d'uscita dal frastuono in rovinosa, fastidiosa, incontenibile discesa dai pulpiti della teologia progressista.

Piero Vassallo

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