sabato 29 novembre 2014

FISICA SCHIZOFRENICA - III : DIFESA DI NEWTON DA CRITICHE INFONDATE (di Paolo Pasqualucci)

1.  Quadrati dei tempi e delle distanze.  Ma perché l’accelerazione del corpo in orbita attorno al sole avviene secondo l’inverso del quadrato della distanza?  Questa formulazione appare ostica  e difficilmente rappresentabile.  Galileo enunciò il concetto di “quadrato dei tempi”, Newton quello di “quadrato delle distanze” ed anzi del loro “inverso”.  Il ricorso al concetto del “quadrato” non è affatto frutto di un arcano, non deriva da filosofemi platonizzanti o gnostici:  esso risulta da calcoli precisi.
Galileo scoprì che la caduta libera dei corpi su di un piano inclinato era proporzionale al “quadrato dei tempi”.  Prima ancora, aveva scoperto che “la velocità della libera caduta non dipende dalla massa del corpo che cade”[1].  Ciò significa che i corpi più pesanti cadono praticamente con la stessa velocità dei più leggeri, fatta salva la differenza dovuta alla resistenza dell’aria.  Nel vuoto, la velocità appare del tutto uguale, come si sa dall’esperienza fatta a scuola del tubo di vetro nel quale, creatosi un vuoto pneumatico, si vedono simultaneamente cadere (rovesciandolo) una moneta, un pezzetto di carta, una piuma”[2].
In un secondo momento, Galileo ricercò “la relazione matematica tra il tempo richiesto dalla caduta e la distanza percorsa”[3].  A tal fine, fece ripetutamente scivolare delle sfere su di un piano inclinato di legno, lungo circa 20 piedi (7 metri circa) e largo 25 cm, con in cima una scanalatura che correva per tutta la lunghezza del piano, ricoperta di pergamena il più possibile levigata.  Il piano somigliava ad un triangolo solido poggiato sul terreno, come certi strumenti da cantiere.  Nella scanalatura, marcata ad intervalli regolari da archetti con appeso un campanellino che segnalava il passaggio del mobile, venivano fatte scorrere delle sfere di bronzo.  Per misurare gli intervalli di tempo, Galileo si costruì un orologio ad acqua, con un rubinetto.  In tal modo, “poteva misurare gli intervalli di tempo con il pesare le quantità d’acqua che usciva [a gocce] dal rubinetto a differenti intervalli.  Così registrava la posizione successiva degli oggetti che rotolavano giù per il piano inclinato a intervalli regolari”[4].
I risultati dell’esperimento furono verificati e comprovati dagli scienziati del nostro tempo.  Se si usa uno strumento moderno come un metronomo, spiega Gamow, e si segna la posizione della sfera lanciata in discesa nella scanalatura dello scivolo per i primi quattro secondi, si vedrà che “distanze successive percorse dalla cima del piano inclinato saranno state rispettivamente di 0.53, 2.14, 4.82 e 13.0 pollici [1 pollice = 2, 54 cm].  Noteremo, allora, così come ha fatto Galileo, che le distanze alla fine del secondo, terzo, quarto secondo sono rispettivamente 4, 9, 16, 25 volte la distanza che si riscontra alla fine del primo secondo”.  Quali le conclusioni, allora, per ciò che riguarda i tempi?  “Si ha la prova che la velocità dei corpi in caduta libera aumenta in modo da far apparire questa legge:  le distanze percorse da un oggetto in movimento aumentano secondo il quadrato del tempo del viaggio.  (Infatti:  4= 2²; 9 = 3²; 16 = 4²; 25 = 5²)”[5].
Il “quadrato dei tempi” è dunque nozione matematica che indica una caratteristica effettiva del moto accelerato in relazione al tempo o meglio al modo nel quale l’accelerazione procede temporalmente nello spazio:  procede secondo una proporzione il cui significato si esprime nel “quadrato” di un numero.  “Usando i dati ottenuti con esperimenti sui piani inclinati, si è trovato che l’accelerazione dei corpi in caduta libera è di 386,2 pollici, corrispondenti a 981 cm/s²”[6].  La nozione di “quadrato dei tempi” apparve pertanto quando si cominciò a studiare l’accelerazione; essa è il risultato di un calcolo ricavato da ripetute misurazioni su oggetti in movimento e dipende evidentemente dalla forza di gravità, che agisce sul mobile.

