1. Quadrati dei tempi e delle distanze. Ma perché l’accelerazione del corpo in orbita
attorno al sole avviene secondo l’inverso del quadrato della distanza? Questa formulazione appare ostica e difficilmente rappresentabile. Galileo enunciò il concetto di “quadrato dei
tempi”, Newton quello di “quadrato delle distanze” ed anzi del loro
“inverso”. Il ricorso al concetto del
“quadrato” non è affatto frutto di un arcano, non deriva da filosofemi
platonizzanti o gnostici: esso risulta
da calcoli precisi.
Galileo scoprì che
la caduta libera dei corpi su di un piano inclinato era proporzionale al
“quadrato dei tempi”. Prima ancora,
aveva scoperto che “la velocità della libera caduta non dipende dalla massa del
corpo che cade”[1]. Ciò significa che i corpi più pesanti cadono
praticamente con la stessa velocità dei più leggeri, fatta salva la differenza
dovuta alla resistenza dell’aria. Nel
vuoto, la velocità appare del tutto uguale, come si sa dall’esperienza fatta a
scuola del tubo di vetro nel quale, creatosi un vuoto pneumatico, si vedono
simultaneamente cadere (rovesciandolo) una moneta, un pezzetto di carta, una
piuma”[2].
In un secondo momento,
Galileo ricercò “la relazione matematica tra il tempo richiesto dalla caduta e
la distanza percorsa”[3]. A tal fine, fece ripetutamente scivolare
delle sfere su di un piano inclinato di legno, lungo circa 20 piedi (7 metri circa) e largo 25 cm , con in cima una scanalatura
che correva per tutta la lunghezza del piano, ricoperta di pergamena il più
possibile levigata. Il piano somigliava
ad un triangolo solido poggiato sul terreno, come certi strumenti da
cantiere. Nella scanalatura, marcata ad
intervalli regolari da archetti con appeso un campanellino che segnalava il
passaggio del mobile, venivano fatte scorrere delle sfere di bronzo. Per misurare gli intervalli di tempo, Galileo
si costruì un orologio ad acqua, con un rubinetto. In tal modo, “poteva misurare gli intervalli
di tempo con il pesare le quantità d’acqua che usciva [a gocce] dal rubinetto a
differenti intervalli. Così registrava
la posizione successiva degli oggetti che rotolavano giù per il piano inclinato
a intervalli regolari”[4].
I risultati
dell’esperimento furono verificati e comprovati dagli scienziati del nostro
tempo. Se si usa uno strumento moderno
come un metronomo, spiega Gamow, e si segna la posizione della sfera lanciata
in discesa nella scanalatura dello scivolo per i primi quattro secondi, si
vedrà che “distanze successive percorse dalla cima del piano inclinato saranno
state rispettivamente di 0.53, 2.14, 4.82 e 13.0 pollici [1 pollice
= 2, 54 cm]. Noteremo, allora, così come
ha fatto Galileo, che le distanze alla fine del secondo, terzo, quarto secondo
sono rispettivamente 4, 9, 16, 25 volte la distanza che si riscontra alla fine
del primo secondo”. Quali le
conclusioni, allora, per ciò che riguarda i tempi? “Si ha la prova che la velocità dei corpi in
caduta libera aumenta in modo da far apparire questa legge: le distanze percorse da un oggetto in
movimento aumentano secondo il quadrato del tempo del viaggio. (Infatti:
4= 2²; 9 = 3²; 16 = 4²; 25 = 5²)”[5].
Il “quadrato dei
tempi” è dunque nozione matematica che indica una caratteristica effettiva del
moto accelerato in relazione al tempo o meglio al modo nel quale
l’accelerazione procede temporalmente nello spazio: procede secondo una proporzione il cui
significato si esprime nel “quadrato” di un numero. “Usando i dati ottenuti con esperimenti sui
piani inclinati, si è trovato che l’accelerazione dei corpi in caduta libera è
di 386,2 pollici ,
corrispondenti a 981 cm/s²”[6]. La nozione di “quadrato dei tempi” apparve
pertanto quando si cominciò a studiare l’accelerazione; essa è il risultato
di un calcolo ricavato da ripetute misurazioni su oggetti in movimento e
dipende evidentemente dalla forza di gravità, che agisce sul mobile.
