Recensione a un saggio di Primo Siena
di Giovanni Facchini
Durante la puntata de “Il tempo e la Storia” andata in onda il 26 maggio scorso su Rai3 e dedicata alla figura di Giovanni Gentile, il conduttore Roberto Fagiolo rivolse all’ospite di turno, la docente Alessandra Tarquini dell’università “La Sapienza” di Roma, una domanda a nostro parere molto interessante. Riferendosi all’adesione dell’ormai anziano filosofo alla neonata Repubblica Sociale Italiana nell’autunno del ’43, sancita dall’accettazione della presidenza della ricostituita Accademia d’Italia, con tutti i rischi che in quel momento la cosa avrebbe comportato, il conduttore così si espresse:
“Ma mi vien da dire scusi, proprio mentre sta parlando, ma chi glielo fa fare, voglio dire, se negli anni precedenti si era in qualche modo defilato, era ritornato a dedicarsi agli studi, chi glielo fa fare di andare in prima fila, di diventare presidente di questa accademia d’Italia, cioè perché fa questa mossa?”
La risposta della docente Alessandra Tarquini fu chiara e obiettiva:
Io direi questo: chi sceglie un progetto politico non lo abbandona quando questo progetto politico vacilla. Insomma Gentile sceglie di aderire al regime fascista nel 1922 perché nel regime fascista vede una possibilità, quella di portare a compimento il Risorgimento, e quindi di costruire davvero un’Italia nuova e moderna. Questa possibilità non viene meno quando Gentile entra in contrasto con diversi esponenti del fascismo, ad esempio nel 1937 c’è un durissimo scontro con Starace, all’epoca segretario del PNF. In politica queste cose possono accadere, non per questo si abbandona la partita, ma si continua a lottare. Io credo che Gentile continui a lottare per la causa fascista e da questo punto di vista la domanda mi sembra molto importante, cioè chi glielo fa fare: glielo fa fare il fatto che crede fermamente nel fascismo e in Benito Mussolini[1]
E, se ci riferiamo all’autore del saggio oggetto di questa recensione, “chi glielo faceva fare” all’allora sedicenne Primo Siena, e a tante migliaia di ragazzi come lui, di arruolarsi volontario fra i bersaglieri della RSI? “Chi glielo faceva fare”, tornato per miracolo dai gulag di Tito, di entrare fin da subito nell’MSI e gettarsi senza risparmio nella difficilissima lotta politica e culturale della Destra, di cui fu protagonista assoluto per oltre quaranta anni?
Questa urtante domanda, così consona allo spirito dell’italietta di oggi, così incommensurabilmente lontana da non poter nemmeno lontanamente immaginare e comprendere le scelte ideali e i sacrifici di Uomini come quelli di allora, accomuna quindi nella risposta della brava docente Alessandra Tarquini sia l’anziano filosofo che il giovane volontario di allora.
Forse anche per questo Primo Siena, oggi ormai quasi novantenne, ha voluto dedicare un saggio a Giovanni Gentile, in questo settantesimo anniversario del suo martirio, tutto incentrato sulla sua “filosofia del combattimento”. Vale la pena riportare quasi per intero la prima pagina dell’introduzione:
“Tutta l’opera filosofica di Giovanni Gentile – talvolta in termini espliciti, talaltra implicitamente – svolge una vigorosa critica della democrazia moderna, quantitatistica, atomistica, egualitaria, meccanicistica e sostanzialmente irreligiosa e batte in breccia i suoi miti, a partire da quell’ipocrita pacifismo che contravviene alla vera pace, la cui sede è innanzi tutto nel cuore dell’uomo, ma come superamento di quella guerra interiore che l’uomo ogni giorno combatte per sé.
Non per caso Giovanni Gentile diede al suo pensiero la definizione di una “filosofia della mischia”, ma assumendo il significato della parola a quella nobile misura di combattimento aperto e leale che sottrae la mischia alla suggestione di trasformarla in agitazione plebea.
La filosofia come combattimento fu per Gentile norma di vita nel senso classico e romano del termine: vita ove consapevolezza e fedeltà, virilità, coraggio e forza d’animo risplendevano del valore delle antiche virtù dei Quiriti, sapientia, fides, fortitudo, constantia; virtù nelle quali la democrazia illuministica moderna sembra aver smarrito quasi del tutto il significato”[2].
