Si è concluso il
primo tempo del sinodo sulla famiglia e le previsioni si sono brutalmente
avverate.
Il card. Peter Erdo, presidente di questa
conferenza episcopale, ha letto la bozza della Relatio post disceptationem, documento da discutere per redigere il
testo finale che sarà rimesso a Bergoglio.
Da Il
Giornale e da Repubblica, ho ricavato
passaggi testuali quanto mai esaurienti.
Si propone una “sensibilità nuova della
pastorale odierna” per “cogliere la realtà positiva dei matrimoni civili e,
fatte le debite differenze, delle convivenze”.
Ricordate l’eresia suggerita dal Vaticano II,
ove asserisce che nelle false religioni, chiamate chiese e confessioni dei fratelli
separati, vi sono elementi dell’ortodossia utili per la salvezza? Ricordate
Giovanni XXIII che predicava di considerare ciò che unisce e tralasciare un po’
quello che divide? Ecco qua la stessa logica illogica, lo stesso ridicolo
aggiustamento di una cosa impossibile da riparare col metodo indicato. Non è
nemmeno un’eresia presupposta. Un’eresia ha ancora una parvenza di costruzione
sistematica. Questo procedimento resta senza costrutto, da esso trapela perciò
l’impostura, e miete consenso nell’ordine demagogico, nel campo della vasta ignoranza
ingenua, ignava o sentimentale.
Tutto già scritto. Ciò che ancora fa provare
rammarico è l’inerzia dei difensori delle verità elementari, i quali, anziché
affidarsi vilmente alla speranza che il Cielo compia il loro dovere, avrebbero
dovuto alzarsi, puntare il dito accusatore e andarsene fuori da un consesso
corrotto, sbattendo la porta e cacciando via la polvere dai propri calzari.
Se cerchiamo nell’Isis o nel nazismo qualche
cosa di buono, state certi che lo si trova; per esempio, l’osservanza delle
devozioni o la cura dell’ordine pubblico. Ma Isis e nazismo sono esecrabili di
per sé. Invece le “convivenze”
sarebbero un disordine morale e religioso non omicida, un’infrazione da capire
e forse da compatire. Invece il regime del divorzio e delle convivenze fanno
morti spirituali, conducono dritto al peccato mortale, e questi prelati che
hanno comprensione e prevedono rimedi impossibili usurpano il titolo di
cattolici.
“Occorre che nella proposta ecclesiale - pur
presentando con chiarezza l’ideale [come non intendere la malizia in questo
“ideale” che richiama la perfezione
riservata ai monaci?] – indichiamo anche elementi costruttivi in quelle
situazioni che non corrispondono ancora o non più a tale richiesta”.
Lo sviluppo del concetto toglie ogni
ripensamento su quanto sopra stigmatizzato.
Si prosegue accennando ai motivi dell’indirizzo
da adottare con “cammini pastorali nuovi, che partano dall’effettiva realtà
delle fragilità familiari” e considerino situazioni “più subite che scelte in
piena libertà”.
La società, “la logica del mercato” sono
responsabili della “miseria materiale” che “spinge a vivere in unioni di
fatto”.
Il congedo preso dalla morale è ora completo.
Basterebbe uno stato di disagio, di sofferenza, per giustificare abbastanza
un’infrazione mortifera come il divorzio o il concubinato! Alla stessa stregua,
come mai il Vaticano oggi non scusa certe disobbedienze tradizionaliste nei
suoi riguardi? Con ciò, si badi, non tralasciamo il dovere attuale di
disobbedirgli. Ma disobbedire a Dio sembra un atto meno grave, nell’atmosfera
ammorbata di questo consesso.
Vengono bensì nominati i “fattori sia
personali che culturali e socio-economici”. “Non è saggio pensare a soluzioni
uniche o ispirate alla logica del tutto o
niente”.
I sofisti devono pure gongolare, se tendono
l’orecchio dalla loro tomba degli inferi. Infatti il criterio è affermato in modo
generico, sicché, invocata la saggezza, la legge eterna, la regola, il tutto o niente diviene sconsiderato.
E, per infrangere le presunte estreme
obiezioni di chi si attiene ai comandamenti del Vecchio e del Nuovo Testamento,
si gettano avanti i “casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio
costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partner”. Dunque: apprezzare
di “più i valori positivi che custodiscono, anziché i limiti e le mancanze”.
Con questo, il relatore – che porta pena… - e
coloro che approvano il documento hanno abbracciato la loro condanna.
“Occorre accogliere le persone con la loro
esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiarne il desiderio di
Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa, anche di chi ha
sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate”.
Traduzione: i divorziati risposati e simili vanno
accolti e sostenuti spiritualmente secondo i novelli procedimenti.
Per l’accesso alla Comunione viene concesso
un preventivo “cammino penitenziale [non specificato!] sotto la responsabilità
del vescovo diocesano [di manica larga o forse di manica stretta], con un
impegno chiaro [chiaro soltanto questo? e, poi, quale?] in favore dei figli”.
Si tratterebbe di “una possibilità non
generalizzata, frutto di un discernimento attuato caso per caso”.
Un simile “discernimento” indefinito
significa prendersi gioco della dottrina dogmatica e dei suoi fedeli. Il
discernimento deve osservare la norma ecclesiastica di sempre: la penitenza può
consistere soltanto, insieme alla remissione del peccato commesso, nel porre
rimedio ad esso; e il modo è quello di sempre: rispettare l’unico matrimonio
validamente contratto, ossia il matrimonio indissolubile, ripristinandolo ove
sia possibile, altrimenti sciogliendo altri vincoli non valevoli e conservando
la castità.
Per dare una mano alla disobbedienza a Gesù
Cristo, il documento invita i vescovi a rendere più celeri e semplificate le
cause in cui si decide della nullità dei matrimoni.
L’autocondanna non finisce qui; prosegue
riguardo alle unioni omosessuali.
“Le persone omosessuali hanno doti e qualità
da offrire alla comunità cristiana” - La scivolata, anche illogica, è
conseguente alla parzialità dei redattori e rivela la loro pochezza avvocatesca:
semmai gli omosessuali possono avere
doti e, sottomettendosi a certe condizioni, possono
giovare alla comunità. - Perciò bisogna essere “in grado di accogliere
queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre
comunità”. “Spesso esse desiderano incontrare una chiesa accogliente per loro.
Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro
orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e
matrimonio?”
Sarebbe d’obbligo “elaborare cammini
realistici di crescita effettiva e di maturità umana ed evangelica integrando
la dimensione sessuale”.
L’omissione macroscopica, a ben vedere, è
figlia di quella che tace sulla peste dell’eresia. Per negare che l’eresia e
l’eretico dedito a propagarla siano pestiferi, bisognerebbe impugnare le
risoluzioni dogmatiche di Papi e Concili.
Orbene, l’omosessuale sedicente cattolico deciso
a ritenere lecita la pratica sodomitica o lesbica è una fonte di scandalo e di infezione,
che i preti ignorano con colpa grave.
“Le unioni tra persone dello stesso sesso non
possono essere equiparate al matrimonio tra uomo e donna”.
Troppo poco. Le “unioni tra persone dello
stesso sesso” con ciò che normalmente comportano gridano vendetta al cospetto
di Dio, e guai a sottacerlo!
“Inoltre, la Chiesa ha attenzione speciale
verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al
primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli”.
Come ci sono capitati i bambini i quelle coppie
contro natura? Quali sono i diritti preminenti dei piccoli? La mancanza delle precisazioni
e del biasimo rivolto alle adozioni di quelle coppie desta un orrore
sacrosanto.
Piero Nicola
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