Il rapporto tra musulmani ed ebrei non fu
sempre tormentato. Il radicalismo di Hamas, "che vuole eliminare gli
ebrei", come sostiene Fiamma Nirestein, alla fine dei XIX secolo non
era pensabile [1]. Nei vasti domini dell’impero turco, infatti,
le minoranze ebraiche godevano di una certa tranquillità e di un relativo
benessere. Neppure l’immigrazione in Palestina, avviata nel 1897 dal movimento
sionista fondato da Theodor Herzl /1860-1904), suscitò reazioni ostili fra i musulmani.
Lo
storico russo Leonid Mlečin, autore di un ampio e pregevole saggio, che nel
titolo sembra unicamente impegnato a sottolineare il decisivo contributo di
Stalin alla fondazione e alla sopravvivenza dello Stato di Israele, nel testo
elenca tutte le notizie necessarie a un approccio senza pregiudizi alla spinosa
questione palestinese, rammenta, infatti, che “I rapporti tra le due comunità erano stati sereni fino all’inizio della
Prima guerra mondiale: molti ebrei, specie a Gerusalemme, parlavano l’arabo e i
bambini ebrei e arabi giocavano insieme" [2].
Purtroppo
la pace in Palestina, prima della Grande Guerra, dipendeva da condizioni
precarie e da instabili equilibri: la sopravvivenza di un impero fatiscente
come quello turco, l'attenuazione del nazionalismo arabo per l'influsso dei
turchi e il mantenimento del fiducioso giudizio dei palestinesi sulle finalità
umanitarie e non politiche del focolare
ebraico progettato dai sionisti.
L’esito
della prima guerra mondiale, la conseguente dissoluzione dell’impero ottomano,
l'improvvisa risorgimento dell'estremismo islamico e del nazionalismo arabo,
l’inavvertenza anglo-francese dell’insorgente ostilità palestinese contro gli
ebrei, i macroscopici errori e le decisioni ora insensate ora ciniche dell'autorità
anglo-francese subentrante al potere turco, trasformarono una situazione
tranquilla se non pacifica in un potenziale scenario di rivalità e di odio.
Giustamente
Mlečin sostiene che gli ebrei commisero un errore irreparabile ignorando i
mutamenti in atto a loro sfavore nella mentalità degli ospitanti palestinesi.
Il leader sionista David Ben Gurion (1886-1973), ad esempio, nutriva un’idea
ingenua e semplicistica degli arabi di fede musulmana, un’immagine che non
contemplava la radice fanatica della loro latente/incombente ostilità e
alimentava una disarmata fiducia nella buona disposizione del presunto sangue fraterno.
Il
futuro capo dello stato israeliano sottovalutava le profonde insorgenze
religiose, culturali e comportamentali causate dalla fedeltà al Corano e perciò
confidava in un’amicizia araba fondata nella comune origine biologica.
L'errore,
dettato dalla mitologia buonista scorazzante nel XIX secolo, indusse Ben Gurion
a sostenere che “Non c’è dubbio che nelle
loro [dei palestinesi di fede musulmana]
vene scorre molto sangue ebraico. Sangue di quegli
ebrei che, in tempi difficili, preferirono ricusare la loro fede, pur di
conservare la loro terra … Non viviamo insieme da mille cinquecento anni, ma essi sono restati sangue del nostro
sangue, carne della nostra carne, e i rapporti tra noi e loro non possono che
essere fraterni …”.
L'illusione
ecumenica sull'Islam è quasi invincibile e non soltanto nell'ambiente ebraico.
Giovanni Paolo II, pur sapendo che "L'islamismo non è una religione di
redenzione. Non vi è spazio in esso per la Croce e la Risurrezione" [3], invitò i
rappresentanti dell'Islam all'infelice festa sincretista di Assisi e in visita
a una mosche baciò il Corano come se fosse un libro sacro.
Causa
di sciagure furono, in seguito, gli errori madornali, le ridicole giravolte, le
grottesche liti al vertice (memorabile quella fra il presidente Truman e il
generale Marshall) e le imperdonabili ingiustizie da addebitare al cinismo e
all’ideologia economicistica, radice
dell’ossessione petrolifera che provocava la continua
fibrillazione/oscillazione della politica estera inglese e americana.
La
lettera che il ministro degli esteri di Gran Bretagna, Lord Arthur James
Balfour, indirizzò a Rothschild in data 2 novembre 1917, per dichiarare “la simpatia del Governo di Sua Maestà per le
aspirazioni ebraiche sioniste” è un esempio lampante di untuosa reticenza e
cinica ambiguità.
Mlečin
dimostra, infatti, che Balfour non chiarì il fine della sua dichiarazione, vale
a dire non precisò “se si trattava della
promessa di aiutare gli ebrei a creare un proprio stato o della semplice
intenzione di garantire loro una qualche autonomia in Palestina”.
L’elusiva
e ambigua dichiarazione di Lord Balfour fu interpretata dagli arabi in senso
restrittivo e perciò ottenne da loro una buona accoglienza.