Il saggio di Primo Siena, purtroppo poco pubblicizzato e ingiustamente trascurato in questo 2014 (Giovanni Gentile. Un italiano nelle intemperie, nelle librerie per l’editore Solfanelli, per ordini: edizionisolfanelli@yahoo.it 335/6499393; euro 14,00, pagine 191), è un’opera allo stesso tempo snella e completa, un testo accessibile a tutti come nella migliore tradizione dell’autore, da sempre attivo come pedagogista ed educatore nel mondo della scuola.
Il saggio si articola in tre parti distinte ma perfettamente complementari: la prima sezione, scritta direttamente da Siena, tratteggia una biografia del filosofo di Castelvetrano e ne analizza il pensiero filosofico e pedagogico, per poi affrontare lo spinoso tema della “fortuna” di Gentile e della sua opera nel dopoguerra; la seconda sezione è una bella antologia di testi e articoli dello stesso Giovanni Gentile, nel segno di una filosofia del combattimento fatta di responsabilità e impegno civico; la terza parte raccoglie tre interessanti saggi di altrettanti autori sulla filosofia e il pensiero di Gentile, ormai di difficile reperimento e quasi introvabili: il primo di Leonardo Castellani, gesuita argentino, che si intitola Giovanni Gentile filosofo del fascismo; il secondo di uno studioso di origini romene, ma spagnolo d’adozione, allievo del filosofo alla “Sapienza” di Roma, George Uscatescu, che offre una interessante comparazione fra il tema dell’umanesimo del lavoro in Gentile e la figura dell’Operaio (Der Arbeiter) nel famoso saggio di Ernst Jünger; il terzo è il testo della relazione che Armando Carlini tenne in un memorabile convegno del 1955 a Firenze, intitolata Il pensiero politico di Giovanni Gentile.
Nella prima parte vengono affrontati i principali temi dell’opera e del pensiero di Gentile, che come sappiamo non fu mai un astratto intellettuale da salotto, ma che sentì sempre il dovere dell’impegno e della partecipazione civile, e ne sono testimonianza perenne la sua celebre riforma della scuola e la realizzazione dell’enciclopedia italiana, che possiamo prendere brevemente ad esempio. I francesi erano i fondatori dell’Enciclopédie, conDiderot e d’Alembert, gli inglesi con il loro vastissimo impero e il dominio dei mari nell’800 avevano costituito la celebre Enciclopedia Britannica; nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato che in breve tempo la pur vetusta e prestigiosa, ma da sempre disorganizzata e rissosa, cultura accademica italiana avrebbe espresso un’opera così organica e lineare. Eppure Giovanni Gentile, coordinando una squadra (oggi diremmo unteam) di lavoro di oltre tremila studiosi di ogni estrazione politica e culturale, in pochi anni riuscì nell’impresa (1929) e ancora oggi i grossi volumi dell’Enciclopedia Italiana campeggiano in ogni biblioteca pubblica che si rispetti.
La riforma della scuola del 1923: pare che dietro tanti successi del nostro comparto industriale negli anni del boom economico ci sia stata anche la rigorosa e completa preparazione che dava il nostro liceo e fino a pochi anni fa all’estero ci si stupiva che i nostri manager, tecnici, medici e ingegneri avessero studiato il latino e il greco alla scuola pubblica superiore e ne conoscessero i rudimenti. Persino su EreticaMente qualcuno è rimasto sorpreso dal fatto che un ingegnere nucleare come Felice Vinci abbia potuto interessarsi al mondo classico e scrivere un saggio così originale come Omero nel Baltico, ma la “colpa” anche qui è da ascriversi al liceo istituito da Giovanni Gentile.
Primo Siena affronta poi gli aspetti principali del pensiero filosofico e politico di Gentile, ma senza addentrarsi nei meandri della speculazione filosofica più spinta, che rendono spesso i testi sull’attualismo gentiliano di difficile comprensione.
Si fa particolare riferimento all’ultima opera di Gentile, terminata proprio nell’estate del 1943, Genesi e struttura della società e al significato che concetti come “stato etico” e “umanesimo del lavoro” in essa prendono forma nel rapporto con la libertà e il singolo individuo.