2. La legge del
quadrato nel calcolo della forza di gravità. Nello studiare la forza di gravitazione che
tiene legata la terra alla luna, Newton applicava la nozione di moto
accelerato, costituito per l’appunto dal moto accelerato che attrae la luna
verso la terra, senza mai venire a cadervi per via dell’inerzia inerente al
moto stesso. Ora, continua Gamow, “la
luna impiega 27 giorni e 3 ore per una rivoluzione completa attorno alla
terra”. Combinando questo valore con la
distanza R tra la terra e la luna, che è di 384.400 km (0,3844 · 10¹⁰ cm, come scrivono i Fisici), Newton “ottenne per l’accelerazione
della luna verso la terra il valore di 0,27 cm/s²”. L’espressione s² contiene la nozione di “quadrato dei tempi”,
caratteristica del moto accelerato. A
questo punto, Newton si accorse che questo valore risultava essere “3640 volte
più piccolo dell’accelerazione di 981 cm/s² riscontrabile sulla superficie
della terra”. Da ciò si deduceva con
assoluta chiarezza che “la forza di gravità decresce con la distanza dalla
terra”. Ma in base a quale
criterio? Qual era la legge che
“regolava questo decrescere”? Come
scoprirla? Con un semplice calcolo. “La mela che cade dall’albero si trova alla
distanza di 6371 km
dal centro della terra”. È la misura del
raggio terrestre, una volta calcolato il diametro terrestre in 12.742 km . “La luna si trova a 384.400 km dal detto
centro, ossia 60,1 volte più lontana” rispetto al frutto o a qualsiasi altra
cosa cada per effetto della gravità sulla superficie del nostro pianeta. “Mettendo a confronto le due proporzioni 3640
e 60,1, Newton notò che la prima è con quasi assoluta precisione il quadrato
della seconda. Ciò significa conclude
Gamow – che la legge di gravità è molto semplice: la forza di attrazione decresce secondo
l’inverso del quadrato della distanza”[7].
E come aumenterà? In modo “proporzionale alla forza [attrattiva impressa
al corpo] e inversamente proporzionale alla massa del corpo” poiché, come si è
già detto, occorre il doppio dello sforzo per ottenere la medesima velocità in
un corpo che abbia massa doppia di un altro[8].
Riflettendo su
questi dati, confermati da tanti calcoli successivi, si comprende per qual
motivo Galileo e Newton ritenessero la natura creata da Dio secondo proporzioni matematiche, che lo scienziato
aveva ora il compito di scoprire.
Sappiamo che anche per Platone il demiurgo creatore del mondo si era
comportato da “geometra”. Ma nel loro
caso non si trattava di “platonismo”. Il
loro interesse per Platone o per l’astrologia non deve trarre in inganno. Galileo e Newton verificavano le loro
osservazioni ed ipotesi sulla base di esperimenti e misurazioni empiriche, non
di idee innate.
3. La legge della gravitazione non vale per
tutto l’universo? La legge della
gravitazione, inizialmente studiata da Newton nel caso dell’attrazione tra la
terra e la luna, fu poi da lui estesa al nostro sistema solare e all’intero
universo. Venne applicata con successo al moto di stelle e galassie[9]. Attualmente, tuttavia, anch’essa risente
della crisi generale della fisica poiché non riesce a spiegare la forza di
gravitazione che si manifesta in certe lontanissime galassie a spirale, che si
attraggono con una velocità che appare troppo lenta in relazione alla formula
newtoniana. Pertanto qualcuno (il fisico
israeliano Mordecai Milgrom) ha avanzato già trent’anni fa la rivoluzionaria
proposta di modificarla nel senso di ammettere che l’attrazione intergalattica
in questione avvenga non secondo l’inverso del quadrato della distanza ma
secondo la distanza semplice (Modified Newtonian Dynamics o MOND). La maggioranza degli astronomi, terrorizzati
da quest’ipotesi, che butterebbe per aria tutti i calcoli fatti finora, ritiene
però che il rallentamento dell’attrazione sia dovuto alla presenza nel cosmo di
una materia invisibile (dark matter), invisibile o “oscura” perché non
fa passare la luce né la riflette.
