Matrimonio
e comunione nella Chiesa cattolica
L'eroismo di San
Tommaso Moro
e la pusillanimità dei
teologi politicanti
Una
delle pagine più ingloriose e ripugnanti della storia moderna fu scritta da
Enrico VIII, l'eresiarca ed eversore, che fece decapitare il cancelliere
Tommaso Moro, condannato da un giudice asservito al malvolere regale perché
non aveva approvato l'illecito
matrimonio del sovrano con Anna Bolena, una di quelle femmine corrotte, che
hanno lasciato un'incancellabile impronta nella storia del regno anglicano.
Tommaso
Moro fu proclamato santo dalla Chiesa cattolica, che in lui riconobbe e ammirò
l'intrepido difensore dell'ordine civile, che stava per essere capovolto e
infettato dalla rivoluzione promossa da un tiranno delirante e corrotto. Oltre
che su San Tommaso Moro la furia del tiranno divorzista si abbatté sul santo
vescovo John Fisher, sui certosini di Londra, sui frati mendicanti nonché su
alcune nobili famiglie di refrattari.
Il
qualunque battezzato, fosse anche il pontefice regnante, se affronta il
problema del divorzio, deve pertanto rammentare che Tommaso Moro, fedele
interprete del primato della Chiesa sul potere civile, fu decapitato perché
affermava - contro la furia di un cialtrone coronato - l'indissolubilità del matrimonio cattolico.
D'altra
parte i cattolici (e in special modo i vescovi sinodali) dovrebbero sapere che
la teologia divorzista ebbe origine nel secondo millennio, quale frutto della
capitolazione della chiesa bizantina, sottomessa alle pretese degli imperatori,
che in qualche modo anticipavano la politica di stampo ghibellino e ultimamente
laicista e iniziatico.
Le
notizie dal sinodo dei vescovi, in corso, pertanto, inducono a temere che i
vescovi, attualmente radunati per addolcire (alterare) le leggi cristiane,
mettano in discussione la indissolubilità del matrimonio per paura del potere
esercitato dai rappresentanti di un'Europa demente e fradicia ma imperiosa e
ricattatoria, perché eccitata dal potere esercitato da una cosca di usurai
americani, sui quali incombono, inavvertite dal clero rispettoso, la
bancarotta e la riscossione cinese.
Nella
fragilità spirituale dei vescovi, che discettano radunati nel sinodo
pavido e conformista, si intravedono gli allarmanti segnali di un ghibellinismo
rigurgitato dalle peggiori profondità del Medioevo eterodosso, con il
quale la Chiesa cattolica aveva chiuso autorevolmente i conti.
Secondo
il cardinale Raymond Leo Burke, oltre la cortina mediatica che avvolge il
sinodo in corso "emerge una tendenza preoccupante perché alcuni
sostengono la possibilità di adottare una prassi che si discosta dalla verità
della Fede"
E'
pertanto legittimo il sospetto che i ragionamenti obliqui sulla comunione ecumenica
ai divorziati siano espressione della volontà di modernizzare la Fede
cattolica, cioè di metterla al passo con l'occidente estenuato dall'immoralità
diffusa dai crepuscolari servitori dell'eresia.
L'insigne
teologo Robert Dodaro O. S. A., al proposito afferma: "le leggi
riguardanti l'indissolubilità del matrimonio, la proibizione dell'adulterio e
l'accesso all'Eucarestia, sono leggi divine (cfr. Mt., 10,9, Gv. 8.11, 1 Cor.
11,28). La Chiesa non può esonerare i fedeli dal loro obbligo di obbedire alla
legge di Dio. ... L'ammissione di cattolici divorziati e risposati civilmente
ai sacramenti della penitenza e dell'Eucarestia non solo segnerebbe un
cambiamento nella pratica o disciplina sacramentale, ma introdurrebbe una
fondamentale contraddizione nella dottrina cattolica sul matrimonio e quindi
anche sull'Eucarestia" [1].
Purtroppo la cultura
che oggi orienta il potere politico, obbedisce ad istanze anti-cristiane e
anti-personalistiche, idee che obbediscono alla convinzione secondo cui la
persona umana è sottoposta a un continuo mutamento.