L’accusa di “totalitarismo statolatrico” mossa così spesso a Gentile trova qui doverose e argomentate confutazioni: attraverso la sintesi fascista corporativa Gentile mirava alla realizzazione di uno stato organico gerarchicamente ordinato, e in questo senso possono essere utili le considerazioni di Luca Leonello Rimbotti espresse in un recente interessante articolo:
“Il tutto che lo stato racchiude è infatti la nazione, è il popolo. Lo stato non è l’impalcatura burocratica, e neppure il potere istituzionale, il mostro freddo di cui parlava Nietzsche. Lo stato di Gentile è piuttosto la struttura di protezione che raccoglie e stringe in unità molteplice [diremmo noi, in un fascio di forze], ed anche, su un piano pratico, la macchina che organizza la vita associata. Ed essa, soprattutto, veicola la sacralità, la religiosità dello stare insieme come nazione, ciò che accomuna nel comune destino. La forza dello Stato infine, che è l’altra e più vera faccia dello stato forte, consiste non già nell’autorità assoluta del potere nei confronti dei cittadini, bensì nell’accettazione volontaria dell’autorità riconosciuta, che costoro liberamente sottoscrivono. Lo Stato etico è lo stato del consenso, dell’identificazione volontaria e consenziente di tutti nel tutto comunitario. La realtà che, come dice Gentile, è ininteriore homine, vuol dire che rappresenta l’unificazione del pensiero e dell’azione degli uomini entro uno sforzo comune, ciò che costituisce la sostanza di ogni società sana”[3].
Centrale, nel saggio di Primo Siena, è il capitolo dedicato alla “fortuna” di Giovanni Gentile nel dopoguerra, spesso dimenticato dalla cultura ufficiale o, peggio ancora, come pure accaduto recentemente nel tentativo del filosofo Emanuele Severino[4], “recuperato” in tutto o in parte come maestro nascosto di Gramsci e del marxismo e quindi “antifascista” inconsapevole.
Destino comune ad altri grandi della cultura e dell’intellettualità del ‘900, basti pensare al poeta americano Ezra Pound, al romanziere norvegese (premio Nobel per la letteratura nel 1920) Knut Hamsun, agli scrittori francesi Robert Brasillach, Pierre Drieu La Rochelle, Louis Ferdinad Celine, al romanziere rumeno Vintila Horia e a tanti altri, colpevoli di essere “fascisti” e quindi da censurare o peggio rinchiudere – non solo metaforicamente! – in manicomio; oppure, se e quando fa comodo sempre alla cosiddetta cultura ufficiale, “riabilitati” in tutto o in parte spacciando la loro adesione ai fascismi come “particolare”, “atipica”, “dovuta alle circostanze” e altri pietosi eufemismi del vocabolario politicamente corretto.
In effetti, se fossero vere le tesi di Severino e compagnia, un ricovero in struttura psichiatrica protetta non lo avrebbe evitato nemmeno Gentile, visto che sarebbe stato un bell’esempio di schizofrenia l’aver redatto insieme a Mussolini nientemeno che la voce ufficiale “Fascismo” dell’Enciclopedia Italiana e l’essere stato al contempo il maestro nascosto dell’antifascismo marxista e/o liberale (a seconda delle interpretazioni di comodo…)
La verità è che Gentile fu certamente un grandissimo studioso e interprete di Hegel e di Marx, ma la sua analisi lo porta a superare entrambi attraverso l’originale sintesi fascista corporativa e il ricollegamento alla più genuina tradizione del pensiero italico, attraverso, ad esempio, l’interpretazione del concetto marxista di prassi in termini “spiritualisti” ripresa da Giuseppe Mazzini (pag. 54).
Naturalmente la cultura ufficiale ancora oggi non può accettare il fatto che uno dei più originali e importanti filosofi e pensatori del ‘900 non solo italiano, ma anche europeo e mondiale, sia stato convintamente e coerentemente “fascista” fino alla fine, per cui tanto nei manuali scolastici come nelle opere specialistiche assistiamo a imbarazzati silenzi o ad interpretazioni quanto mai arbitrarie e “addomesticate”.
Per fortuna fin dai primi anni del dopoguerra un piccolo nucleo di giovani intellettuali della “destra”, operanti in associazioni culturali e riviste più o meno legate al Movimento Sociale Italiano, portò avanti la memoria di Gentile e la sua dottrina sempre attuale, e qui la testimonianza di Primo Siena, nel rievocare episodi ormai dimenticati e pubblicazioni ormai introvabili, è assolutamente preziosa.
Su tutti occorre ricordare l’opera di Vittorio Vettori, che già nel 1951 diede alle stampe il periodico “Studi gentiliani, rivista di politica e di cultura” e, attraverso il “Centro Nazionale Gentiliano” promosse e organizzò un convegno rimasto celebre, il 15-17 aprile del 1955 proprio nel chiostro della Basilica di Santa Croce a Firenze in cui era stato sepolto 11 anni prima il filosofo assassinato dai partigiani.