L’esistenza di tale “materia” è però, al momento, pura ipotesi. Provarla costituisce uno degli ardui problemi
con i quali deve confrontarsi la fisica attuale[10].
Le leggi della
fisica, ancorché confermate dal calcolo e dall’esperimento, sono pur sempre un
prodotto della ragione umana nel suo sforzo di cogliere la realtà nella sua
natura obiettiva, in sé e per sé. Esse
possono dunque esser “falsificate”, secondo la celebre espressione di Karl
Popper, ossia se ne può dimostrare l’insufficienza, in tutto o in parte, a
favore di una legge nuova e migliore, capace di spiegare meglio il
comportamento della natura. Il fatto che
la legge di gravitazione newtoniana trovi oggi difficoltà ad esser applicata a
certi fenomeni galattici, di non facile interpretazione, non significa
naturalmente che essa debba considerarsi sbagliata o già superata. La
discussione è apertissima. Al momento
siamo nel campo delle ipotesi e delle teorie più disparate.
Newton non aveva
dunque “immaginato” solamente la forza di gravità, aveva verificato la sua
ipotesi con accurati calcoli. Ma perché,
come scrive il prof. Rovatti, “si era cautamente guardato dall’azzardare
ipotesi” sul fatto che “non ci fosse
niente in mezzo” tra i corpi sui quali si esercitava la forza di gravità? Anche quest’osservazione dell’Autore sembra
una critica, per il modo nel quale è formulata.
Critica, a mio modo di vedere, ingiustificata. Vediamo perché.
4. L’azione della forza di gravità non ha
bisogno di un “mezzo”. Newton
aveva difficoltà ad accettare l’idea che “non ci fosse niente in mezzo” ai
corpi, ad esempio una sostanza eterea tale da permettere il trasmettersi della
luce e l’azione della forza di gravità.
Nell’Ottica fa varie ipotesi sull’influenza che l’etere avebbe
esercitato sul diffondersi della luce nello spazio. “La rifrazione della luce non procede dalla
diversa densità di questo mezzo etereo nei diversi luoghi, allontanandosi
sempre la luce dalle parti più dense del mezzo?”. E il “mezzo etereo”, dove diventa più denso,
“non rifrange i raggi della luce non in un punto, ma piegandoli gradualmente in
linee curve? La graduale condensazione
di questo mezzo non si estende a qualche distanza dai corpi e non causa,
pertanto, l’inflessione dei raggi di luce, che passano presso i margini dei
corpi densi, a qualche distanza dai corpi?”
Continuando nelle sue ipotesi, doveva tuttavia ammettere che non poteva
dir nulla di concreto sull’etere: “E
così, se si supponesse che l’Etere (come la nostra aria) può contenere
particelle che si sforzano di allontanarsi l’una dall’altra (infatti non so che
cosa sia questo Etere), e che le sue particelle sono estremamente più
piccole di quelle dell’aria, o anche di quelle della luce…”[11].
Non potendo dimostrarne
l’esistenza, doveva ritenere vuoti “i cieli”.
“E contro il riempimento dei cieli con questo mezzo fluido [l’etere],
salvo che esso sia estremamente raro, sorge una grossa obiezione dal moto
regolare e costante dei pianeti e delle comete, che vanno in tutti i sensi
attraverso i cieli. È manifesto, perciò,
che i cieli sono vuoti di ogni sensibile resistenza, e per conseguenza di ogni
sensibile materia”[12]. L’esistenza dell’etere la si riteneva
necessaria ed indispensabile, ma l’esperienza non la confermava. Non ci si sarebbe mai riusciti e nel 1905
Einstein poteva dichiarare tranquillamente che l’etere non esisteva. La cautela di Newton era dunque giustificata
allo stesso modo del suo rifiuto di dichiarare la causa della
gravitazione, a suo giudizio non riducibile alla sola natura.