Nel
gennaio del 1919, Feisal, re di Siria, s’impegnò addirittura ad accogliere
amichevolmente gli immigrati, dichiarando che “Agli ebrei diciamo con calore benvenuti a casa!”.
Se non
che la diplomazia britannica, con decisione cervellotica, depose Feisal dal
trono della Siria e lo trasferì su quello dell’Iraq, facendo cadere
l'opportunità costituita dalla sua disposizione al compromesso e facilitandone
il passaggio all’agguerrito fronte antisionista.
In seguito,
la dipendenza occidentale dai rifornimenti di petrolio greggio dai pozzi
dell’Arabia e i sospetti sulle simpatie degli israeliani per l’Unione sovietica
abbassarono e quasi rovesciarono l’impegno dei governi inglese e americano a
favore della causa sionista.
Al
termine di una interminabile sequela di decisioni contraddittorie, accadde che
la legittimità dello stato d’Israele fu decisa dall’Onu con voto determinante
dell’Unione sovietica (decisione inattesa e inspiegabile, dal momento che
Stalin aveva già iniziato una spietata azione persecutoria nei confronti degli
ebrei residenti in Unione sovietica).
La
costituzione dello stato ebraico scatenò l’immediata reazione degli arabi, i
quali, fiduciosi nell’amicizia petrolifera
degli anglo-americani e nella qualità delle armi da loro fornite, dichiararono
la guerra a Israele.
Fu una
guerra paradossale, combattuta dagli arabi con armi fornite dagli inglesi e
vinta dagli ebrei con le armi fornite dai sovietici.
Mlečin
a questo punto elenca anche gli errori all’origine della sconfitta politica
prima che militare degli arabi: “Se nel
1919 gli arabi non si fossero opposti
alla dichiarazione Balfour l’esigua popolazione ebraica di Palestina non
avrebbe ottenuto che una limitata autonomia ... se alla vigilia della seconda
guerra mondiale avessero accolto la proposta britannica di costituire in
Palestina un minuscolo stato ebraico e un grande stato arabo, Israele sarebbe
risultato veramente minuscolo … nel 1947.
infine tra la possibilità di costituire uno stato sul territorio
assegnato loro dalle Nazioni Unite e la lotta per avere l’intera Palestina
scelsero quest’ultima ”
Le
utopie pseudo-apocalittiche, i calcoli errati, le scelte immorali e demenziali
e le acrobatiche giravolte di tutti contro tutti, arabi contro ebrei, ebrei
contro arabi, inglesi contro ebrei, russi contro inglesi, americani contro
russi, americani oscillanti tra la dipendenza dai petrolieri arabi e una
simpatia per i coloni ebrei suscitata dalla lobby sionista, russi a sostegno
degli ebrei per dispetto…
L’intreccio
di pensieri viscerali, di progetti senza fondamento storico, di calcoli
sballati, di interessi indecenti e di impulsi senza controllo, costituiscono
una camera oscura dove è consigliabile non prestare ascolto alle sirene
mediatiche, che urlano da una parte o dall’altra.
Conviene
considerare con cautela e indipendenza di giudizio una vicenda che ha già
squalificato numerosi commentatori e appassionati tifosi politici.
Va da sé che la premessa alla pace è il ritiro
degli israeliani dai territori palestinesi, un atto di saggezza e di
lungimiranza più volte sollecitato dal magistero cattolico.
L'unica iniziativa che può avvicinare una
soluzione dell'annoso conflitto è nascosta nella memorabile sentenza di Paolo
VI: il nome della pace è sviluppo.
Lo
sviluppo dell'economia e della società palestinese è l'unica soluzione atta a
frenare quel risentimento dei palestinesi che è stato coltivato e incrementato
dagli agenti dell'estremismo e dai seminatori di odio pseudoreligioso.
Un piano Marshall per la Palestina è la sola
impresa seria che l’Europa deve avviare, se intende scongiurare l’incombente
tragedia di una guerra dal profilo apocalittico.
D'altra parte, l’Europa ha interesse alla
pace, ma non ha i titoli e l'autorità necessari a stabilire dove sta la ragione
storica.
Sarebbe un gesto folle mettere l’ermellino
della sapienza giuridica sulle spalle dell’Europa e mandarla a sentenziare in
Medio Oriente.
Stretta dai pensieri duellanti tra destra e sinistra, il tribunale europeo
non saprebbe produrre un qualunque giudizio.
Conviene dunque rinunciare al giudizio e
tentare la via dell’azione a sostegno dello sviluppo in Palestina. C’è
un'opportunità per la pace, quando si mettono da parte le chiacchiere e si
percorre l'onesta via del fare.
Piero Vassallo
[1] Cfr. Israele, il diavolo a prescindere, in Aa. Vv. , Non perdiamo la testa Il
dovere di difenderci dalla violenza dell'Islam", supplemento al Giornale,
maggio 2014.
[2] Cfr.:Perché Stalin creò Israele, prefazione di Luciano Canfora,
introduzione di Enrico Mentana, Sandro Teti editore, Roma 2008
[3] Cfr.
Giovanni Paolo II e Vittorio Messori, Varcare le soglie della speranza,
Mondadori, Milano 1995.
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