2. La legge del quadrato nel calcolo della forza di gravità.   Nello studiare la forza di gravitazione che tiene legata la terra alla luna, Newton applicava la nozione di moto accelerato, costituito per l’appunto dal moto accelerato che attrae la luna verso la terra, senza mai venire a cadervi per via dell’inerzia inerente al moto stesso.  Ora, continua Gamow, “la luna impiega 27 giorni e 3 ore per una rivoluzione completa attorno alla terra”.  Combinando questo valore con la distanza R tra la terra e la luna, che è di 384.400 km (0,3844 · 10¹ cm, come scrivono i Fisici), Newton “ottenne per l’accelerazione della luna verso la terra il valore di 0,27 cm/s²”.  L’espressione s²  contiene la nozione di “quadrato dei tempi”, caratteristica del moto accelerato.  A questo punto, Newton si accorse che questo valore risultava essere “3640 volte più piccolo dell’accelerazione di 981 cm/s² riscontrabile sulla superficie della terra”.  Da ciò si deduceva con assoluta chiarezza che “la forza di gravità decresce con la distanza dalla terra”.  Ma in base a quale criterio?  Qual era la legge che “regolava questo decrescere”?  Come scoprirla?  Con un semplice calcolo.  “La mela che cade dall’albero si trova alla distanza di 6371 km dal centro della terra”.  È la misura del raggio terrestre, una volta calcolato il diametro terrestre in 12.742 km.  “La luna si trova a 384.400 km dal detto centro, ossia 60,1 volte più lontana” rispetto al frutto o a qualsiasi altra cosa cada per effetto della gravità sulla superficie del nostro pianeta.  “Mettendo a confronto le due proporzioni 3640 e 60,1, Newton notò che la prima è con quasi assoluta precisione il quadrato della seconda.  Ciò significa conclude Gamow – che la legge di gravità è molto semplice:  la forza di attrazione decresce secondo l’inverso del quadrato della distanza”[7]. E come aumenterà?  In modo  “proporzionale alla forza [attrattiva impressa al corpo] e inversamente proporzionale alla massa del corpo” poiché, come si è già detto, occorre il doppio dello sforzo per ottenere la medesima velocità in un corpo che abbia massa doppia di un altro[8].
Riflettendo su questi dati, confermati da tanti calcoli successivi, si comprende per qual motivo Galileo e Newton ritenessero la natura creata da Dio secondo  proporzioni matematiche, che lo scienziato aveva ora il compito di scoprire.  Sappiamo che anche per Platone il demiurgo creatore del mondo si era comportato da “geometra”.  Ma nel loro caso non si trattava di “platonismo”.  Il loro interesse per Platone o per l’astrologia non deve trarre in inganno.  Galileo e Newton verificavano le loro osservazioni ed ipotesi sulla base di esperimenti e misurazioni empiriche, non di idee innate. 