Che cos’è infatti l’attrazione? “In generale assumo, qui, la parola
attrazione per significare una qualsiasi tendenza dei corpi ad accostarsi l’uno
all’altro; sia che questa tendenza dipenda dall’azione dei corpi per effetto
del loro mutuo cercarsi, oppure per effetto di spiriti emessi che li muovono
mutuamente, sia che essa abbia origine dall’azione dell’etere, o dell’aria, o
di un qualunque mezzo corporeo o incorporeo che spinge in un modo qualsiasi i
corpi che vi nuotano dentro l’uno verso l’altro”[13]. Di questa tendenza dei corpi ad andare uno
verso l’altro, come si vede, Newton non dà una causa precisa, univoca. Essa può dipendere o da un’azione dei corpi
stessi, o da non precisati “spiriti” o dall’azione di un mezzo. La causa resta indeterminata e comunque la
forza di attrazione non appare inerente alla materia, come ad esempio il
principio d’inerzia. E allora, come facciamo a stabilire le leggi della
gravitazione universale? La cosa è
possibile, precisa subito dopo Newton, perché egli studia e calcola non la
causa della gravitazione ma gli impulsi che muovono i corpi nei loro
rapporti di attrazione, intesi da un punto di vista quantitativo, cioè nei loro nessi e nelle loro proporzioni. “Nello stesso senso generale assumo la parola
impulso, in quanto in questo trattato esamino, come ho spiegato nelle
definizioni, non le specie delle forze e le qualità fisiche, ma le quantità e
le proporzioni matematiche”[14].
5. L’azione della forza di gravità è opera di
un agente sovrannaturale? Di
contro ai suoi seguaci, che intendevano la gravità come “essenziale ed inerente
alla materia”, come se appunto la materia ne fosse la causa, Newton precisa,
nella terza delle sue lettere al pastore Richard Bentley, non solo che la gravità
non è “innata” nella materia ma anche che l’agente che la provoca può (e forse
deve) ritenersi immateriale. Ecco
in riassunto il celebre testo:
“[per me] è
inconcepibile che l’inanimata, bruta materia, senza la mediazione di
qualcos’altro che non sia materiale, operasse e influisse su un’altra materia
senza reciproco contatto, come dovrebbe essere se la gravitazione, nel senso di
Epicuro, fosse essenziale ed inerente ad essa”.
Se la gravitazione fosse inerente alla materia, per operare su di
un’altra materia dovrebbe entrare in contatto con essa. Poiché questo non avviene, bisogna supporre
“la mediazione di qualcos’altro che non sia materiale”. Cioè di un agente diverso dalla
materia. Una mediazione occorre
perché, ribadisce Newton, “che la gravità debba essere innata, inerente ed
essenziale alla materia, cosicché un corpo possa agire su un altro a distanza
attraverso un vacuum, senza la mediazione di nient’altro mediante e
attraverso la cui azione e forza può essere trasmessa dall’uno all’altro, è per
me una tale assurdità che ritengo che chi possiede una competente facoltà di
pensiero nelle discipline filosofiche non possa mai cadervi”. L’azione a distanza della gravità nel vuoto esiste
e non può esser messa in dubbio: sarebbe
però assurdo attribuirla al “corpo” come sua causa, quale manifestazione di una
sua innata qualità. Il “corpo” non può
essere capace di tanto. Pertanto: “la gravità deve essere causata da un agente
che agisce costantemente in accordo a determinate leggi, ma ho lasciato al
giudizio dei miei lettori di stabilire se questo agente sia materiale o
immateriale”[15].
Quest’azione a
distanza è costante, senza soluzione di continuità. Newton non usa il
termine “istantanea” ma l’istantaneità le è inerente, deriva dal concetto
stesso (fecero notare i newtoniani), come si ricava dai teoremi dimostrati
dallo stesso Newton, nel Primo Libro dei Principi, sezione II,
proposizione I, teorema I; proposizione II, teorema II. “Newton dimostra poi che se un corpo,
muoventesi con moto inerziale, riceve a intervalli regolari un breve impulso
(ossia se su esso agisce periodicamente una forza istantanea), e tutti questi
impulsi sono diretti verso lo stesso punto S [il Sole], allora si muove, in
ognuno degli intervalli di tempo uguali fra due impulsi successivi, in modo che
la linea che lo congiunge con S spazzi aree uguali”[16].
