Cicerone
e Plutarco
Le sfide di due dotti
pagani all'insipienza degli atei
Nei due secoli che
prepararono la corruzione/dissoluzione della mitologia pagana e il trionfo del
Cristianesimo, la cultura classica, benché quasi esausta, educò il romano Marco
Tullio Cicerone (106 a .
C. - 43 a .
C.) e il greco Plutarco di Cheronea (4 -120 d. C.), i due protagonisti della
animosa ma disperata resistenza alla corruzione dei costumi.
I due
pensatori che osarono sfidare la cultura crepuscolare, fomite del vizio, malattia
sociale causata dalla diffusione del materialismo a sfondo edonistico, cioè
della disordinata mentalità di stampo ateista, che si era sovrapposta a una
religiosità discesa al livello dei riti officiati da oligarchi miscredenti.
L'opera
dei due pensatori resistenti alla barbarie dei sensi avanzante
nell'impero romano al seguito di un pensiero a struttura nichilistica, oggi
dovrebbe interessare il qualunque osservatore attento e allarmato dalla
metamorfosi propriamente thanatofila di quelle ideologie moderne, che hanno
avvelenato la Cristianità.
Cicerone,
ad esempio, rappresenta la insorgenza del senso comune contro il Grande Nulla,
che, in secoli lontani dalle scorrerie nelle desolate colonne dei giornali
postmoderni, circolava nei costumi dell'alta e bassa società romana,
branco diseducato e corrotto dal materialismo di stampo epicureo.
Nelle avvincenti
pagine del Somnium Scipionis, Cicerone affermò, infatti, l'esistenza
dell'aldilà felice, che è destinato per l'eternità agli uomini virtuosi.
La beatitudine
predicata dal geniale pensatore romano era irriducibile al tetro
pessimismo/nichilismo di Epicuro ed esorbitante rispetto alla religione pagana, che contemplava un al di là oscuro e
desolato, in cui gli eroi dichiaravano di preferire la penosa condizione dello
schiavo vivente alla gloriosa eternità dei defunti.
Non per
caso le opere di Cicerone, il grande scrittore dei pagani assassinato
dall'oligarchia tracotante e corruttrice, influenzarono lo stile di
Sant'Agostino, il quale, pur deplorando (senza ecumenici scrupoli) il
conformismo, che indusse l'arpinate a professare pubblicamente la fede nelle
divinità del paganesimo, ne riconobbe tuttavia la provvidenziale
ragionevolezza, "è stato costretto in certo senso ad ammettere la
grazia divina nel professare non una qualsiasi ma la vera filosofia" [1],
e ne elogiò il nobile stile, "ciò che Tullio dice tocca il cuore di
tutti" [2].
Allievo
del platonico Ammonio e sacerdote del tempio di Delfi, Plutarco, quasi
sviluppando la polemica socratica contro il folle edonismo dei sofisti [3], fu il più risoluto ed efficace critico del
materialismo e dell'edonismo di matrice epicurea.
Nel
dialogo Non si può vivere felicemente al seguito di Epicuro, Plutarco,
quasi prevedendo l'esito masochistico dell'edonismo antico e moderno, confutò
l'assurda opinione degli epicurei, secondo cui il bene compete al ventre e a
tutti gli altri pori della carne, rammentando che "essi prendono come
fondamento del bene una cosa meschina e di cattiva lega e instabile, ma attraverso
questi pori per i quali accolgono i piaceri, ugualmente aperta ai dolori, anzi
atta a ricevere i piaceri in poche parti e i dolori in molte" [4].
A
proposito degli epicurei, di seguito, Plutarco fa pronunciare a Zeusippo una
sentenza che si può facilmente rovesciare sulla associazione di edonismo ed
estenuazione cosmetica: "quando li senti protestare e gridare che in
nessuna cosa del mondo l'anima trova la tranquillità se non nei piaceri del
corpo, presenti o sperati, e che questo è il suo bene, non ti pare che essi si
servano dell'anima come colino che fa da filtro del corpo e, travasando in essa
il piacere, come se fosse vino, da un vaso non buono e lasciandovelo
invecchiare credano di renderlo una cosa più nobile e più preziosa?"
A
proposito dello sfinimento mentale da sempre in atto nei seguaci del piacere ad
ogni costo, Plutarco scrive: "a costoro giunge gradito il ricordo delle
cose godute, ma dal rimasuglio sbiadito e vuoto di un piacere esso fa sorgere
violenta la furia e il pungolo del desiderio che si manifesta apertamente ...
onde si mettono a calcolare, come in un registro, ciò che faceva Epicuro ... e
quante volte sono andati con Edia e con Leontio [due etere iniziate al
pensiero epicureo] o dove hanno bevuto vino o hanno pranzato sontuosamente".
Finalmente
è svelata e ridicolizzata la causa illusoria dell'edonismo estremo: "Nessuno
di noi può prestar fede ad Epicuro quando dice che morendo fra gli acutissimi
dolori della malattia, in compenso era accompagnato dalla memoria dei piaceri
goduti prima, perché si riconosca più facilmente l'immagine di un viso nel
fondo di un'acqua sconvolta e fluttuante che la memoria sorridente di un
piacere in una così grande agitazione e convulsione del corpo".
Il
volto di Epicuro che, nella sua gongolante agonia, sprofondava nell'acqua
sconvolta, è purtroppo simile al volto della folla in delirio per i piaceri.
L'attualità
di Plutarco, dunque, si manifesta a coloro che riflettono sul tuffo rovesciato
della rivoluzione, da Marx ad Epicuro, dal sogno socialista all'incubo
bancario, dal progetto inteso a fondare la perfetta società dei lavoratori
all'orientamento dell'esistenza verso la tranquilla immersione nel
Grande Nulla di epicurea memoria.
Nei
testi di Plutarco, in ultima analisi si può leggere la previsione
dell'umiliante catastrofe dell'ideologia progressista, che, fino al 1989,
rappresentava la gloriosa avanguardia del mondo moderno.
L'intransigente
polemica condotta da Plutarco contro gli epicurei pertanto merita di diventare
oggetto di meditazione da parte dei cattolici immersi nel tepore/torpore
prodotto dall'acqua buonista riscaldata dal falso ecumenismo e mossa dalla
paura destata da una fallimentare rivoluzione.
Piero Vassallo
[1] "Philosophia prodesse dicunt docti huius saeculi, quam dii quibusdam paucis, ait Tullius, veram
dederunt. Usque
adeo et ipsi, contra quos agimus, quoque modo,. compulsi sunt in habenda non
quacumque sed vera philosophia divinam gratiam confiteri", De Civitate
Dei, 22,4
[2] "Omniun pectora sic attingit, ut cogat in gemitum quod
ait Tullius, cfr.: De Civitate Dei, 19,5. Al riguardo cfr. anche
Virginia Guazzoni Foà, Storia del
pensiero occidentale Dalle origini alla chiusura della scuola di Atene,
Marzorati, Milano1977, pag. 316 e seguenti.
[3] Nel Protagora,
Socrate confuta e ridicolizza la dottrina dei sofisti, secondo cui il vero bene
coincide con il piacere vissuto fino alle più paradossali conseguenze.
[4] Cfr. Plutarco. Contro Epicuro, a cura di Adelmo
Barigazzi, La Nuova Italia, Imola 1978.
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