3.  La legge della gravitazione non vale per tutto l’universo?  La legge della gravitazione, inizialmente studiata da Newton nel caso dell’attrazione tra la terra e la luna, fu poi da lui estesa al nostro sistema solare e all’intero universo. Venne applicata con successo al moto di stelle e galassie[9].  Attualmente, tuttavia, anch’essa risente della crisi generale della fisica poiché non riesce a spiegare la forza di gravitazione che si manifesta in certe lontanissime galassie a spirale, che si attraggono con una velocità che appare troppo lenta in relazione alla formula newtoniana.  Pertanto qualcuno (il fisico israeliano Mordecai Milgrom) ha avanzato già trent’anni fa la rivoluzionaria proposta di modificarla nel senso di ammettere che l’attrazione intergalattica in questione avvenga non secondo l’inverso del quadrato della distanza ma secondo la distanza semplice (Modified Newtonian Dynamics o MOND).  La maggioranza degli astronomi, terrorizzati da quest’ipotesi, che butterebbe per aria tutti i calcoli fatti finora, ritiene però che il rallentamento dell’attrazione sia dovuto alla presenza nel cosmo di una materia invisibile (dark matter), invisibile o “oscura” perché non fa passare la luce né la riflette.  L’esistenza di tale “materia” è però, al momento, pura ipotesi.  Provarla costituisce uno degli ardui problemi con i quali deve confrontarsi la fisica attuale[10].
Le leggi della fisica, ancorché confermate dal calcolo e dall’esperimento, sono pur sempre un prodotto della ragione umana nel suo sforzo di cogliere la realtà nella sua natura obiettiva, in sé e per sé.  Esse possono dunque esser “falsificate”, secondo la celebre espressione di Karl Popper, ossia se ne può dimostrare l’insufficienza, in tutto o in parte, a favore di una legge nuova e migliore, capace di spiegare meglio il comportamento della natura.  Il fatto che la legge di gravitazione newtoniana trovi oggi difficoltà ad esser applicata a certi fenomeni galattici, di non facile interpretazione, non significa naturalmente che essa debba considerarsi sbagliata o già superata. La discussione è apertissima.  Al momento siamo nel campo delle ipotesi e delle teorie più disparate. 
Newton non aveva dunque “immaginato” solamente la forza di gravità, aveva verificato la sua ipotesi con accurati calcoli.  Ma perché, come scrive il prof. Rovatti, “si era cautamente guardato dall’azzardare ipotesi”  sul fatto che “non ci fosse niente in mezzo” tra i corpi sui quali si esercitava la forza di gravità?  Anche quest’osservazione dell’Autore sembra una critica, per il modo nel quale è formulata.  Critica, a mio modo di vedere, ingiustificata.  Vediamo perché.

