Pusher, escort… perché questa esterofila sostituzione di termini italiani
d’uguale significato: spacciatore, prostituta?
Che si tratti di un mero ricorso alla novità
o a vocaboli nuovi perché quelli vecchi sembrano consunti e, scarseggiando gli
equivalenti, per rinfrescare o rendere più varia e gradita la prosa, per
stimolare e meglio intrattenere il pubblico, qualsiasi spiegazione non riscatta
un atto ingiustificato e disprezzabile. Si avvilisce, chi usa i sinonimi
inglesi o americani; si avvilisce, almeno nella leggerezza, chi li accoglie; ed
è malsano il connesso intento di alleggerire del loro peso le cose più serie,
quasi che davvero occorresse sdrammatizzarne la portata.
Esprime bassezza il dare adito
all’attenuamento delle debite definizioni, del significato proprio, di giusto
biasimo verso le persone designate, come a proposito di pusher e escort.
Colei che vende il più intimo della propria
carne non è certo degna di mascheramenti e coperture, eccezion fatta per i casi
in cui il riguardo o lo stile richiedono l’eufemismo. E quanti sinonimi garbati
la nostra lingua ci mette a disposizione!
Colui il quale si presta al commercio
mortifero della droga e svolge l’infame lavoro del fornitore di sostanze
tossiche, deve essere designato con la parola tonda e da tutti ben
comprensibile nella sua gravità.
Alla stessa stregua, è riprovevole
l’esterofilia che chiama etnico ciò
che è straniero e considera ricchezza
l’impoverimento causato dall’importazione di culture estranee e da un commercio
sprovveduto con esse, così contribuendo all’alienazione del nostro patrimonio
più importante, quello tradizionale.
Che dire del job acts, della spending
review? Sono abdicazioni dal trono della nostra lingua, sono un rinnegamento
del Bel Paese… dove il sì suona, e
sono insieme formule escogitate da gente che si spaccia per aggiornata sul
piano cosmopolita mondiale, formule per tirare il popolo su quel piano e
metterlo in soggezione facendogli digerire la sostanza dei provvedimenti
governativi: leggi sul lavoro posto alla mercé del mercato piratesco e tagli ad
eque spese di provvidenza sociale.
Del medesimo disegno distruttore del tessuto
civile e della distillata eredità culturale fanno parte l’aver cambiato zingaro in rom, per dare allo zingaro
una dignità prima negata, l’aver introdotto gay,
che suona così allegro e felice, al posto di pederasta o sodomita, da sempre sinonimi di individui riprovevoli
per bocca della Rivelazione (San Paolo), di Dante (Inferno) e nella mente del
comune sentire.
Si cominciò dalle oneste sostituzioni di domestica al poco gentile serva, di netturbino a spazzino,
per passare alla colf (collaboratrice
familiare), all’operatore ecologico,
dove già si nascondeva l’abuso: una dipendente salariata non è una collaboratrice,
un salariato addetto alle pulizie nei luoghi pubblici non acquista, grazie al
suo mestiere, una distinzione ecologica.
Cominciando con lo screditare la debita severità
dei preposti alla morale, alla custodia del Sacro Deposito della Fede, all’esegesi
dei Padri e della Chiesa, si commise di certo il maggior danno. A ciò tenne
dietro l’irridere i custodi dell’italiano, i puristi e i membri autentici
dell’Accademia della Crusca. L’imbarbarimento del linguaggio, la decadente
miseria delle arti furono paga e connotati della licenza posta in alto. Ora, lo sbracamento e
il malo uso sembrano non aver fine.
C’è da chiedersi come mai l’aberrante teoria,
che vuole ci siano normali inclinazioni sessuali oltre a quelle date da Madre
Natura, si chiami del gender anche a
casa nostra? Semplice, si dirà, viene dai paesi avanzati, anglosassoni. Certo, nessuno
si è sognato di tradurre gender.
D’altronde, certe cose è meglio che qui, per adesso, restino un po’ avvolte in
una nube esotica e autorevole, una nube compagna di quelle emanate dall’augusto
Palazzo di Vetro.
Poi, i giovani di belle speranze a che
mirano? Che diamine! aspirano a uno stage
(tirocinio) oppure a conseguire un master
(specifico titolo accademico).
I dizionari non si fanno scrupolo di ospitare,
con tutti gli onori, questi lemmi stranieri e i forestierismi. Per esempio, da test (saggio) abbiamo il brutto verbo
italianizzato testare (verificare,
provare, sperimentare), e da monitor (schermo,
schermo di controllo), monitorare (controllare,
controllare elettronicamente).
In italiano occorrono più parole per
esprimere certi significati? Perché non ci si è data la pena di trovare espressioni sintetiche nostre e
soltanto nostre, come sapevano fare un D’Annunzio e linguisti immaginifici suoi
pari.
La soggezione alla parlata altrui è una
perdita d’indipendenza, è una soggezione culturale, una diminuzione della
propria civiltà. - Gli orgogliosi francesi hanno definito il computer ordinateur.
Piero Nicola
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