Mi sono imbattuto in un film
dell’immediato dopoguerra, confezionato con una certa cura, diretto assai bene
con spesa abbondante. Vi si rappresentano le storie d’un paesino siciliano
sotto il federale e il podestà. Chissà se il regista dovesse riabilitarsi
politicamente, o se desse libero corso ai suoi genuini sentimenti, alle sue
idee, alle sue speranze? Forse giocarono entrambi i fattori ed altri ancora.
Sta di fatto che la pellicola del 1948 convenne al ripristino democratico.
D'altronde, andando in senso opposto sarebbe incorsa nel rigore della nuova
censura.
L’autore (per brevità accorpiamo i vari artefici cinematografari) mette
avanti un eroe che dovrebbe somigliargli, sebbene in abito più dimesso del suo.
È un impiegato comunale, un padre di famiglia sui cinquant’anni, che attraversa
gli Anni difficili, quelli fascisti.
Fin dalla voce fuori campo che introduce l’opera, il protagonista figura essere
un uomo semplice, di buon senso, capace di critica oggettiva sulle cose della
vita, sebbene, messo alla prova, non si dimostri pari ai suoi giudizi.
Su tale presentazione ci sarebbe da eccepire, perché l’uomo che,
spassionato, detiene il prototipo del buon governo, non può essere quest’uomo
critico. Reputandosi sapiente e savio, questi sarebbe soltanto un presuntuoso,
un orgoglioso; a ogni buon conto, uno sprovvisto di saggezza.
Egli fu adulto prima della marcia su Roma, prima di dover prendere la
tessera del partito unico. Ma qual è il confronto che ha fatto tra la vita
precedente e l'attuale e la migliore possibile? Che peso avranno sul suo intimo
antifascismo i suoi sentimenti perfezionistici? Quali, le sue belle speranze
per quando, ipoteticamente, scompaiano Mussolini e il suo regime?
Tutt’al più la sua posizione vale relativamente alla sua natura mite e
tuttavia indipendente, alla sua supposta buona fede, in definitiva riguardo ai
suoi gusti, ma non può essere sede della sapienza, né di un supremo tribunale.
Per altre nature, per altri gusti, per altre coscienze nette, per altre
situazioni, che pure si diedero, tutto cambia.
Riassumo la vicenda di questa famiglia piccolo borghese in una cittadina
siciliana, nelle relazioni con i suoi abitanti, coi suoi maggiorenti in carica
e con quelli da tempo esautorati per i loro trascorsi politici; vicenda che si
snoda lungo il terzo decennio del Novecento ed oltre, fino allo sbarco degli
Alleati sul suolo di Trinacria.
Poi farò una sintesi parallela, nella stessa storia nazionale, dei
medesimi casi occorsi a una famiglia analoga e possibile, verosimile, ma fatta
di soggetti differenti, di personalità d’altro stampo, mantenendo invariati
soltanto alcuni personaggi minori.
Dunque, il protagonista è un travet padre di un maschio, ufficiale
dell’esercito, e di una ragazza piuttosto frivola; nonché marito d’una
casalinga pratica e conformista. Sotto le pressioni della moglie e del podestà,
l’intimamente antifascista si adatta a portare il distintivo del partito e a
indossare la divisa delle parate obbligatorie per i servitori dello stato.
La bottega del farmacista costituisce il ritrovo degli oppositori di
Mussolini. Sono benestanti colti, membri della vecchia politica, solidali e
nello stesso tempo pronti a rinfacciarsi le colpe della loro trascorsa
disfatta, rimbeccandosi come quando militavano in partiti rivali. Sono critici
ironici e salaci, non lungimiranti, sostanzialmente inutili.
Il difetto del bravo capofamiglia che li frequenta, il cui figlio
tenente amoreggia con la nipote del fiero farmacista, sarebbe quello di aver
ceduto alla forza. Il difetto del circolo formato in sordina è di un’inerzia
codarda. Il difetto della moglie è d’essere di fede mussoliniana, tra sfegatata
e interessata; quello di sua figlia, d’intendersela con il rampollo del podestà,
giovane fatuo e insincero, nonché imboscato. Il podestà, barone e industriale,
si serve dell’oratoria roboante e, nell’ora critica, si dimostrerà un
voltagabbana. Il federale, nel momento tragico, non si comporterà meglio di
lui, lasciandosi sfuggire il sacrificio virile.