4.  L’azione della forza di gravità non ha bisogno di un “mezzo”.  Newton aveva difficoltà ad accettare l’idea che “non ci fosse niente in mezzo” ai corpi, ad esempio una sostanza eterea tale da permettere il trasmettersi della luce e l’azione della forza di gravità.  Nell’Ottica fa varie ipotesi sull’influenza che l’etere avebbe esercitato sul diffondersi della luce nello spazio.  “La rifrazione della luce non procede dalla diversa densità di questo mezzo etereo nei diversi luoghi, allontanandosi sempre la luce dalle parti più dense del mezzo?”.  E il “mezzo etereo”, dove diventa più denso, “non rifrange i raggi della luce non in un punto, ma piegandoli gradualmente in linee curve?  La graduale condensazione di questo mezzo non si estende a qualche distanza dai corpi e non causa, pertanto, l’inflessione dei raggi di luce, che passano presso i margini dei corpi densi, a qualche distanza dai corpi?”  Continuando nelle sue ipotesi, doveva tuttavia ammettere che non poteva dir nulla di concreto sull’etere:  “E così, se si supponesse che l’Etere (come la nostra aria) può contenere particelle che si sforzano di allontanarsi l’una dall’altra (infatti non so che cosa sia questo Etere), e che le sue particelle sono estremamente più piccole di quelle dell’aria, o anche di quelle della luce…”[11].
Non potendo dimostrarne l’esistenza, doveva ritenere vuoti “i cieli”.  “E contro il riempimento dei cieli con questo mezzo fluido [l’etere], salvo che esso sia estremamente raro, sorge una grossa obiezione dal moto regolare e costante dei pianeti e delle comete, che vanno in tutti i sensi attraverso i cieli.  È manifesto, perciò, che i cieli sono vuoti di ogni sensibile resistenza, e per conseguenza di ogni sensibile materia”[12].  L’esistenza dell’etere la si riteneva necessaria ed indispensabile, ma l’esperienza non la confermava.  Non ci si sarebbe mai riusciti e nel 1905 Einstein poteva dichiarare tranquillamente che l’etere non esisteva.  La cautela di Newton era dunque giustificata allo stesso modo del suo rifiuto di dichiarare la causa della gravitazione, a suo giudizio non riducibile alla sola natura.
Che cos’è infatti l’attrazione?  “In generale assumo, qui, la parola attrazione per significare una qualsiasi tendenza dei corpi ad accostarsi l’uno all’altro; sia che questa tendenza dipenda dall’azione dei corpi per effetto del loro mutuo cercarsi, oppure per effetto di spiriti emessi che li muovono mutuamente, sia che essa abbia origine dall’azione dell’etere, o dell’aria, o di un qualunque mezzo corporeo o incorporeo che spinge in un modo qualsiasi i corpi che vi nuotano dentro l’uno verso l’altro”[13].  Di questa tendenza dei corpi ad andare uno verso l’altro, come si vede, Newton non dà una causa precisa, univoca.  Essa può dipendere o da un’azione dei corpi stessi, o da non precisati “spiriti” o dall’azione di un mezzo.  La causa resta indeterminata e comunque la forza di attrazione non appare inerente alla materia, come ad esempio il principio d’inerzia. E allora, come facciamo a stabilire le leggi della gravitazione universale?  La cosa è possibile, precisa subito dopo Newton, perché egli studia e calcola non la causa della gravitazione ma gli impulsi che muovono i corpi nei loro rapporti di attrazione, intesi da un punto di vista quantitativo,  cioè nei loro nessi e nelle loro proporzioni.  “Nello stesso senso generale assumo la parola impulso, in quanto in questo trattato esamino, come ho spiegato nelle definizioni, non le specie delle forze e le qualità fisiche, ma le quantità e le proporzioni matematiche”[14].
5.  L’azione della forza di gravità è opera di un agente sovrannaturale?  Di contro ai suoi seguaci, che intendevano la gravità come “essenziale ed inerente alla materia”, come se appunto la materia ne fosse la causa, Newton precisa, nella terza delle sue lettere al pastore Richard Bentley, non solo che la gravità non è “innata” nella materia ma anche che l’agente che la provoca può (e forse deve) ritenersi immateriale.  Ecco in riassunto il celebre testo:
“[per me] è inconcepibile che l’inanimata, bruta materia, senza la mediazione di qualcos’altro che non sia materiale, operasse e influisse su un’altra materia senza reciproco contatto, come dovrebbe essere se la gravitazione, nel senso di Epicuro, fosse essenziale ed inerente ad essa”.  Se la gravitazione fosse inerente alla materia, per operare su di un’altra materia dovrebbe entrare in contatto con essa.  Poiché questo non avviene, bisogna supporre “la mediazione di qualcos’altro che non sia materiale”.   Cioè di un agente diverso dalla materia.  Una mediazione occorre perché, ribadisce Newton, “che la gravità debba essere innata, inerente ed essenziale alla materia, cosicché un corpo possa agire su un altro a distanza attraverso un vacuum, senza la mediazione di nient’altro mediante e attraverso la cui azione e forza può essere trasmessa dall’uno all’altro, è per me una tale assurdità che ritengo che chi possiede una competente facoltà di pensiero nelle discipline filosofiche non possa mai cadervi”.  L’azione a distanza della gravità nel vuoto esiste e non può esser messa in dubbio:  sarebbe però assurdo attribuirla al “corpo” come sua causa, quale manifestazione di una sua innata qualità.  Il “corpo” non può essere capace di tanto.  Pertanto:  “la gravità deve essere causata da un agente che agisce costantemente in accordo a determinate leggi, ma ho lasciato al giudizio dei miei lettori di stabilire se questo agente sia materiale o immateriale”[15].
