L'art. 91 del Codice penale stabilisce che
l'ubriaco è responsabile anche non essendo stato in grado di intendere e volere
a causa di una piena ubriachezza, a meno che questa sia derivata da caso
fortuito o da forza maggiore.
L'unico punto che potrebbe prestarsi a
qualche appiglio per scagionare l'imputato sarebbe il "caso
fortuito". Ma è difficile dimostrare che la volontà del soggetto fu
assente al momento del darsi al bere. In ogni caso, mancando la prova che
scagiona, si ha la colpevolezza.
Leggendo qua e là sull'argomento, vengo a
sapere che la giurisprudenza (l' interpretazione della legge da parte di
giudici o avvocati) è decisamente orientata a considerare lo stato psicologico
del soggetto al momento in cui si svolse il fatto dannoso o delittuoso. Tutt'al
più, tale orientamento potrebbe ammettere l'eventualità della colpa, non il
dolo.
Ciò per principi costituzionali (art. 2, 3,
32) che escluderebbero il diritto penale
d'autore, ossia le leggi che puniscono il comportamento, il modo di essere,
a prescindere dagli atti illegali che possono derivarne.
L'inconsistenza del ricorso a tale argomento
abbisogna di poca nota, essendo il solito artificio per compiacere la politica
lassista.
Dunque, si tende a considerare soltanto la
responsabilità di ciò che si commette sul fatto, essendosi in possesso delle
proprie facoltà, e non di ciò che abbia determinato la perdita di tale
possesso. Un alienato temporaneo sarebbe innocente, anche avendo egli determinato
la causa della sua alienazione. Oppure, che essa sia stata volontaria o
colposa, si imputerà soltanto la colpa e non il dolo.
Non mi interessa andare a fondo di tale
criterio aberrante. Siccome l'azione commessa non sarebbe avvenuta qualora
l'agente si fosse astenuto dall'atto illecito (ubriachezza, evidentemente
suscettibile di danneggiare altri) si capisce bene che è reo il soggetto di
tutto l'accaduto. Eliminando, in genere, il dolo e sostituendovi la colpa (non avendo
voluto assolutamente il male arrecato) ubriacarsi, drogarsi, diventano
comportamenti leciti.
Volervi applicare la libertà, i diritti
inviolabili, la solidarietà, l'uguaglianza, la tutela statale della salute e il
diritto di curarsi a proprio talento, salvo eccezioni..., di cui ai punti
costituzionali citati, non è una faccenda pertinente. Dovrebbero esservi le
condizioni dell'impossibilità di nuocere, come una reclusione, un specifica invalidità,
per assicurare che l'ubriaco o il drogato non causino morte, lesione o danno. E
questa cognizione apparterrà anche a chi ha provocato l'incidente.
L'art. 688 c.p. previde l'ammenda per
riscontrato stato di ubriachezza in pubblico. Nel 1999 ci fu la
depenalizzazione a sanzione amministrativa. I principi costituzionali invocati,
decadono ancora con l'attuale contravvenzione (pena del Codice Penale) che
punisce gli ubriachi al volante, per indice alcolico piuttosto alto.
Evidentemente, le pene inflitte dalla legge seguono criteri di opportunità e
non più di giustizia, come dovrebbe essere. Per giunta, intervengono le
interpretazioni, nondimeno secondo capziosi riferimenti a punti della
Costituzione.
E adesso il caso. Il fatto diffuso dai mezzi
di informazione. - Nel 2011 un albanese alla guida di un suv, andando in
autostrada contromano per provare la sua abilità nella guida, uccise quattro
ragazzi francesi che procedevano in senso inverso, cioè regolarmente. La
Cassazione ha annullato la sentenza che condannava a 21 anni di carcere il
folle ubriaco. Ci sarebbe stata colpa e nessuna volontarietà, nessun dolo,
nessun "omicidio stradale", aggiunge il giornalista pedissequo.
Hanno abolito la responsabilità volontaria di
mettersi in condizione di nuocere con notevole probabilità.
Come avrà fatto la Cassazione a decretare che
l'ubriaco era in stato d'incolpevolezza, quando, cacciato dal bar per come si
era ridotto, fece la bravata assassina? Quali mezzi di visione straordinaria permisero
a quei giudici di accertare che colui, il quale si apprestava a riempirsi di
alcolici diventando un pericolo pubblico, voleva proprio evitare di diventarlo?
- Tesi addotta dagli avvocati difensori nelle interviste rilasciate.
Si capisce bene che la regola per cui si
valuta d'impedimento alla condanna una remota intenzione innocua dell'imputato,
vanificherebbe gran parte dei processi penali, e città e paesi vedrebbero
circolare liberamente una folla di delinquenti, ancora maggiore dell'attuale. La
cosiddetta presunzione d'innocenza non può essere illimitata. Vedi i processi indiziari
sempre in vigore e le loro sentenze di condanna.
Siccome poi, i giornalisti per riempire i
vuoti dei loro fogli e notiziari sono costretti a occuparsi della strage di
innocenti perpetrata sulle strade da sciagurati responsabili, e bisogna dare un po' di voce ai parenti, che
minacciano di sollevare qualche putiferio, ecco la trovata di turno: il reato di omicidio stradale, che
precisamente sarebbe un delitto, in
quanto considerato doloso.
Ci prendono per stupidi, o stupidi sono gli
informatori! Basterebbe forse cambiare nome a un reato per renderlo peggiore e
punibile con debita severità? No! Le chiacchiere fatte a tale proposito anche
in sede governativa, sono rimaste chiacchiere di politicanti. Casomai se ne
facesse qualcosa, sarà ancora il solito arzigogolo e fumo dato negli occhi.
Ne abbiamo già visti tanti di simili raggiri!
Per esempio la scoperta del femminicidio
(l'uccisione di una donna recherebbe, di per sé, un'aggravante rispetto
all'assassinio di un uomo!). E che dire dello stalking? Non è forse un concetto
utile soltanto a una certa propaganda, e più generico di quelli che insieme
designano reati di minaccia e molestia attuati con diversi mezzi, contemplati
dai codici sin dal tempo dei Romani?
Il fatto è che, l'accresciuto disordine
legislativo, è sostenuto dai principi che fanno impressione e che sono finti,
come i famosi cardini della Rivoluzione Francese: un vera truffa, che dà adito
ai peggiori abusi! Ci si fa forti di essersi basati sui principi, e sono un
sostegno su piano inclinato, che fa scivolare sempre più nella melma.
Piero
Nicola
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