Al di là delle
dimostrazioni matematiche, che per noi uomini della strada restano sempre
difficili, anche quando se ne comprende il concetto, l’istantaneità dell’azione
della forza di gravità, in quanto “azione a distanza”, sembra giustificarsi
sulla base di questa semplice osservazione.
La luce ci mette 8 minuti e 19 secondi a raggiungere la terra dal
sole. Dobbiamo pensare che la forza che
attrae la terra verso il sole ci metta anch’essa lo stesso tempo della luce o
un tempo superiore, dato che, secondo i Fisici, non ci può essere in natura una
velocità superiore a quella della luce?
Ma in quell’intervallo di 8 minuti e 19 secondi o maggiore, cosa sarebbe
successo della terra, non sarebbe sprofondata nell’abisso? Voglio dire, con questo, che, nella formazione
del sistema orbitale terra-sole, la forza di gravità che lo tiene insieme deve
esserci stata da subito, sin dall’inizio, istantaneamente al suo formarsi, non
dopo un intervallo iniziale di 8 e passa minuti.
Newton fu messo
alla gogna per questo suo riferimento ad un “agente immateriale” quale
possibile causa della forza di gravità, inspiegabile in termini
scientifici. Non si sconfinava dalla
fisica nella “teologia”? Newton,
possiamo dire, lasciò in eredità ai Fisici “l’azione a distanza” come
problema. Per due aspetti: perché si effettuava in uno spazio vuoto,
cosa difficile da accettare; perché operava istantaneamente, idea addirittura
insopportabile. Leibniz si opponeva alla
concezione dello spazio di Newton e alla sua forza di gravità perché gli
sembrava richiamare in vita le affabulazioni alchemiche sulle qualità occulte
della materia, capaci di produrre effetti come per magia, in modo
incomprensibile alla ragione. Einstein,
da canto suo, trovava l’idea di una “azione a distanza istantanea” del tutto irrazionale: “…secondo la legge di Newton, la forza di
attrazione tra due corpi dipende soltanto dalla distanza; il tempo non
conta. La forza dovrebbe dunque passare
da un corpo all’altro, nel tempo zero [cioè istantaneamente]! Ma un movimento
qualsiasi con velocità infinita [ossia istantaneo] non è razionalmente
concepibile”[17]. Non lo è per l’uomo, ma per Dio
onnipotente? Einstein elaborò, con la
sua teoria della relatività generale, una teoria della gravitazione
interpretabile in termini di azione a contatto provocata dalla “curvatura dello
spazio-tempo”, il cui presupposto, come sappiamo, è costituito dall’idea che lo
spazio sia ovunque un continuum “curvo” in conseguenza della densità della
materia e dell’energia che lo occupano;
presupposto dimostratosi infondato perché su scala subatomica le
particelle di energia saettano in uno spazio euclideo mentre, su scala cosmica,
la luce continua a viaggiare in linea retta nel vuoto cosmico, più che mai
euclideo ossia flat. Ad un secolo
di distanza della teoria della relatività generale (1915), possiamo dunque dire
che il rinvio newtoniano alla Causa Prima quale possibile causa diretta della
gravitazione si pone in modo più attuale che mai. I Fisici non riescono ad includere la forza
di gravità nelle loro equazioni, ossia nelle teorie che cercano di includere
anche la forza di gravità nel cosiddetto Modello Standard, che dovrebbe
comprendere in modo unitario le quattro forze fondamentali della natura:
la forza di gravità, l’elettromagnetismo, la forza di interazione forte (che
tien saldo il nucleo atomico), la forza debole, responsabile del decadimento
radioattivo. Di fronte a questo
fallimento, è più che mai legittimo indagare se l’esistenza scientificamente
inspiegabile della forza di gravità non possa costituire un’ulteriore prova
dell’esistenza di Dio, la sesta, accanto alle cinque tradizionali.