Quest’azione a distanza è costante, senza soluzione di continuità. Newton non usa il termine “istantanea” ma l’istantaneità le è inerente, deriva dal concetto stesso (fecero notare i newtoniani), come si ricava dai teoremi dimostrati dallo stesso Newton, nel Primo Libro dei Principi, sezione II, proposizione I, teorema I; proposizione II, teorema II.  “Newton dimostra poi che se un corpo, muoventesi con moto inerziale, riceve a intervalli regolari un breve impulso (ossia se su esso agisce periodicamente una forza istantanea), e tutti questi impulsi sono diretti verso lo stesso punto S [il Sole], allora si muove, in ognuno degli intervalli di tempo uguali fra due impulsi successivi, in modo che la linea che lo congiunge con S spazzi aree uguali”[16].
Al di là delle dimostrazioni matematiche, che per noi uomini della strada restano sempre difficili, anche quando se ne comprende il concetto, l’istantaneità dell’azione della forza di gravità, in quanto “azione a distanza”, sembra giustificarsi sulla base di questa semplice osservazione.  La luce ci mette 8 minuti e 19 secondi a raggiungere la terra dal sole.  Dobbiamo pensare che la forza che attrae la terra verso il sole ci metta anch’essa lo stesso tempo della luce o un tempo superiore, dato che, secondo i Fisici, non ci può essere in natura una velocità superiore a quella della luce?  Ma in quell’intervallo di 8 minuti e 19 secondi o maggiore, cosa sarebbe successo della terra, non sarebbe sprofondata nell’abisso?  Voglio dire, con questo, che, nella formazione del sistema orbitale terra-sole, la forza di gravità che lo tiene insieme deve esserci stata da subito, sin dall’inizio, istantaneamente al suo formarsi, non dopo un intervallo iniziale di 8 e passa minuti.
Newton fu messo alla gogna per questo suo riferimento ad un “agente immateriale” quale possibile causa della forza di gravità, inspiegabile in termini scientifici.  Non si sconfinava dalla fisica nella “teologia”?  Newton, possiamo dire, lasciò in eredità ai Fisici “l’azione a distanza” come problema.  Per due aspetti:  perché si effettuava in uno spazio vuoto, cosa difficile da accettare; perché operava istantaneamente, idea addirittura insopportabile.  Leibniz si opponeva alla concezione dello spazio di Newton e alla sua forza di gravità perché gli sembrava richiamare in vita le affabulazioni alchemiche sulle qualità occulte della materia, capaci di produrre effetti come per magia, in modo incomprensibile alla ragione.  Einstein, da canto suo, trovava l’idea di una “azione a distanza istantanea” del tutto irrazionale:  “…secondo la legge di Newton, la forza di attrazione tra due corpi dipende soltanto dalla distanza; il tempo non conta.  La forza dovrebbe dunque passare da un corpo all’altro, nel tempo zero [cioè istantaneamente]! Ma un movimento qualsiasi con velocità infinita [ossia istantaneo] non è razionalmente concepibile”[17].  Non lo è per l’uomo, ma per Dio onnipotente?  Einstein elaborò, con la sua teoria della relatività generale, una teoria della gravitazione interpretabile in termini di azione a contatto provocata dalla “curvatura dello spazio-tempo”, il cui presupposto, come sappiamo, è costituito dall’idea che lo spazio sia ovunque un continuum “curvo” in conseguenza della densità della materia e dell’energia che lo occupano;  presupposto dimostratosi infondato perché su scala subatomica le particelle di energia saettano in uno spazio euclideo mentre, su scala cosmica, la luce continua a viaggiare in linea retta nel vuoto cosmico, più che mai euclideo ossia flat.  Ad un secolo di distanza della teoria della relatività generale (1915), possiamo dunque dire che il rinvio newtoniano alla Causa Prima quale possibile causa diretta della gravitazione si pone in modo più attuale che mai.  I Fisici non riescono ad includere la forza di gravità nelle loro equazioni, ossia nelle teorie che cercano di includere anche la forza di gravità nel cosiddetto Modello Standard, che dovrebbe comprendere in modo unitario le quattro forze fondamentali della natura: la forza di gravità, l’elettromagnetismo, la forza di interazione forte (che tien saldo il nucleo atomico), la forza debole, responsabile del decadimento radioattivo.  Di fronte a questo fallimento, è più che mai legittimo indagare se l’esistenza scientificamente inspiegabile della forza di gravità non possa costituire un’ulteriore prova dell’esistenza di Dio, la sesta, accanto alle cinque tradizionali.