Il tenente, pervenuto a fidanzarsi con la giovane che sta a bottega con
lo zio, preso nell’ingranaggio delle campagne belliche susseguitesi a
cominciare dall’impresa etiopica, è privo del debito fervore militare, detesta
la guerra, ignora l’eroismo e sta al suo posto per onor di firma. È andato man
mano disprezzando il governo; finché, al suo ritorno dalla Russia per una
licenza, si mostra indulgente verso una spia sorpresa a informare il nemico con
una radio trasmittente. Due tedeschi delle truppe ritiratesi dalla Tunisia, lo
uccidono sparandogli alle spalle, nella sua terra parzialmente conquistata
dalle forze anglo-americane. Egli non ha nascosto ai teutonici la propria
indifferenza, dopo aver dato la sua comprensione a una torma di fantaccini
sbandati, la cui sola cura era di mettersi al sicuro. I due invisi militari,
tuttora alleati, che non gliel’hanno perdonata, hanno uno più dell’altro un
volto bieco e crudele. Gli Alleati novelli, accolti festosamente, appaiono
ragazzoni piuttosto invadenti, bonari e un po’ leggeri, a caccia di souvenir e
di piacevolezze.
La popolazione martoriata dalle continue scariche di bombe e dalle
ristrettezze, è lesta a rinnegare le sue precedenti acclamazioni, plaudendo ai
liberatori. Il commissario americano siede accanto all’ex podestà girella
matricolato, sornione e benevolo come se non tenesse all’epurazione del nostro
eroe, chiamato a rendere conto dei suoi misfatti involontari. Che misfatti? Le
mene di sua moglie, intese a incassare una prebenda necessaria all’economia
domestica, lo fecero passare nientemeno che per squadrista, e ora deve scontare
da innocente. Con ciò la parola fine si stampa sullo schermo.
Adesso espongo l'ammissibile rovescio della medaglia, il rovescio di un
mondo antitetico. E varrebbe poco sapere se il diritto della moneta che abbiamo
osservato fosse più grande del suo verso. La quantità vale di più della qualità
soltanto per un’ignobile stima della forza bruta. La maggioranza può avere
maggior peso, ma non avrà maggior pregio, né ragione, soltanto perché
maggioranza. Chi è abile a contraddire, ci si provi.
Qui, l’impiegato avrà pressappoco l’attaccamento al Duce che aveva la
moglie precedente, ma disinteressato.
Un po’ di passione fascista? Sicuro. Chi resta immune da passioni? Non ne è
immune lo schietto buon senso del semplice, che mette a confronto col presente
il dopoguerra tormentato della sua gioventù, le opere attuali con quelle
giolittiane. Il suo comprendonio non dura fatica a capacitarsi che gli uomini,
noi tutti, siamo quelli dell’Avemaria appresa dall’infanzia: invariabilmente
peccatori e manchevoli. Pertanto non si scandalizza e non si deluderà per gli
sbagli del Duce e della sua cerchia. Il proverbio dice che ogni rosa ha le sue
spine. Per lui, il totalitarismo risulta inesistente, dato il consenso che
riscuote, e gli oppositori devono essere mandati al confino, onde prevenire il
tarlo che già da fuori, dall'estero, si fa di tutto per insinuare nel tronco
nazionale.
Vari gerarchi sembrano privi dello spirito che ci vorrebbe, e per questo
sono retorici, talvolta ingiusti. Ciò nondimeno occorre l’intransigenza verso
il libero pensiero ostile. Egli frequenta la parrocchia e i Sacramenti. La
Chiesa non agì con uguale severità nei riguardi degli eretici? L’uomo è facile
preda dell’eresia in quanto aspira all’impossibile; è instabile come la plebe
raccolta al cospetto dei congiurati che hanno pugnalato il despota Giulio.
Subito dopo averli ascoltati e approvati, la folla piange e si solleva
all’orazione di Antonio a pro di Cesare, l’ambizioso.
Sicché questo dipendente del municipio nutre poco entusiasmo per le
adunate, ma vi partecipa cercando di immettervi la sua fiducia. E avrebbe
qualcosa da obiettare su alcune fascistiche rozzezze, che tuttavia servono a
mantenere l’ordinata grandezza.
Il primogenito poi, indossa la divisa da vero militare, che si astiene
dai giudizi, ubbidisce, ama il corpo cui appartiene e le sue decorazioni,
ambisce al valore puro, decorato o ignoto. Il seguito di richiami alle armi che
gli giungono e che infrangono la sua carriera civile, interrompono il
fidanzamento, l'offre alla Patria. La sua promessa sposa, sebbene nipote di un
liberale, drammaticamente si distacca dallo zio.
La consorte dell’impiegato, al contrario di lui, teme le affermazioni
guerriere e l’inimicizia dell'Italia col vasto mondo, avverte la grande minaccia,
vorrebbe la pace, stando in ansia per i suoi cari.