[1] G. GAMOW, Gravity (1961), ristampa BN Publishing 2010, pp.
23-24. Si tratta di lezioni del famoso
fisico teorico George Gamow (scomparso nel 1968) per un pubblico più vasto, con
in appendice un articolo, intitolato anch’esso Gravity, apparso su
‘Scientific American’ nel marzo del 1961.
[2] Op. cit., pp. 24-25.
L’esperienza fu ripetuta con lo stesso risultato sulla superficie
lunare, priva di atmosfera, dall’astronauta statunitense Armstrong, che, in
diretta TV interplanetaria, vi lasciò cadere un martello e una penna di falco.
[3] Op. cit., p. 25.
[4] Op. cit., p. 26. Ho integrato
la succinta descrizione di Gamow con G. Johnson, The Ten Most Beautiful
Experiments, Vintage Books, London, 2008, pp. 3-16, che offre un’accurata
descrizione dell’esperimento, risalente al periodo patavino di Galileo. I brogliacci dell’anno 1604, con gli appunti
di mano di Galileo di 104 misurazioni sul piano inclinato, sono stati decifrati
nel 1972 e pubblicati nel 1978 dallo storico della scienza Drake Stillman (ID.,
Galileo at work. His Scientific
Biography, Chicago, University of Chicago Press, 1978). Vedi anche: G. GALILEI, Dialogo sopra i
due massimi sistemi del mondo, a cura di L. Sosio, Einaudi, Torino,
1970, p. 269.
[5] Gamow, op. cit., p. 27.
[6] Op. cit., p. 33.
[7] Gamow, op. cit., pp. 42-43, per tutta la ricostruzione del calcolo
di Newton. Corsivo nell’originale.
[8] Op.cit., ivi. Per il testo
di Newton: Principi, III,
proposizione IV, Teorema IV, tr. it. cit., pp. 619-623.
[9] R. Feynman,
The Theory of Gravitation, in ID., Six Easy Pieces, The
Fundamentals of Physics explained (1963), with an introduction by P.
Davies, Penguin, 1995, pp. 89-113; pp. 101-107.
[10] Sul punto,
per una spiegazione dettagliata: L.
Smolin, The Trouble with Physics, Penguin, 2006, pp. 13-16;
204-216. Si è anche costretti ad
ipotizzare l’esistenza di una “energia oscura”.
[11] I. Newton, Ottica
o trattato sulle riflessioni, rifrazioni, inflessioni e sui colori della luce,
basata sulla quarta edizione, Londra 1730, in: I. Newton, Scritti di ottica,
tr. it. e introduzione di A. Pala, UTET, Torino, 1978, pp. 299-605; pp. 561-563 (si tratta delle Questioni 19,20,21).
[13] I. Newton, Principi
matematici della filosofia naturale, tr. it., introduzione e note di A.
Pala, UTET, Torino, 1977, p. 339.
[14] Op.cit., ivi. Sul problema della
“causa” dell’attrazione in Newton vedi anche:
A. Koyré, op. cit., pp. 136-145, sul quale mi sono in parte basato.
[16] I.B. Cohen,
La nascita di una nuova fisica. Copernico,
Galileo, Keplero, Newton, tr. it. G. Borella, il Saggiatore, Milano, 1974,
p. 190. Vedi inoltre: I. Newton, Principi, tr. it., pp.
155-159.
[17] A. Einstein
e L. Infeld, L’evoluzione della fisica. Sviluppo delle idee dai concetti
iniziali alla relatività ai quanti (1938), tr. it. A. Graziadei, prefazione
di C. Castagnoli, Boringhieri, Torino, 1965, p. 162.
Alcuni Fisici e matematici di oggi congetturano decine di teorie sbagliate, a motivo di cattive applicazioni di filosofia e analisi del linguaggio.
RispondiEliminaInvece gli antichi filosofi italici e greci non hanno mai confuso le antinomie assurde e non costruibili, con i paradossi immaginari della matematica.