Paolo Pasqualucci


Prima parte

Seconda parte





[1] G. GAMOW, Gravity (1961), ristampa BN Publishing 2010, pp. 23-24.  Si tratta di lezioni del famoso fisico teorico George Gamow (scomparso nel 1968) per un pubblico più vasto, con in appendice un articolo, intitolato anch’esso Gravity, apparso su ‘Scientific American’ nel marzo del 1961.
[2] Op. cit., pp. 24-25.  L’esperienza fu ripetuta con lo stesso risultato sulla superficie lunare, priva di atmosfera, dall’astronauta statunitense Armstrong, che, in diretta TV interplanetaria, vi lasciò cadere un martello e una penna di falco.
[3] Op. cit., p. 25.
[4] Op. cit., p. 26.  Ho integrato la succinta descrizione di Gamow con G. Johnson, The Ten Most Beautiful Experiments, Vintage Books, London, 2008, pp. 3-16, che offre un’accurata descrizione dell’esperimento, risalente al periodo patavino di Galileo.  I brogliacci dell’anno 1604, con gli appunti di mano di Galileo di 104 misurazioni sul piano inclinato, sono stati decifrati nel 1972 e pubblicati nel 1978 dallo storico della scienza Drake Stillman (ID., Galileo at work.  His Scientific Biography, Chicago, University of Chicago Press, 1978).  Vedi anche: G. GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, a cura di L. Sosio, Einaudi, Torino, 1970, p. 269.
[5] Gamow, op. cit., p. 27. 
[6] Op. cit., p. 33.
[7] Gamow, op. cit., pp. 42-43, per tutta la ricostruzione del calcolo di Newton.  Corsivo nell’originale.
[8] Op.cit., ivi.  Per il testo di Newton:  Principi, III, proposizione IV, Teorema IV, tr. it. cit., pp. 619-623.
[9] R. Feynman, The Theory of Gravitation, in ID., Six Easy Pieces, The Fundamentals of Physics explained (1963), with an introduction by P. Davies, Penguin, 1995, pp. 89-113; pp. 101-107.
[10] Sul punto, per una spiegazione dettagliata:  L. Smolin, The Trouble with Physics, Penguin, 2006, pp. 13-16; 204-216.  Si è anche costretti ad ipotizzare l’esistenza di una “energia oscura”.
[11] I. Newton, Ottica o trattato sulle riflessioni, rifrazioni, inflessioni e sui colori della luce, basata sulla quarta edizione, Londra 1730, in: I. Newton, Scritti di ottica, tr. it. e introduzione di A. Pala, UTET, Torino, 1978, pp. 299-605;  pp. 561-563 (si tratta delle Questioni 19,20,21).
[12] I. Newton, op. cit., pp. 572-573 (Questione 28).
[13] I. Newton, Principi matematici della filosofia naturale, tr. it., introduzione e note di A. Pala, UTET, Torino, 1977,  p. 339.
[14] Op.cit., ivi.  Sul problema della “causa” dell’attrazione in Newton vedi anche:  A. Koyré, op. cit., pp. 136-145, sul quale mi sono in parte basato.
[15] Il testo della terza lettera a Richard Bentley è citato da A. Koyré, op. cit., p. 137.
[16] I.B. Cohen, La nascita di una nuova fisicaCopernico, Galileo, Keplero, Newton, tr. it. G. Borella, il Saggiatore, Milano, 1974, p. 190.  Vedi inoltre:  I. Newton, Principi, tr. it., pp. 155-159.
[17] A. Einstein e L. Infeld, L’evoluzione della fisica. Sviluppo delle idee dai concetti iniziali alla relatività ai quanti (1938), tr. it. A. Graziadei, prefazione di C. Castagnoli, Boringhieri, Torino, 1965, p. 162.

