domenica 2 novembre 2014

LA DIVERSITÀ: UN BILANCIO AMARO (di Piero Nicola)

  Quasi non passa giorno senza che qualcuno ci disturbi – parlo dei sensibili come me – ricordando, mediante un caso di cronaca o con un qualsiasi pretesto, il beneficio della diversità. Per lo più, si ostenta noncuranza o sufficienza, annettendo ad un principio scontato la giustezza dell’aggregata varietà. L’intento è di distogliere da cattivi pensieri e stantie prevenzioni i retrivi poco disposti a digerire gli inconvenienti e le malefatte provocate dai diversi. Diversi per cultura, costumi, religione e ideologie.
   Guai a chi si azzardi a eccepire ragionando! È un reprobo colui che osa dimostrare i mali derivanti dagli assortimenti di uomini eterogenei in una società, magari tirando fuori le statistiche, le poche disponibili, giacché in questo campo ogni indagine sistematica è ritenuta inutile e razzista.
  Se osservo che i responsabili di tanti delitti, che vanno dalle violenze private agli incidenti stradali, appartengono a certe etnie in numero almeno doppio rispetto agli stessi rei della nostra gente, vengo zittito a prescindere.
  Sarà vero che accogliamo molti cattivi soggetti indesiderabili nei loro paesi (fatto rigettato con stolto disprezzo dalla corrente mentalità), ciò non toglie che lo straniero sia di regola un disadattato e più facile preda dell’illegalità.
  Tutt’al più, ci si degna di seguirmi minimizzando e ripetendo che, comunque, il vantaggio della società multietnica è incomparabile e intangibile, come lo è quello della vigente democrazia nei confronti di un altro regime politico, o quello del dialogo fra cattolici ortodossi ed erranti di altre confessioni: un dialogo fra sordi!
  Certo, discutere con i sordi che detengono la sapienza dei costituiti diritti umani vuol dire battersi lancia in resta contro un carro armato. I sordi e ciechi sono ben sistemati sull’assioma della sovrana volontà popolare e godono del consenso della maggioranza, non importa come conseguito. Dal diritto umano dell’uguaglianza religiosa e della larga non-discriminazione passano agevolmente al valore della diversità.
  Che importa se la base su cui fondano le loro sentenze è fittizia e marcia? Che importa ai vestiti della bandiera arcobaleno la contraddizione con cui devono ammettere l’esistenza degli stati nazionali e dei sentimenti nazionali; per esempio, con le squadre di calcio che giocano per i patri colori e con le formazioni di svariato colore alle olimpiadi, o con gli interessi economici rivendicati da stati verso stati confinanti?
   La realtà delle patrie sussiste nonostante tutto, dura persino la contrapposizione campanilistica, a torto o a ragione.
  Tuttavia non è peregrino chiarire l’effetto complessivamente negativo di una coesistenza contro natura, contraria alla salute spirituale.
  Risulta impossibile disconoscere le armonie nel creato e il bene delle affinità. È palese che le differenze profonde esistenti tra uomini di origine, natura, cultura e fede disparate, immesse nell’armonia di un popolo, la rompano, e guastino l’affinità che lega i suoi individui, solidali per storia, eredità, tradizioni. Ciò sta alla luce del sole, anche essendosene smarrita l’evidenza a causa di presunti guadagni, di nuovi pregiudizi più o meno ideali, di un vile conformismo; soprattutto a motivo della codardia del quieto vivere. Si sopporta il danno, che essendo morale e spirituale, in questo tempo decadente sembra trascurabile, e invece è di sostanza ed è all’origine della presente crisi economica.
  I vantaggi della diversità?
  Qualche vantaggio che possa darsi non ripaga affatto del grave scompenso. Si va liquefacendo anche la giustificazione data all’immigrazione per la rinuncia degli italiani a svolgere i lavori più ingrati: stante la grande quantità di disoccupati. Ma, a ben vedere, niente giustificherebbe la cattiva assimilazione degli immigrati nel corpo della Patria.
  Quelli che cantano la bellezza del cosmopolitismo, delle sue sinergie, dell’utile apporto e scambio di forze e valori di varia provenienza; quanti gettano in faccia l’esempio glorioso di un’America formata tuttora da tale convergenza in un crogiolo fervido, che genera prosperità e potenza; quanti rinfacciano la formazione stessa dell’Italia dovuta alle invasioni barbariche ed estranee, possono tutti essere messi a tacere.
  La babilonia cosmopolita distrugge l’identità dei popoli, che non si conservano indenni nel miscuglio. Soltanto gli ebrei si conservarono restando opportunamente distinti ovunque si trovassero, almeno sposandosi fra loro e difendendo i loro sociali interessi. Un popolo misto per tradizioni e per valori diviene una massa sradicata e perduta, ridotta a un minimo comune denominatore troppo basso.
  Lo spirito nazionale americano, formatosi senza sfigurare alcuna identità preesistente, se produsse benessere e potenza, lo fece drizzandosi su falsi ideali (con cui ha appestato il mondo) e a scapito del giusto bene comune. La diffusa decadenza degli Stati Uniti si è infine prodotta immancabilmente. Una comunità non si regge sulla menzogna e sull’illusione.
  L’Italia divenne un campo di conquiste, ma i conquistatori qui stabilitisi furono conquistati dalla civiltà romano-cristiana, sicché l’Italia sopravvisse e ancora sopravvive sebbene sotterraneamente. La forza della latente nostra civiltà può resistere alla menzogna e all’invasione dei non assimilati. Una scintilla basterebbe a ridestarci dal letargo e a togliere il seggio di sotto ai falsi profeti in cattedra. C’è un limite alla crisi oltre il quale non si va, oltre il quale deve aprirsi lo spiraglio alla luce. Se ne vedono già i sintomi, quantunque dovuti all’urto materiale di situazioni dannose. A Torino, anche gli aderenti al Partito Democratico si risolvono a considerare la necessità di difendersi da stranieri incorreggibili e incompatibili. Ma come escludere che intervenga un caos di lunga durata, in mancanza di un chiaro e forte e benefico catalizzatore?
    Ci sarebbe un’altra forma di diversità apprezzata, sull’onda dei diritti abusivi, contro il volere del Creatore: la diversità di chi ha comportamenti sessuali che non sono i propri dell’uomo o della donna. Ma di questa empia anomalia della parificazione dei normali e degli anomali si è scritto abbastanza nei nostri ambienti.


Piero Nicola

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