martedì 7 ottobre 2014

Le sfide di due dotti pagani all'insipienza degli atei

Cicerone e Plutarco

Le sfide di due dotti pagani all'insipienza degli atei

 Nei due secoli che prepararono la corruzione/dissoluzione della mitologia pagana e il trionfo del Cristianesimo, la cultura classica, benché quasi esausta, educò il romano Marco Tullio Cicerone (106 a. C. - 43 a. C.) e il greco Plutarco di Cheronea (4 -120 d. C.), i due protagonisti della animosa ma disperata resistenza alla corruzione dei costumi.
 I due pensatori che osarono sfidare la cultura crepuscolare, fomite del vizio, malattia sociale causata dalla diffusione del materialismo a sfondo edonistico, cioè della disordinata mentalità di stampo ateista, che si era sovrapposta a una religiosità discesa al livello dei riti officiati da oligarchi miscredenti.
 L'opera dei due pensatori resistenti alla barbarie dei sensi avanzante nell'impero romano al seguito di un pensiero a struttura nichilistica, oggi dovrebbe interessare il qualunque osservatore attento e allarmato dalla metamorfosi propriamente thanatofila di quelle ideologie moderne, che hanno avvelenato la Cristianità.
 Cicerone, ad esempio, rappresenta la insorgenza del senso comune contro il Grande Nulla, che, in secoli lontani dalle scorrerie nelle desolate colonne dei giornali postmoderni, circolava nei costumi dell'alta e bassa società romana, branco diseducato e corrotto dal materialismo di stampo epicureo.
 Nelle avvincenti pagine del Somnium Scipionis, Cicerone affermò, infatti, l'esistenza dell'aldilà felice, che è destinato per l'eternità agli uomini virtuosi.
 La beatitudine predicata dal geniale pensatore romano era irriducibile al tetro pessimismo/nichilismo di Epicuro ed esorbitante rispetto alla religione  pagana, che contemplava un al di là oscuro e desolato, in cui gli eroi dichiaravano di preferire la penosa condizione dello schiavo vivente alla gloriosa eternità dei defunti.
 Non per caso le opere di Cicerone, il grande scrittore dei pagani assassinato dall'oligarchia tracotante e corruttrice, influenzarono lo stile di Sant'Agostino, il quale, pur deplorando (senza ecumenici scrupoli) il conformismo, che indusse l'arpinate a professare pubblicamente la fede nelle divinità del paganesimo, ne riconobbe tuttavia la provvidenziale ragionevolezza, "è stato costretto in certo senso ad ammettere la grazia divina nel professare non una qualsiasi ma la vera filosofia" [1], e ne elogiò il nobile stile, "ciò che Tullio dice tocca il cuore di tutti"  [2].   
 Allievo del platonico Ammonio e sacerdote del tempio di Delfi, Plutarco, quasi sviluppando la polemica socratica contro il folle edonismo dei sofisti [3],  fu il più risoluto ed efficace critico del materialismo e dell'edonismo di matrice epicurea.
 Nel dialogo Non si può vivere felicemente al seguito di Epicuro, Plutarco, quasi prevedendo l'esito masochistico dell'edonismo antico e moderno, confutò l'assurda opinione degli epicurei, secondo cui il bene compete al ventre e a tutti gli altri pori della carne, rammentando che "essi prendono come fondamento del bene una cosa meschina e di cattiva lega e instabile, ma attraverso questi pori per i quali accolgono i piaceri, ugualmente aperta ai dolori, anzi atta a ricevere i piaceri in poche parti e i dolori in molte" [4].
 A proposito degli epicurei, di seguito, Plutarco fa pronunciare a Zeusippo una sentenza che si può facilmente rovesciare sulla associazione di edonismo ed estenuazione cosmetica: "quando li senti protestare e gridare che in nessuna cosa del mondo l'anima trova la tranquillità se non nei piaceri del corpo, presenti o sperati, e che questo è il suo bene, non ti pare che essi si servano dell'anima come colino che fa da filtro del corpo e, travasando in essa il piacere, come se fosse vino, da un vaso non buono e lasciandovelo invecchiare credano di renderlo una cosa più nobile e più preziosa?" 
 A proposito dello sfinimento mentale da sempre in atto nei seguaci del piacere ad ogni costo, Plutarco scrive: "a costoro giunge gradito il ricordo delle cose godute, ma dal rimasuglio sbiadito e vuoto di un piacere esso fa sorgere violenta la furia e il pungolo del desiderio che si manifesta apertamente ... onde si mettono a calcolare, come in un registro, ciò che faceva Epicuro ... e quante volte sono andati con Edia e con Leontio [due etere iniziate al pensiero epicureo] o dove hanno bevuto vino o hanno pranzato sontuosamente".
 Finalmente è svelata e ridicolizzata la causa illusoria dell'edonismo estremo: "Nessuno di noi può prestar fede ad Epicuro quando dice che morendo fra gli acutissimi dolori della malattia, in compenso era accompagnato dalla memoria dei piaceri goduti prima, perché si riconosca più facilmente l'immagine di un viso nel fondo di un'acqua sconvolta e fluttuante che la memoria sorridente di un piacere in una così grande agitazione e convulsione del corpo". 
 Il volto di Epicuro che, nella sua gongolante agonia, sprofondava nell'acqua sconvolta, è purtroppo simile al volto della folla in delirio per i piaceri.
 L'attualità di Plutarco, dunque, si manifesta a coloro che riflettono sul tuffo rovesciato della rivoluzione, da Marx ad Epicuro, dal sogno socialista all'incubo bancario, dal progetto inteso a fondare la perfetta società dei lavoratori all'orientamento dell'esistenza verso la tranquilla immersione nel Grande Nulla di epicurea memoria.
 Nei testi di Plutarco, in ultima analisi si può leggere la previsione dell'umiliante catastrofe dell'ideologia progressista, che, fino al 1989, rappresentava la gloriosa avanguardia del mondo moderno.
 L'intransigente polemica condotta da Plutarco contro gli epicurei pertanto merita di diventare oggetto di meditazione da parte dei cattolici immersi nel tepore/torpore prodotto dall'acqua buonista riscaldata dal falso ecumenismo e mossa dalla paura destata da una fallimentare rivoluzione.

Piero Vassallo




[1] "Philosophia prodesse dicunt docti huius saeculi,  quam dii quibusdam paucis, ait Tullius, veram dederunt. Usque adeo et ipsi, contra quos agimus, quoque modo,. compulsi sunt in habenda non quacumque sed vera philosophia divinam gratiam confiteri", De Civitate Dei, 22,4
[2] "Omniun pectora sic attingit, ut cogat in gemitum quod ait Tullius, cfr.: De Civitate Dei, 19,5. Al riguardo cfr. anche Virginia Guazzoni Foà, Storia del pensiero occidentale Dalle origini alla chiusura della scuola di Atene, Marzorati, Milano1977, pag. 316 e seguenti.
[3] Nel Protagora, Socrate confuta e ridicolizza la dottrina dei sofisti, secondo cui il vero bene coincide con il piacere vissuto fino alle più paradossali conseguenze.
[4] Cfr. Plutarco. Contro Epicuro, a cura di Adelmo Barigazzi, La Nuova Italia, Imola 1978.

Nessun commento:

Posta un commento