1 commento:

  1. Alcuni Fisici e matematici di oggi congetturano decine di teorie sbagliate, a motivo di cattive applicazioni di filosofia e analisi del linguaggio.
    Invece gli antichi filosofi italici e greci non hanno mai confuso le antinomie assurde e non costruibili, con i paradossi immaginari della matematica.
    La natura materiale sensibile fu ritenuta da loro un modello irreale, mentre il pensiero fu considerato la realtà mentale dell’Essere VERO.
    Le ipotesi assurde venivano scartate fin dai primi lemma palesemente illogici, come premesse errate di teorema non costruibili.
    Altresì queste ipotesi assurde venivano anche usate come tesi false di rincalzo, proprio per dimostrare le tesi principali VERE.

    I matematici odierni invece hanno rovinato la fisica con congetture che sono proprio quelle vecchie dimostrazioni per assurdo, di ciò che non può esistere perché non è costruibile.
    Poi le chiamano paradossi e provano a dimostrarle vere.
    Queste congetture sono invece antinomie, ovvero contraddizioni irrisolvibili.
    I paradossi sono invece sistemi matematici impostati con assioma diversi, ma ciascuno coerente nel proprio sistema.
    Pertanto i paradossi non sono assurdità non costruibili in assoluto, ma sono modelli separati e disgiunti tra loro, che non si contraddicono affatto, essendo tutti costruiti con numeri immaginari, in sistema separati e ipotetici.
    Infatti esistono diverse geometrie e diverse matematiche tutte coerenti a se stanti e quindi non contraddittorie tra loro, perché sono tutte solo ipotesi immaginarie.
    Nell'ESSERE MENTALE però, nessuno di questi teorema è il vero modello della realtà fisica apparente.
    NON ESISTONO QUINDI BUCHI NERI, MULTI VERSI, STELLE ESOTICHE CHE SUPERINO IL PRINCIPIO DI ESCLUSIONE DI PAULI E LO STATO DI PLASMA DEGENERE, NON ESISTE IL BOSONE DI HIGGS E NON SONO POSSIBILI I VIAGGI NEL TEMPO.
    LA FISICA DELLA RELATIVITA’ E’ DUNQUE MATEMATICA TRAVISATA IN EVENTI MATERIALI, che dimostra invece per assurdo, proprio tutto ciò che la materia non può fare, (raggiungere o addirittura superare la velocità dell’informazione luminosa, contrarsi o essere compressa all’infinito e simili panzane).
    Certo coi numeri si può fare anche ciò che la scienza e l’osservazione negano possibile.
    In realtà però le super nove esplodono, le stelle di neutroni dissipano l’energia gravitale in velocità di rotazione e calore e non si comprimono affatto in buchi neri.
    Ciononostante i matematici pur andando contro le evidenze osservate, aggiungono valori inesistenti di ulteriore gravità nei loro calcoli e s’inventano singolarità inesistenti e impossibili.
    Pertanto le loro congetture arbitrarie sono solo dimostrazioni per assurdo, proprio di ciò che non può accadere alla materia.
    Concludendo.
    E’ difficile ragionare con la logica, con chi ha una volontà di potenza negativa.
    Molti sono innamorati degli alieni, dei buchi neri, dei viaggi nel tempo, ma preferiscono che Dio non esista. Stranissimo sentimento questo simile al pessimismo pagano.
    Pertanto ad alcuni piace la materia e diviene assurdamente creduto che essa pur essendo chiaramente inerte possa divenire magicamente un insieme sempre più complesso e che quindi si mette infine a ragionare.
    In altre parole questi nichilisti credono nel cervello senziente e negano la Mente che realmente pensa.
    Gli antichi primi filosofi italici e greci avevano invece genialmente già chiarito che La Mente è l’Essere reale invisibile e che la materia è solo un’idea immaginaria nella Mente.
    In pratica tutto ciò è come dire che la fisica quantistica ci parla dell’Essere reale la Mente, e la fisica della relatività ci parla delle cose materiali immaginarie e apparenti, ma solo in forma di modello cibernetico avvertibile ai nostri sensi.
    Così va il mondo oggi, dopo l’illuminismo massonico diffuso.
    Questa è ritenuta a torto l’era dei lumi e Parmenide, Zenone, Pitagora e Socrate sono ora distorti dai sofisma delle opinioni gratuite.
    Vincenzo RUSSO iltachione@alice.it ; www.webalice.it/iltachione.


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