sabato 25 ottobre 2014

La spinosa questione palestinese

Il rapporto tra musulmani ed ebrei non fu sempre tormentato. Il radicalismo di Hamas, "che vuole eliminare gli ebrei", come sostiene Fiamma Nirestein, alla fine dei XIX secolo non era pensabile [1].   Nei vasti domini dell’impero turco, infatti, le minoranze ebraiche godevano di una certa tranquillità e di un relativo benessere. Neppure l’immigrazione in Palestina, avviata nel 1897 dal movimento sionista fondato da Theodor Herzl /1860-1904), suscitò reazioni ostili fra i musulmani.
 Lo storico russo Leonid Mlečin, autore di un ampio e pregevole saggio, che nel titolo sembra unicamente impegnato a sottolineare il decisivo contributo di Stalin alla fondazione e alla sopravvivenza dello Stato di Israele, nel testo elenca tutte le notizie necessarie a un approccio senza pregiudizi alla spinosa questione palestinese, rammenta, infatti, che “I rapporti tra le due comunità erano stati sereni fino all’inizio della Prima guerra mondiale: molti ebrei, specie a Gerusalemme, parlavano l’arabo e i bambini ebrei e arabi giocavano insieme" [2]
 Purtroppo la pace in Palestina, prima della Grande Guerra, dipendeva da condizioni precarie e da instabili equilibri: la sopravvivenza di un impero fatiscente come quello turco, l'attenuazione del nazionalismo arabo per l'influsso dei turchi e il mantenimento del fiducioso giudizio dei palestinesi sulle finalità umanitarie e non politiche del focolare ebraico progettato dai sionisti.
 L’esito della prima guerra mondiale, la conseguente dissoluzione dell’impero ottomano, l'improvvisa risorgimento dell'estremismo islamico e del nazionalismo arabo, l’inavvertenza anglo-francese dell’insorgente ostilità palestinese contro gli ebrei, i macroscopici errori e le decisioni ora insensate ora ciniche dell'autorità anglo-francese subentrante al potere turco, trasformarono una situazione tranquilla se non pacifica in un potenziale scenario di rivalità e di odio.
 Giustamente Mlečin sostiene che gli ebrei commisero un errore irreparabile ignorando i mutamenti in atto a loro sfavore nella mentalità degli ospitanti palestinesi. Il leader sionista David Ben Gurion (1886-1973), ad esempio, nutriva un’idea ingenua e semplicistica degli arabi di fede musulmana, un’immagine che non contemplava la radice fanatica della loro latente/incombente ostilità e alimentava una disarmata fiducia nella buona disposizione del presunto sangue fraterno.
 Il futuro capo dello stato israeliano sottovalutava le profonde insorgenze religiose, culturali e comportamentali causate dalla fedeltà al Corano e perciò confidava in un’amicizia araba fondata nella comune origine biologica.
 L'errore, dettato dalla mitologia buonista scorazzante nel XIX secolo, indusse Ben Gurion a sostenere che “Non c’è dubbio che nelle loro [dei palestinesi di fede musulmana] vene  scorre molto sangue ebraico. Sangue di quegli ebrei che, in tempi difficili, preferirono ricusare la loro fede, pur di conservare la loro terra … Non viviamo insieme da mille cinquecento anni, ma essi sono restati sangue del nostro sangue, carne della nostra carne, e i rapporti tra noi e loro non possono che essere fraterni …”.
 L'illusione ecumenica sull'Islam è quasi invincibile e non soltanto nell'ambiente ebraico. Giovanni Paolo II, pur sapendo che "L'islamismo non è una religione di redenzione. Non vi è spazio in esso per la Croce e la Risurrezione" [3], invitò i rappresentanti dell'Islam all'infelice festa sincretista di Assisi e in visita a una mosche baciò il Corano come se fosse un libro sacro.
 Causa di sciagure furono, in seguito, gli errori madornali, le ridicole giravolte, le grottesche liti al vertice (memorabile quella fra il presidente Truman e il generale Marshall) e le imperdonabili ingiustizie da addebitare al cinismo e all’ideologia economicistica, radice  dell’ossessione petrolifera che provocava la continua fibrillazione/oscillazione della politica estera inglese e americana. 
 La lettera che il ministro degli esteri di Gran Bretagna, Lord Arthur James Balfour, indirizzò a Rothschild in data 2 novembre 1917, per dichiarare “la simpatia del Governo di Sua Maestà per le aspirazioni ebraiche sioniste” è un esempio lampante di untuosa reticenza e cinica ambiguità.
 Mlečin dimostra, infatti, che Balfour non chiarì il fine della sua dichiarazione, vale a dire non precisò “se si trattava della promessa di aiutare gli ebrei a creare un proprio stato o della semplice intenzione di garantire loro una qualche autonomia in Palestina”.
 L’elusiva e ambigua dichiarazione di Lord Balfour fu interpretata dagli arabi in senso restrittivo e perciò ottenne da loro una buona accoglienza.