Parteciparono tutti i protagonisti della destra di allora e personalità eminenti della cultura e dell’intellettualità che elenchiamo per rievocare il volto di un’epoca, gli anni ’50, in cui la Destra e la cultura “nazionale” non erano ancora del tutto ai margini o peggio “nelle fogne”, senza per questo dover rinnegare la propria identità: Gaetano Rasi e Primo Siena della rivista Carattere, Ernesto Massi di Nazione Sociale, Edmondo Cione, Armando Carlini, Gioacchino Volpe, Nino Tripodi, Augusto De Marsanich, Marino Gentile, Ugo Spirito, Giotto Dainelli, Giuseppe Tucci; a impressionare di più fu però la relazione di un outsider, il giovane Gianni M. Pozzo, con un intervento su “La vita come milizia nello storicismo e nella pedagogia di Gentile”.
Non sempre in realtà la destra missina è stata attenta alla “battaglia delle idee” e spesso ha trascurato l’opera sempre attuale di Gentile come “difficile” e “scomoda”, mentre fra i militanti più impegnati e i gruppi più radicali si preferiva spesso la lettura di autori come Julius Evola magari capaci di suscitare più fascino e attrazione nel particolare clima di quegli anni.
Oltre ogni nostalgismo ed ogni, sia pur doverosa, ricostruzione storica, la potenza del magistero gentiliano costituirà un patrimonio sempre attuale per la cultura italica, a cui attingere specialmente in questi momenti di estrema difficoltà e disorientamento, per cui il saggio di Primo Siena, insieme ad altri recenti contributi[5], arriva sicuramente al momento giusto.
Di Giovanni Gentile oggi abbiamo bisogno anche e soprattutto perché fu uno studioso che seppe sempre far seguire alle parole ai fatti (pensiero e azione), coerente e responsabile fino all’ultimo, per questo vale la pena riportare qualche stralcio di alcuni suoi articoli che giustamente Primo Siena ha inserito nella sua antologia, perché costituiscono un esempio di rettitudine morale e spirito di sacrificio che al giorno d’oggi, in cui ogni valore è rovesciato, appaiono quasi “scandalosi”.
Dal famoso “Discorso agli Italiani”, pronunciato in Campidoglio il 24 giugno del 1943, un appello a serrare i ranghi oltre gli egoismi, i pettegolezzi, i disfattismi di ogni sorta per il bene non tanto e non solo del fascismo, ma della Patria:
Ogni popolo ha innanzi una vittoria che è il suo dovere e una vittoria che è il suo diritto. Il quale non suole mancare a chi compie il proprio dovere. E quando fallisce, quando tutto fosse perduto tranne l’onore, o prima o poi, la storia ce l’insegna, la giustizia si compirebbe perché un popolo che serbi intatta la coscienza della propria dignità, che non smarrisce la nozione di quel che esso è, e dev’essere, potrà vedersi a un tratto oscurare il firmamento sopra di sé; ma a breve andare le stelle torneranno a brillare nel cielo; ed egli nella sua coscienza tranquilla saprà ritrovare la sua via. E i nemici continueranno a inchinarsi alla nazione che anche attraverso la sventura abbia dimostrato la sua natura immortale[6].
Segue l’articolo “Ricostruire”, apparso sul Corriere della Sera il 28 dicembre 1943, dopo l’adesione alla RSI, con il quale Giovanni Gentile lancia un ultimo disperato appello agli italiani affinché non si lascino travolgere dalla guerra civile
I fascisti hanno preso, come ne avevano il dovere , l’iniziativa della riscossa, e perciò essi per primi devono dare l’esempio di saper gettare nel fuoco ogni spirito di vendetta e di fazione, e mettere al di sopra dello stesso partito costantemente la Patria […] Colpire dunque il meno possibile; andare incontro alle masse per conquistarne la fiducia e richiamarle alla coscienza del comune dovere[7].
E infine un brano da quello che sarà l’ultimo scritto di Gentile, “Il sofisma dei prudenti”, su “Civiltà Fascista” (aprile 1944), in cui l’autore si scaglia contro l’attendismo, l’apatia e la rassegnazione in cui la maggior parte degli italiani erano purtroppo precipitati.
