Come mai l'opera
d'arte o il reperto archeologico appartengono a tutta l'umanità, anche a quella
che rinuncerebbe ad averli, se, quando un quadro, una statua, un fregio
esportati illegalmente all'estero, quando possibile, vengono restituiti al loro
proprietario?
Un particolare diritto sul manufatto
pregevolissimo viene riconosciuto. Ma sopra di esso hanno posto un padrone
mondiale, raffigurato con l'intero genere umano e costituito dal suo tutore
l'ONU, che vuol rappresentare anche coloro i quali non lo riconoscono.
Non è forse lecito chiedersi il motivo di
tale comproprietà? O dobbiamo rimetterci a un potere sovranazionale - che
stabilisce diritti inesistenti, contrari alla legge civile conforme alla Legge
divina - autorizzato a emettere sentenze indiscutibili, solo perché molti stati
lo riconoscono?
È la solita faccenda della legge positiva,
basata sull'assenso del numero ovvero del più forte, e che sostituisce
arbitrariamente la legge vera. Se le potenze dell'Asse avessero vinto la
guerra, potremmo aver avuto tutt'altri principi indiscutibili e condivisi, in
capo alle leggi! In Russia per molti anni avvenne in parte qualcosa di simile.
Ora, la reliquia
che parla dell'antichità, il convenuto capolavoro estetico, sarebbero come
prove del Vero, come un brano della Bibbia, anzi di più, in quanto non è la
sostanza del messaggio che interessa, non è la riproduzione integrale, ma il
prototipo in se stesso. Infatti l'ONU (UNESCO) ha in questi giorni decretato
che chi lo distrugge commette un crimine
contro l'umanità.
Con questo si palesa il lenocinio d'una forma
di idolatria. Una rara opera umana viene uguagliata all'uomo, o piuttosto a una
moltitudine soggetta a orribile sterminio. Nei cuori degli amanti dell'arte e
dell'archeologia, un singolo omicidio efferato non suscita tanto sdegno e
rammarico come avviene per la distruzione di una statua assira. I giornalisti
soffiano nel fuoco di questa idolatria a sfondo mondialista.
Che i pezzi unici da museo o da collezione abbiano
un valore se ne può convenire; che siano insostituibili al punto da costituire
una perdita irreparabile per l'umanità è del tutto falso. Il valore assoluto
attribuito loro è frutto di superstizione e di un'impostura. Di essi il genere
umano può benissimo fare a meno (le lacune della storia ci furono, restano e
resteranno senza pregiudizio per il bene essenziale); la buona vita di molti,
che ignorano dalla culla alla tomba eccellenti espressioni e concrete testimonianze
di civiltà lontane o vicine, non dipende da quei lavori neppure indirettamente.
Che essi siano compresi nel patrimonio
inalienabile dell'umanità è una
sciocchezza e una presunzione prepotente, un sopruso inaccettabile da chiunque
(legittimo proprietario e parte in causa, oppure no) sia degno della dignità
umana.
Termometro della nostra degradazione è l'aver
accolto soddisfatti, e venali, i certificati di patrimonio dell'umanità, conferiti a monumenti e a paesaggi nostri.
Si tratta di un'ulteriore vera e propria alienazione d'un brano di sovranità
nazionale, ceduto per un piatto di lenticchie e per asservimento.
Si accetta che un reperto archeologico
rinvenuto in casa di qualcuno appartenga
allo Stato. Ma ciò in quanto simili vestigia sono retaggio d'una stirpe, e soltanto
di quella.
I critici d'arte che urlano invettive contro
i profanatori, e i suggestionati dal
culto del bello o dell'antico oltremodo afflitti dalla sua perdita, tendono a
considerare spettante loro quello che appetiscono, come per un diritto comunista
d'usufruire di qualsiasi cosa risulti bella e grata al loro gusto, sono parenti
stretti dei collezionisti di venustà femminili, il quali, pur rodendosi per non
poterle avere in un harem, arraffano almeno con gli occhi le beltà che
incontrano, e se le vanno a cercare nelle varie immagini. Essi hanno poco da
spartire con l'onestà. Le loro prediche sono di esseri stralunati e senza lume.
Gli iconoclasti dell'Isis, in linea di
massima, non sono condannabili per l'abbattimento delle immagini di culti infedeli,
qualora ci credano e il loro libro sacro lo richieda. Il cristianesimo ospitò l'iconoclastia
almeno degli ortodossi, sostenuta con tesi teologiche sconsideratamente
puriste.
Chi si scandalizza dell'anteporre la
religione alle artistiche meraviglie è irreligioso. Se intende essere
cattolico, dovrebbe piuttosto accusare la falsa religione. Altrimenti, è lo stesso
individuo che s'indigna della censura imposta ai bei lavori osceni e immorali,
e deplora i roghi di libri in cui si bruciò l'eretica pestilenza.
Piero Nicola
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