La natura materiale sensibile fu ritenuta da loro un modello irreale, mentre il pensiero fu considerato la realtà mentale dell’Essere VERO.
Le ipotesi assurde venivano scartate fin dai primi lemma palesemente illogici, come premesse errate di teorema non costruibili.
Altresì queste ipotesi assurde venivano anche usate come tesi false di rincalzo, proprio per dimostrare le tesi principali VERE.
I matematici odierni invece hanno rovinato la fisica con congetture che sono proprio quelle vecchie dimostrazioni per assurdo, di ciò che non può esistere perché non è costruibile.
Poi le chiamano paradossi e provano a dimostrarle vere.
Queste congetture sono invece antinomie, ovvero contraddizioni irrisolvibili.
I paradossi sono invece sistemi matematici impostati con assioma diversi, ma ciascuno coerente nel proprio sistema.
Pertanto i paradossi non sono assurdità non costruibili in assoluto, ma sono modelli separati e disgiunti tra loro, che non si contraddicono affatto, essendo tutti costruiti con numeri immaginari, in sistema separati e ipotetici.
Infatti esistono diverse geometrie e diverse matematiche tutte coerenti a se stanti e quindi non contraddittorie tra loro, perché sono tutte solo ipotesi immaginarie.
Nell'ESSERE MENTALE però, nessuno di questi teorema è il vero modello della realtà fisica apparente.
NON ESISTONO QUINDI BUCHI NERI, MULTI VERSI, STELLE ESOTICHE CHE SUPERINO IL PRINCIPIO DI ESCLUSIONE DI PAULI E LO STATO DI PLASMA DEGENERE, NON ESISTE IL BOSONE DI HIGGS E NON SONO POSSIBILI I VIAGGI NEL TEMPO.
LA FISICA DELLA RELATIVITA’ E’ DUNQUE MATEMATICA TRAVISATA IN EVENTI MATERIALI, che dimostra invece per assurdo, proprio tutto ciò che la materia non può fare, (raggiungere o addirittura superare la velocità dell’informazione luminosa, contrarsi o essere compressa all’infinito e simili panzane).
Certo coi numeri si può fare anche ciò che la scienza e l’osservazione negano possibile.
In realtà però le super nove esplodono, le stelle di neutroni dissipano l’energia gravitale in velocità di rotazione e calore e non si comprimono affatto in buchi neri.
Ciononostante i matematici pur andando contro le evidenze osservate, aggiungono valori inesistenti di ulteriore gravità nei loro calcoli e s’inventano singolarità inesistenti e impossibili.
Pertanto le loro congetture arbitrarie sono solo dimostrazioni per assurdo, proprio di ciò che non può accadere alla materia.
Concludendo.
E’ difficile ragionare con la logica, con chi ha una volontà di potenza negativa.
Molti sono innamorati degli alieni, dei buchi neri, dei viaggi nel tempo, ma preferiscono che Dio non esista. Stranissimo sentimento questo simile al pessimismo pagano.
Pertanto ad alcuni piace la materia e diviene assurdamente creduto che essa pur essendo chiaramente inerte possa divenire magicamente un insieme sempre più complesso e che quindi si mette infine a ragionare.
In altre parole questi nichilisti credono nel cervello senziente e negano la Mente che realmente pensa.
Gli antichi primi filosofi italici e greci avevano invece genialmente già chiarito che La Mente è l’Essere reale invisibile e che la materia è solo un’idea immaginaria nella Mente.
In pratica tutto ciò è come dire che la fisica quantistica ci parla dell’Essere reale la Mente, e la fisica della relatività ci parla delle cose materiali immaginarie e apparenti, ma solo in forma di modello cibernetico avvertibile ai nostri sensi.
Così va il mondo oggi, dopo l’illuminismo massonico diffuso.
Questa è ritenuta a torto l’era dei lumi e Parmenide, Zenone, Pitagora e Socrate sono ora distorti dai sofisma delle opinioni gratuite.
Vincenzo RUSSO iltachione@alice.it ; www.webalice.it/iltachione.