Il
filosofo John Rist definisce la morale avventizia, generata dal mito
dell'inarrestabile mutare della persona umana: "se siamo degli io seriali,
che si ricostruiscono gradualmente come una nave le cui parti vengono
sostituite una dopo l'altra ma che nel nome e nella registrazione rimane la
stessa nave, allora ha senso affermare che io non sono la stessa persona che
ero quando mi sono sposato, e nemmeno mia moglie è la stessa persona, quindi
perché dovremmo andare avanti, se non lo vogliamo, in quella che, in fondo, è
una relazione fittizia?" [2].
Se non che l'argomento
decisivo contro la falsa misericordia si trova nella storia della fermezza - si
è tentati di dire sanamente guelfa - con cui il magistero cattolico ha
intrattenuto i rapporti con potere politico.
Contro la tendenza manifestata
dal clero pusillanime a giustificare il divorzio mediante il ricorso a
un'antropologia fondata dal fantasticare, Rist rammenta ai banditori
neo-bizantini e neo-ghibellini del ritorno al presunto cristianesimo delle
origini, che "i cristiani dell'antichità, vedevano qualsiasi
comportamento misericordioso verso i divorziati risposati come
direttamente opposto agli insegnamenti di Cristo stesso... è dunque chiaro che
i cambiamenti nella pratica corrente della Chiesa cattolica non possono essere sostenuti da una
testimonianza significativa dal mondo dei primi cinque secoli del cristianesimo".
Il
cardinale Walter Brandmuller, dal suo canto, rievoca la storia del lungo
conflitto (860-869) tra il franco re Lotario II e Papa Niccolò I.
"Il
nucleo della questione, che fu dibattuta nell'ambito di diversi Sinodi , era
se a Lotario fosse lecito o meno separarsi dalla sua legittima consorte,
Teutberga, dalla quale non era riuscito ad avere figli, e sposare la sua
precedente concubina Waldrada (o Gualdrada), dalla quale aveva avuto figli nati
prima del suo matrimonio con Teutberga" [3].
Opportunamente
Brandmuller rammenta che Niccolo I fu inflessibile, e nell'anno 886 scomunicò
Lotario e Waldrada, anche se "Il
conflitto tra potere ecclesiastico e potere politico si acuì al punto che un
esercito franco arrivò perfino ad aggredire Roma e a minacciare lo stesso
pontefice". Alla fine la morte di Lotario concluse il conflitto, da
cui l'ortodossia di Nicolò usci vincitrice.
La tesi
cattolica sull'illiceità del divorzio fu solennemente confermata dal Concordantia
discordantium cononum, un documento redatto, intorno al 1140, dall'insigne
giurista Graziano (1075-1145), vissuto nei territori governati dalla
fedelissima Matilde di Canossa,.
Brandmuller
sostiene che "su questa linea si pone la dottrina matrimoniale del
Concilio di Trento. Sullo sfondo degli scandali matrimoniali di Enrico VIII
d'Inghilterra e della bigamia di Filippo d'Assia consentita da Lutero, il
Concilio, al canone 2, stabilisce esplicitamente: Chi afferma che ai
cristiani sia consentito avere più mogli contemporaneamente e che ciò non sia
vietato da nessuna legge divina, sia scomunicato".
Di
seguito Brandmuller ricorda il martirio
dei monaci irlandesi e bretoni, che negarono, in nome della suprema autorità
ecclesiastica, la liceità del divorzio e del secondo matrimonio del loro
sovrano temporale.
Per rimanere fedeli alla dottrina cattolica sul matrimonio
molti fedeli affrontarono il martirio, altri sopportarono la persecuzione e
l'emarginazione. Il soffio del compromesso ghibellino - cioè ossequioso
nei confronti dell'errore professato dal giornalismo - tentazione strisciante
in mezzo alle righe del sinodo sedicente misericordioso suggerisce al
clero e ai fedeli la comoda e piatta via del compromesso. L'albero avvelenato
dal Vaticano II offre un nuovo frutto all'angosciante confusione che agita il
mondo cattolico. Di qui l'appello a una cultura tradizionale capace di
diventare coerente con l'impostazione guelfa, a suo tempo suggerita da
Francisco Elias de Tejada.
Piero Vassallo
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