A vario proposito, ma specialmente riguardo
all’eutanasia e a pratiche similari, si fa un gran parlare di morte non
dignitosa, di sofferenza con deplorevoli menomazioni della personalità, di
agonie o di stati preagonici che sarebbero un insulto alla dignità dell’uomo.
È assai probabile che queste idee indichino
la perdita della fede di chi l’abbia avuta e la vana presunzione di averla.
Infatti, per esse, si disprezzerebbe il culmine della Passione di Cristo, che
chiese d’essere imitato, in tutto da chi ne avesse avuto la vocazione, e lo fu
da santi martiri e confessori che patirono come lui prima di morire.
Ma anche al di fuori di questi assistiti
dalla grazia divina, devastati nel corpo spesso con studiati supplizi, e offesi
in ogni loro facoltà naturale, sono numerosi gli esempi di eroismo naturale, fatto di sopportazione di strazi,
di torture accettate essendo preludio di una morte edificante.
Quanto ai fedeli moribondi che farebbero a
meno di una fine tormentata, la Chiesa insegnò che Dio la vuole o la permette.
Essa ne raccomandò l’offerta come di ogni altro patimento, e indicò il rimedio
della tentazione che quella fine comporta, cioè il ricorso al sacerdote e alla
richiesta di grazie, in particolare della Madonna, condannando chi volesse
abbreviare la vita nel suo estremo, come autore di un delitto consumato
anzitutto contro il Padrone di ogni vita.
L’affermazione apodittica che vuole le pene
estreme siano un affronto alla dignità è sonoramente smentita. Si può anzi
sostenere il contrario: tali afflizioni sono anche occasione di salvezza, di
puro sacrificio. Vorremmo sapere da questi pedestri – ed è dir poco – stimatori
dell'efficienza umana, della salute corporea, come facciano a escludere che le
agonie possano essere salvifiche, come riescano a stabilire che esse debbano
gettare il sofferente nell’avvilimento disperato, facendolo soggiacere sino in
fondo al danno proveniente dal male che l’opprime fisicamente, come sanno che i patimenti dell'infermo riescono
sempre ingrati agli occhi altrui.
Quante delittuose menzogne si dicono in nome
della dignità umana, di cui è stato talmente artefatto il senso, che ormai
molta gente non ci si raccapezza più, se non ne travisa affatto il significato
a causa della sostituzione della falsa dignità alla vera, per cui il ricupero
dell'immagine del Creatore da parte della creatura scompare dietro una dignità
finta o contraddittoria.
L'uomo biancovestito ha ripetuto, con la sua
caratteristica retorica, che si perde la dignità quando si perde il lavoro che
procura una vita decorosa. Siamo daccapo: secondo l'insensatezza fuorviante
divenuta verità convenuta, anche la miseria comporta una perdita della
somiglianza con Dio, per chi la possieda, o un grave impedimento ad ottenerla,
per chi non la possieda. La dignità è diventata qualcosa che altri ci può
togliere! Viceversa, niente e nessuno riesce a farlo, se non cediamo, perché
essa appartiene soltanto a noi, al pari del libero arbitrio.
Abbiamo la contraddizione - mai chiarita -
secondo cui la dignità che, elevata a prerogativa intangibile dell'uomo e
ragione dei suoi diritti, apparterebbe ugualmente ad ogni essere umano, sicché
potrebbe essere soltanto violata, non tolta o diminuita, sarebbe invece
gravemente diminuita da malattia grave o miseria. Da affermazioni rivolte contro
il delinquente e il suo complice, dedurremmo che anche costoro risultano
indegni. Insomma: confusione.
Effettivemente, la dignità appartiene a chi
la merita, perciò l'incongruenza è doppia: sia avendo esteso la dignità di
creature nel campo della dignità personale, sia avendo trasformato gli agenti
esterni in possibili padroni delle anime.
Per rimediare, dovremmo acconsentire a
un'improprietà di linguaggio secondo cui si adopera dignità al posto di facoltà, che vengono offese, compromesse, con scapito
equivalente a quello provocato dalla disgrazia incolpevole. Per il cristiano
l'offesa ricevuta è, da un lato: una tentazione, una prova, dall'altro lato:
un'occasione per la virtù e, recando danno: una disgrazia che sta nelle mani di
Dio. Infine può esservi offesa dissimulata, che insinua una corruzione per la
morale e anzitutto per la fede.
Invece si parla di maligni coinvolgimenti
nella complicità delittuosa come di un abbassamento deplorevole, e si tralascia
il lato principe: la fede. Fa più male il camorrista o l'eretico? La risposta è
indubbia. L'uno attenta al comportamento, induce a diventare peccatore o un
peggior peccatore. L'altro attenta alla fede, induce a peccare contro lo
Spirito Santo, a una fissata perdizione.
Ma quando mai, si sente accusare i diffusori
di errori e di eresia? Ora che sarebbe oltremodo importante, quando mai si
addita il maggior pericolo per la nostra proprietà essenziale: per l'anima?
Nemmeno per sogno! Impossibile! Coi banditori di falsità filosofiche e
religiose si dialoga amichevolmente!
Dunque, per coerenza, si posterga l'azione
principale della vita: restaurare, per mezzo della fede e dei Sacramenti, la
dignità ferita dal peccato originale e dalle sue conseguenze.
Certo: per coerenza, perché questi abusivi
una piccola credibilità devono mantenerla nella loro dolce impostura: se
dovessero dare l'importanza che merita al Simbolo apostolico e ai Mezzi della
grazia, dovrebbero tornare a distinguersi debitamente da eretici, scismatici,
atei e compagni, nemici del Signore.
Nelle ore precedenti le esternazioni dello
pseudo-magistero, il guastatore ha voluto far brillare un'altra carica esplosiva
nell'edificio della Chiesa. Egli ha giudicato senz'altro cattiva la pena di
morte, sempre accettata dalla Chiesa, praticata da essa e da suo santi (p. e.
San Pio V).
Questa condanna della pena capitale combacia
con lo stato dell'incredulo. Senza entrare nel merito della giustizia, giova
considerare la speciale opportunità data al condannato di avere una buona
morte, ossia una buona probabilità di salvezza per la vita eterna.
Conseguentemente, la stessa fonte che deplora il capestro o la sedia elettrica,
non fa nulla per rialzare al suo sommo rango il Ministero cattolico che reca la
Confessione, la Comunione e le estreme assistenze religiose al giustiziato.
Tutto torna.
Piero Nicola
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