Questa ampia vallata si eleva facendo capo al
Lago di Resia, quello, per intendersi, col campanile romanico che sorge
dall’acqua poco distante dalla riva, e sovrasta il villaggio andato sommerso
quando si costruì il bacino imbrifero, ultimato nel 1949 dopo la ripresa dei
lavori interrotti durante la guerra.
Merita discorrere di questi luoghi di molta
bellezza naturale - circondati da una chiostra di montagne imponenti,
culminanti, a Sud, nei ghiacciai del Cevedale e dell’Ortles - non tanto perché
tale bellezza sia impareggiabile, quanto perché vi si respira in un’atmosfera
alquanto genuina. Sinora qui l’attività turistica non ha preso il sopravvento
sulle altre occupazioni (l’allevamento e alcune colture tradizionali) e le
nuove costruzioni non sono ancora troppo invadenti nei nuclei abitati e nella
campagna circostante. I mezzi meccanici della fienagione appaiono bensì
tollerabili. Del resto, molti trattori e autocarri per la raccolta del fieno
hanno l’aria di farsi perdonare con la loro rispettabile vetustà.
La considerazione sa di ecologismo, di
venerazione per la Natura: per preservarla si dovrebbero fissare limiti allo
sviluppo, avanzando riserve nei riguardi del progresso. Viceversa bisognerebbe
pretendere un progresso sicuro di sé e oculato.
La superficialità ecologica giunge risibile.
Non è in questione se occorra che la tecnica rispetti l’ambiente, ma se debba
risultare bella o brutta nelle sue espressioni. Il bello e il brutto essendo,
al di là del lato estetico, un segno dei tempi, un stile o un’assenza di stile.
Come prima accennavo, in questa plaga austera
e solare dell’Alto Adige, percorsa da un Adige ancora sottile, animato d’acque
fresche e trasparenti, le ingiurie degli attuali costumi non sono trasmodanti,
ma risaltano e suggeriscono meditazioni.
Lo sviluppo civile fu continuo dovunque, in
varie maniere. Le sue forme, rispecchianti contenuti, furono in genere
esteticamente apprezzabili, prima della modernità inespressiva o avventurosa e
pretenziosa senza carattere, senza un’anima che abbia alcunché da dire. Minor
guasto fu fatto dal liberty e dall’eclettismo nel secondo decennio del secolo
scorso.
I paesi che considero, al pari di quelli
d’altre latitudini, quasi spontaneamente vennero edificandosi e trasformandosi
in epoche successive, restando sino all’altro
ieri mirabili e armoniosi.
Una chiesetta del Duecento col suo corpo che
si direbbe sgraziato, dai muri massicci, gibbosi e con un acconcio campanile,
bucato da una monofora sormontata da una bifora, è tutta poesia. L’interno
conserva affreschi dal tono ieratico, qua e là mancanti. Il soffitto ligneo, di
pannelli rustici, reca incise iscrizioni in gotico antico. Un Cristo
benedicente guarda, dalla volta d’un’abside minima, un minimo altare di pietra,
in un incanto di sacralità. Voglio immaginare il tutto nuovo, faccio sparire i
vari deterioramenti e la suggestiva patina del tempo: la sostanza permane.
Per non dire di altre chiese, alcune
risalenti all’epoca carolingia, d’un santuario, di mura, torri e castelli. Ma
che brutta figura fa quella scuola nuova, dalla struttura essenziale, delicata
e insulsa! E quella recente abitazione posta accanto all’edificio severo, la
cui scarna facciata ha due ordini di finestre dagli sguanci esterni che
mostrano un grande spessore, e la cui sommità, tagliata a trapezio isoscele,
contiene altre tre finestrotte, mentre al pian terreno un semplice portale
contornato di marmo grigio chiaro, proveniente dalle vicine cave di Lasa,
rivela l’origine gentilizia del palazzo! Né sono prive della comune dignità le
case rurali nell’abitato, fornite di rampa per l’accesso al fienile, di una
grande bocca che immette alla stalla. Né la casa ottocentesca aggraziata,
arricchita dai bovindo, rompe col costume secolare.
All’osservatore che non sta aggrappato alla
modernità come bimbo alla gonna materna, vien fatto di chiedersi che sia mai
accaduto, date le irreparabili discontinuità che saltano all’occhio nella
vecchia fisionomia del villaggio. Egli si domanda se quelle superfici artificiose
e cagionevoli, quelle vetrate eccessive, quelle linee architettoniche
stravaganti o banali siano cosa provvisoria, tipo usa-e-getta: una cosa che, ad
ogni modo, invecchia male e diverrà meramente decrepita, destinata a
scomparire; contrariamente alle costruzioni cui giova l’invecchiamento,
testimoniando esse uno spirito pregevole, non caduco, un momento di civiltà.
Per conseguenza, il riflessivo padre di famiglia, o chi pensa all’evolversi
della nostra umanità, stenta a concepire come, perdurando questo andamento,
essa possa affermarsi ancora con opere durature, e paventa che, in avvenire,
continui a manifestarsi priva di bellezza o addirittura non lasci traccia di
sé.
Si è avuto cura di erigere i muri di sostegno
lungo le strade con rivestimenti di pietra secondo la vecchia foggia
irregolare. Di contro, però, il guardrail
o i paletti di plastica, che mi rinviano ai muretti, ai dimenticati paracarri
di granito, e il cemento affiorante dappertutto, per cui vado cercando i
mattoni e i blocchi squadrati o bugnati di cui son composti i monumentali ponti
d’una volta, e le sedi stradali che tagliano il paesaggio quasi copiando
l’insensibile, astorica ferrovia, sono altrettanti particolari offensivi del
buon gusto, al quale si sacrifica ben poco delle comuni risorse. Così le zone periferiche
destinate ai supermercati, alle imprese artigiane dei pur piccoli centri della
valle, ricordano brani d’un qualsiasi analogo poligono commerciale o industriale,
piovuti quassù inopinatamente, come uno sfregio.
Chiacchierando con il farmacista del
capoluogo, apprendo che i Poteri regionali hanno favorito il dislocamento degli
allevatori e contadini: la loro dimora, le stalle, i magazzeni, trasferiti
dalle vie e vicoli paesani a siti fuori porta. L’effetto sgradevole non cambia.
I vuoti come saranno riempiti? E, soprattutto, quale compensazione esterna
potrà darsi? Il dottore è d’accordo, e parla di una selezionata qualità di meli
resistente a questa altitudine come di un ritrovato capace di scalzare, con
impianti d’arida tecnologia, l’attività dura e poco rimunerativa
dell’allevamento zootecnico.
Sicché, da capo, ritrovo il grave quesito: È possibile che il nostro tempo non sia in grado di pervenire alla soluzione
delle sue esigenze in modo armonico e soddisfacente?
Lamentare che le fattorie costruite sui prati
e sui coltivi divorino a poco a poco le verdi distese e i biondi appezzamenti
della segale e dell’avena, non significa cogliere nel segno. Il rammarico sta
altrove, nella foggia ingrata dei manufatti, nella mancanza di armonia col
Creato. D’altronde, lasciando stare la crisi attuale, da un pezzo l’avarizia
indotta dalla brama dei godimenti instaurati distoglie da certe riflessioni sul
decoro, al quale la stessa trascorsa povertà sacrificò parte delle sue
sostanze, e si perde anche l’induzione per cui la povertà artistica presente
mostra una corrispondente miseria spirituale, per cui la forma svela il
contenuto donde proviene.
Piero Nicola
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