Dolenti in letizia sembra un controsenso.
Eppure questo è il sentire dimostrato dai cattolici più veri: dai Santi. Essi
non si crucciano a causa delle proprie pene, che sanno di meritare per quel che
possano essere peccatori; anzi le sofferenze se le procurano onde condividere
la Passione e aggiungervi qualche loro merito a vantaggio del prossimo.
Essi sono consapevoli che, assolto il nostro
compito, qualunque cosa avvenga è giusta, sottostando alla divina Giustizia, che
interviene nelle cose del mondo o permette che accadano.
I Santi condividono i dolori dei Cuori di
Gesù e di Maria per il male perpetrato da tutti gli uomini, per le loro
malvagità, per i loro vizi, per i tradimenti dei figli della Chiesa, che
contribuiscono alla perdita delle anime. Se si preoccupano della propria carne
inferma, nessuno potendo mai essere certo del glorioso ingresso nell’aldilà,
umilmente profittano con perseveranza della grazia speciale (che Dio ha voluto
largire a loro immeritevoli) al fine d’un altrui beneficio e di raggiungere
degnamente il termine di questa valle di
lacrime.
Ora, mi è avvenuto di leggere un articolo in
cui si riferiva il giudizio d’un apprezzato teologo sulla infallibilità o sull’inerranza
(distinzione sottile ma notevole) della Chiesa nel procedere alla
canonizzazione. Il teologo avrebbe concluso che Papi e Concili non diedero definizioni
con le quali dichiarassero infallibili le proclamazioni dei Santi. Da ciò
l’autore dello scritto ricava una conseguenza sconcertante. Che importa a noi
se la persona messa sull’altare da un processo canonico ci induca al dubbio
sulla sua santità? Che importa se non fu un autentico modello di vita
cristiana, degno della unanime venerazione dei fedeli, poiché non si esclude un
errore nella valutazione della Chiesa?
In generale, la questione appare delicata e
la rimettiamo a chi abbia l’autorità per trattarla: l’autorità e la facoltà
concesse, Roma non essendosi ancora pronunciata al riguardo. Cionondimeno,
possiamo esporre alcune considerazioni ragionevoli sull’argomento, che implica
insegnamenti edificanti e consolanti, usciti da esperienze concrete in cui si è
manifestato il soprannaturale e conformi alla sacra dottrina.
È vero e giusto che la Rivelazione si chiude
con gli Apostoli del Nuovo Testamento, che nessuno in seguito vi aggiunse
alcunché. Dunque le testimonianze dei santi sarebbero superflue, di esse
possiamo non tenere conto, ma resta il fatto che esse ci furono, che Dio
intervenne in loro con grazie e con miracoli del tutto simili a quelli operati
con gli Apostoli; e Dio non inganna.
Se di alcuni prodigi e profezie è forse
lecito dubitare, di altri le prove scientifiche
non mancano. Spesso i Pontefici addussero la santità dei membri della Chiesa
come una delle certificazioni della santità e credibilità di Essa presso atei, eretici
e infedeli, resistenti o disposti alla conversione.
La purezza dei miracolati testimoni del Signore - dopo l’Apocalisse di san
Giovanni - non fu necessariamente esente da errori dottrinali (anche questo la
Chiesa ha stabilito), tuttavia la loro esistenza dovette essere esente da
scaldalo per le pie anime. Bisogna che Dio, dandoci i Santi, abbia inteso
aiutarci con grazie straordinarie, manifestate tramite loro.
D’altra parte, la Scrittura insegna che il
demonio può operare prodigi (vedi quelli di Simon Mago) e che, specie nei tempi
ultimi, alcuni rivestiti di apparente santità inganneranno quanti non siano
abbastanza preparati a riconoscerli.
Ma un presunto santo che errò e, in definitiva,
insegnò l’errore e fece positivamente il male della Chiesa, costituisce uno
scandalo più evidente di quello dato dai falsi profeti, uno scandalo inaccettabile. Dalla sua vita non si trae per
nulla quel bene della pace interiore, offerto con certezza dai benedetti di Dio,
i quali continuano a mostrarne la gloriosa giustizia su questa terra tormentata
e causa di tormento soltanto per i peccatori non in Grazia di Lui.
Piero Nicola
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