Eppure, nei momenti in cui più urgente è il pericolo e più acuto lo stimolo che spinge l’uomo all’azione, c’è in cotesta prudenza qualche cosa che urta il sentimento morale, come universalmente questo opera nella coscienza e chiede a ciascuno imperiosamente l’adempimento di un dovere indeclinabile. […] La società è quella che noi facciamo: attori sempre e mai spettatori. Anche col proposito di isolarci e chiuderci nella vita privata, secondo l’eterna tendenza epicurea dello spirito umano, che ha creato storicamente tante forme religiose di disgregazione della vita sociale, per naturale desiderio di sottrarsi ai dolori della lotta immanente al dinamismo della società, questa rimane sempre qualche cosa di interno all’individuo ed è quale egli la fa…[…] Realisti sì, ma di un realismo integrale, che metta anche noi nel conto; noi, pronti a fare, nel nostro piccolo, il nostro dovere, al nostro posto, in una collaborazione disciplinata, con l’animo aperto alla fiducia in un esito che salvi l’onore di cui i popoli, non meno degli individui, han bisogno per vivere e al quale i prudenti han tutta l’aria di saper rinunziare[8].
Tutti questi generosi inviti a rimanere al proprio posto, a fare il proprio dovere, a non lasciarsi trasportare dal clima di odio e di violenza che ormai imperversava per tutto il centro-nord, con già decine e decine di morti ammazzati per mano dei “gappisti”, non potevano che costare caro a Giovanni Gentile, tanto più in quanto questi appelli, vista anche l’autorevolezza e l’esempio diretto che offriva il personaggio, qualche risultato evidentemente lo stavano producendo fra gli antifascisti non comunisti come fra la gente comune.
Fu così che si arrivò al vigliacco attentato del 15 aprile 1944: come molti, ingenui esponenti della RSI, Gentile non aveva alcuna scorta, forse per un malinteso senso dell’onore, di “sprezzo del pericolo”, ma anche per non voler gravare sulle casse dello Stato e distogliere uomini preziosi dal fronte o da compiti ritenuti più importanti, così fu facile per il partigiano Bruno Fanciullacci, travestito da bravo studentello di filosofia con tanto di libri a tracolla, avvicinare l’anziano, ormai settantenne Gentile, del resto sempre cordiale e disponibile con tutti, e ammazzarlo a colpi di rivoltella.
Oggi, a settanta anni di distanza, l’Italia non è mai stata forse così lontana da quella che aveva sognato Giovanni Gentile e per cui aveva dato tutto, anche la vita, ma è lo stesso Primo Siena, bersagliere RSI mai pentito, a ricordarci col suo saggio che le idee non muoiono mai e mai bisogna arrendersi e rassegnarsi. Parole retoriche forse, ma di cui abbiamo estremamente bisogno in questi tempi estremamente difficili.
NOTE
[1] La puntata intitolata “I nemici di Giovanni Gentile” è interamente e liberamente visionabile sul sito youtube al seguente link http://www.youtube.com/watch?v=hjAC4AIOk8E il dialogo in oggetto si svolge all’incirca al minuto 26
[2] P. Siena Giovanni Gentile. Un italiano nelle intemperie, ed. Solfanelli, Chieti, 2014, p. 5
[3] Luca Leonello Rimbotti, Giovanni Gentile: dal marxismo all’umanesimo del lavoro, in ITALICUM, Periodico di cultura, attualità e informazione, anno XXIX – settembre-ottobre 2014 pp. 27-29
[4] Sull’interpretazione di E. Severino è sempre interessante il dialogo nella stessa citata trasmissione “Il tempo e la Storia” fra il conduttore e la ricercatrice Alessandra Tarquinihttp://www.youtube.com/watch?v=hjAC4AIOk8E qui siamo circa al minuto 35
D. Ci basta questo giudizio di Severino? Solo chi pensa con grandezza può errare grandemente…
R. Forse no e personalmente sento nelle parole di Severino una difficoltà di ammettere che si possa essere grandissimi filosofi e anche grandi fascisti e quindi è un po’ un giro di parole, un ragionamento un po’ complicato riuscire a tenere insieme queste due cose… La cultura italiana ha fatto molta fatica ad ammettere che un grande filosofo, come è stato certamente Giovanni Gentile, è anche stato un importantissimo esponente del regime fascista
[5] Si veda ad es. Antonio Fede, Giovanni Gentile fra attualità e attualismo, Idee Nuove ed., Roma, 2007; e il saggio appena uscito di Valerio Benedetti, Riprendersi Giovanni GentileEdizioni AGA – La Testa di ferro, Roma 2014.
[6] P. Siena, Giovanni Gentile, op. cit. p. 109
[7] P. Siena, Giovanni Gentile, op. cit. pp. 130-131
[8] P. Siena, Giovanni Gentile, op. cit. pp. 135-138.
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