 Nel gennaio del 1919, Feisal, re di Siria, s’impegnò addirittura ad accogliere amichevolmente gli immigrati, dichiarando che “Agli ebrei diciamo con calore benvenuti a casa!”.
 Se non che la diplomazia britannica, con decisione cervellotica, depose Feisal dal trono della Siria e lo trasferì su quello dell’Iraq, facendo cadere l'opportunità costituita dalla sua disposizione al compromesso e facilitandone il passaggio all’agguerrito fronte antisionista.
 In seguito, la dipendenza occidentale dai rifornimenti di petrolio greggio dai pozzi dell’Arabia e i sospetti sulle simpatie degli israeliani per l’Unione sovietica abbassarono e quasi rovesciarono l’impegno dei governi inglese e americano a favore della causa sionista.
 Al termine di una interminabile sequela di decisioni contraddittorie, accadde che la legittimità dello stato d’Israele fu decisa dall’Onu con voto determinante dell’Unione sovietica (decisione inattesa e inspiegabile, dal momento che Stalin aveva già iniziato una spietata azione persecutoria nei confronti degli ebrei residenti in Unione sovietica).
 La costituzione dello stato ebraico scatenò l’immediata reazione degli arabi, i quali, fiduciosi nell’amicizia petrolifera degli anglo-americani e nella qualità delle armi da loro fornite, dichiararono la guerra a Israele.
  Fu una guerra paradossale, combattuta dagli arabi con armi fornite dagli inglesi e vinta dagli ebrei con le armi fornite dai sovietici.
 Mlečin a questo punto elenca anche gli errori all’origine della sconfitta politica prima che militare degli arabi: “Se nel 1919 gli arabi  non si fossero opposti alla dichiarazione Balfour l’esigua popolazione ebraica di Palestina non avrebbe ottenuto che una limitata autonomia ... se alla vigilia della seconda guerra mondiale avessero accolto la proposta britannica di costituire in Palestina un minuscolo stato ebraico e un grande stato arabo, Israele sarebbe risultato veramente minuscolo … nel 1947.  infine tra la possibilità di costituire uno stato sul territorio assegnato loro dalle Nazioni Unite e la lotta per avere l’intera Palestina scelsero quest’ultima
 Le utopie pseudo-apocalittiche, i calcoli errati, le scelte immorali e demenziali e le acrobatiche giravolte di tutti contro tutti, arabi contro ebrei, ebrei contro arabi, inglesi contro ebrei, russi contro inglesi, americani contro russi, americani oscillanti tra la dipendenza dai petrolieri arabi e una simpatia per i coloni ebrei suscitata dalla lobby sionista, russi a sostegno degli ebrei per dispetto…
  L’intreccio di pensieri viscerali, di progetti senza fondamento storico, di calcoli sballati, di interessi indecenti e di impulsi senza controllo, costituiscono una camera oscura dove è consigliabile non prestare ascolto alle sirene mediatiche, che urlano da una parte o dall’altra.
 Conviene considerare con cautela e indipendenza di giudizio una vicenda che ha già squalificato numerosi commentatori e appassionati tifosi politici. 
 Va da sé che la premessa alla pace è il ritiro degli israeliani dai territori palestinesi, un atto di saggezza e di lungimiranza più volte sollecitato dal magistero cattolico.  
 L'unica iniziativa che può avvicinare una soluzione dell'annoso conflitto è nascosta nella memorabile sentenza di Paolo VI: il nome della pace è sviluppo.  
 Lo sviluppo dell'economia e della società palestinese è l'unica soluzione atta a frenare quel risentimento dei palestinesi che è stato coltivato e incrementato dagli agenti dell'estremismo e dai seminatori di odio pseudoreligioso.     
 Un piano Marshall per la Palestina è la sola impresa seria che l’Europa deve avviare, se intende scongiurare l’incombente tragedia di una guerra dal profilo apocalittico.
 D'altra parte, l’Europa ha interesse alla pace, ma non ha i titoli e l'autorità necessari a stabilire dove sta la ragione storica.
 Sarebbe un gesto folle mettere l’ermellino della sapienza giuridica sulle spalle dell’Europa e mandarla a sentenziare in Medio Oriente.
 Stretta dai pensieri duellanti  tra destra e sinistra, il tribunale europeo non saprebbe produrre un qualunque giudizio.
 Conviene dunque rinunciare al giudizio e tentare la via dell’azione a sostegno dello sviluppo in Palestina. C’è un'opportunità per la pace, quando si mettono da parte le chiacchiere e si percorre l'onesta via del fare.

Piero Vassallo





[1]             Cfr. Israele, il diavolo a prescindere,  in Aa. Vv. , Non perdiamo la testa Il dovere di difenderci dalla violenza dell'Islam", supplemento al Giornale, maggio 2014.
[2]             Cfr.:Perché Stalin creò Israele, prefazione di Luciano Canfora, introduzione di Enrico Mentana, Sandro Teti editore, Roma 2008
[3]             Cfr. Giovanni Paolo II e Vittorio Messori, Varcare le soglie della speranza, Mondadori, Milano 1995.

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