All'inizio
de La rivoluzione contro il Medioevo, pregevole saggio edito in Chieti
da Marco Solfanelli, presentato da Massimo Micaletti e finalizzato a disegnare
le figure della dialettica metastorica - ordine/disordine - Pietro Ferrari cita
un brano dell'allarmata lettera che Pio XII indirizzò all'Azione
Cattolica, il 12 ottobre dell'apparentemente tranquillo 1952: "Nel
corso di questi ultimi secoli si è tentata la disgregazione della unità
nell'organismo misterioso di Cristo. Si è voluta la natura senza la Grazia e
senza i sacramenti (Rivoluzione Umanista), la ragione senza la fede, la libertà
senza autorità e l'autorità senza la libertà... Cristo sì, la Chiesa no
(Rivoluzione Protestante). Dio sì, Cristo no (Rivoluzione liberale detta
francese); Dio non è mai esistito (Rivoluzione socialista) ... un'economia
senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio".
Ferrari
rammenta che negli ultimi anni il processo descritto magistralmente dal
venerabile Pio XII è avanzato verso la alienazione e la distruzione dell'ordine
civile secondo natura e cita al proposito quel delirio sessista-omosessualista
che, proprio in questi giorni, ha oltrepassato le più pessimistiche previsioni
suggerendo a un branco di femministe, manifestanti in Piazza San Pietro contro
la normalità, la messa in scena di
sacrileghe simulazioni di atti sessuali variamente indirizzati.
L'uso
demenziale della libertà associata al disfacimento della ragione, suggerisce a
Ferrari una originale formula della controrivoluzione: "La
contrapposizione tra autorità [concetto discendente dal verbo latino augere,
crescere e prosperare] e libertà è deleteria poiché sono due concetti
complementari: l'autorità senza libertà degenera in dispotismo mentre la
libertà senza autorità degenera in arbitrio".
Di qui
la ricerca, negli scritti di autori affidabili, di una formula atta ad
affrancare la nozione di libertà dalle incrostazioni ideologiche (illuministiche,
libertarie, sessantottine) che ne hanno causato la discesa nella fossa dei
serpenti anarco-sessantottini e neo-destri.
Da
Roberto De Mattei, ad esempio, è tratta l'indicazione della responsabilità
quale presupposto - fondamento della
libertà: "La libertà è sempre di qualcuno, nei limiti della sua natura,
per fare qualcosa in vista del proprio bene, da scoprire alla luce della
ragione. Se esiste un bene da conoscere e al quale tendere, la scelta ha un
profondo significato, altrimenti qualsiasi scelta è buona solo perché
voluta".
Il rischio che corre
l'umanità contemporanea è appunto l'estensione devastante dell'oscuro fascino
esercitato da una libertà, che pone il proprio fondamento assoluto nella
volontà del decisore comunque orientato.
Al
proposito Ferrari cita una ingegnosa e acuta sentenza del teologo Curzio
Nitoglia, che disegna il confine che separa la libertà dalla trasgressione
libertaria: "Poter fare il male è una conseguenza della libertà, non la
sua essenza, così come la malattia è il segno che un ente è ancora vivo, ma non
è l'essenza della vita".
Ferrari trae da una
memorabile pagina di Gustave Thibon la definizione dell'invertito concetto di
felicità generato dall'ideologia libertaria al fine di abbattere l'ordine
cristiano: "Il banchetto celeste è parodiato con l'invito a tutti alle
vette terrene della fortuna: così alla marcia armoniosa verso un privilegio
divino, indefinitamente estensibile per essenza, si sostituisce l'anarchica
irruzione verso privilegi temporali per loro natura riservati solo a
qualcuno".
Convincente
è l'analisi della rivoluzione per antonomasia, che Ferrari conclude con una
sentenza convincente: "La verità storica ci insegna che proprio nelle
fucine del 1789 furono poste le basi ... dei totalitarismi del xx secolo come
tentativi di sradicare dal cielo il divino per il paradiso in terra. Il sistema
autocratico si perfezionò dopo gli Hobbes e i Bodin con l'assolutismo regio di
Luigi XIV ma il Medioevo cristiano era finito da un pezzo".
Indenne
dalle suggestioni circolanti nella destra d'ingessante ispirazione pliniana è
il capitolo dedicato alla cultura americana. Ferrari dimostra infatti la
fragilità/illusorietà del sogno americano e indica il suo rovinoso influsso:
"La cultura sessantottina non poteva che venire dagli USA, aggravata in
Italia dai ritorni di fiamma di una guerra civile che secondo qualcuno doveva
compiersi ancora del tutto, mentre il boom economico allentava i freni
inibitori verso la società dei consumi di massa e la Chiesa si vedeva impegnata
in una rivoluzione interna, portata avanti dai neo-modernisti"
Meno
convincenti, sono i capitoli dedicati all'unità d'Italia, nei quali si avverte
la tendenza ad esagerare la funzione della massoneria nel risorgimento e a
sottovalutare le ragioni (apprezzate da un autore insospettabile, quale fu
Francisco Elias de Tejada e ora rivendicate da Paolo Pasqualucci) dell'unità
d'Italia. Una tendenza che non chiude in via definitiva le porte alla passione
antitaliana strisciante da sinistra a destra e da destra a sinistra.
L'eccellente
testo di Ferrari, tuttavia, è da apprezzare e raccomandare quale ideario utile
agli italiani in uscita dalle macerie della politica a trazione liberale e
dall'ubriacante osteria americanofila.
Piero Vassallo
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