La secondogenita resti com’era, e così il suo amoroso. Tuttavia evitiamo
di farne degli sventatelli, vili e persino dissoluti come sono tratteggiati nel
film; dove intendono colmare le loro lacune sentimentali con un disincanto libertino,
sostenuto da aforismi rubati a Nietzsche.
Quanto al gruppetto dei vecchi politicanti, cui applicare l’etichetta di
sovversivo sarebbe troppo onore, lasciamolo ugualmente come lo abbiamo trovato;
e così il farmacista, che si fece spedire al confino per aver cantato la Marsigliese
nella folla inneggiante alla guerra, dichiarata alla Francia da un Mussolini
maramaldo.
Per stampargli addosso quel marchio si sarebbe dovuto caricare i due piatti
della bilancia di tutte le ragioni, in pro e in contro. Qualora egli avesse soppesato
male, quando il piatto del sui torto fosse sceso giù, si poteva restare nel
cerchio delle errate valutazioni, forse gravate d'una colpevole intempestività.
E quante colpe avevano nel campo avverso, quant’erano ipocrite e inique le
sanzioni imposte a causa delle nostre conquiste coloniali da un’Inghilterra e
da una Francia colonialiste! Quante uccisioni di civili, successivamente, con i
bombardamenti, allo spregevole scopo di demolire il morale degli italiani!
In bocca del nostro protagonista salgono le ragioni, in parte sentite
alla radio e lette sul giornale. Soprattutto, egli è conscio del suo figliolo
che si batte al fronte; per cui abbandona ogni rapporto amichevole con i
disfattisti, i quali passano il tempo fumando e sorseggiando la china nella
farmacia. Egli li allontana come aveva allontanato gli anti-interventisti al
tempo della Prima Guerra Mondiale. In ultimo, il senso della lealtà lo induce ad
accogliere la sua epurazione come una croce onorevole, in omaggio al suo
ragazzo caduto nella steppa e alla fede intatta riportata nelle sue lettere.
Dio provvederà alla famiglia precipitata nella miseria, anche alla
moglie che, in gramaglie, scuote il capo troppo sconsolata.
Mancano ancora all’appello il federare e il podestà. A questo punto, il
lettore li immagini come preferisce. Non è certo tenuto ad attenersi agli
stereotipi del cinema. Ce ne furono martiri senza menda alcuna.
Dimentichiamo i tedeschi? No, anche loro possono essere colpevoli, sono
sovente troppo duri com’è nella loro indole di condursi. Nonostante ciò, nel
‘44 ne vidi alloggiati in casa mia con delle facce oneste e per nulla crudeli.
Mio padre era in aspettativa per motivi di salute, pur avendo una bella cera,
ma lo lasciarono in pace.
Tra i nostri reparti in ritirata furono più numerosi i disfatti o gli
armati e combattivi? L'esistenza di questi ultimi fu certa. Siccome non abbiamo
a che fare con una generale documentazione, che cosa interessa di più: la rotta
e la viltà o il suo contrario? Dipende dal contesto. Tutto sta nel punto di
vista, nell'interpretazione, nel giudizio. Tuttavia la scelta dei soggetti, dei
protagonisti, significa e importa.
Stavo
scordando i preti, che il copione fa parlare come gente adeguatasi al regime.
Comunque fosse, molti di loro che scelsero il fascio littorio, ritennero
propizia l’unanimità e la moralità da esso arrecate, lo considerarono una
protezione contro l’ateismo incombente. A chi ne dubitasse gioverebbe vedere un
film di Rossellini: L’uomo dalla croce.
Concedo che esso non dimostri la mente del clero, e che vi si possono scorgere
motivi propagandistici, ma quale utilità sarebbe venuta a Mussolini dal
personaggio centrale, un cappellano che si adopera ardentemente e si immola per
convertire degli atei sovietici, quando il sostegno governativo non fosse stato
una preoccupazione della Chiesa? Infatti quel lavoro cinematografico del 1943
recava un crisma di ufficialità. Sullo schermo appariva la dedica finale
"alla memoria dei cappellani caduti nella crociata contro i 'senza Dio' in
difesa della Patria e per recare la luce della verità e della giustizia anche
nella terra del barbarico nemico".
Della stessa famiglia di celluloide fu Addio Kira-Noi vivi (1942), in cui il comunista militante deferito
alla micidiale corte di giustizia del partito, ritorce l’accusa contro la
rivoluzione sovietica, che, per una ragione di stato, si arroga il diritto di disporre
della vita degli incolpevoli, ai quali è imposto l’incondizionato uniformarsi a
un sistema iniquo.
Piero Nicola
Nessun commento:
Posta un commento