domenica 8 marzo 2015

IL PEZZO DA MUSEO È SACRO E APPARTIENE A TUTTI (di Piero Nicola)

Come mai l'opera d'arte o il reperto archeologico appartengono a tutta l'umanità, anche a quella che rinuncerebbe ad averli, se, quando un quadro, una statua, un fregio esportati illegalmente all'estero, quando possibile, vengono restituiti al loro proprietario?
  Un particolare diritto sul manufatto pregevolissimo viene riconosciuto. Ma sopra di esso hanno posto un padrone mondiale, raffigurato con l'intero genere umano e costituito dal suo tutore l'ONU, che vuol rappresentare anche coloro i quali non lo riconoscono.
  Non è forse lecito chiedersi il motivo di tale comproprietà? O dobbiamo rimetterci a un potere sovranazionale - che stabilisce diritti inesistenti, contrari alla legge civile conforme alla Legge divina - autorizzato a emettere sentenze indiscutibili, solo perché molti stati lo riconoscono?
  È la solita faccenda della legge positiva, basata sull'assenso del numero ovvero del più forte, e che sostituisce arbitrariamente la legge vera. Se le potenze dell'Asse avessero vinto la guerra, potremmo aver avuto tutt'altri principi indiscutibili e condivisi, in capo alle leggi! In Russia per molti anni avvenne in parte qualcosa di simile.
  Ora, la reliquia che parla dell'antichità, il convenuto capolavoro estetico, sarebbero come prove del Vero, come un brano della Bibbia, anzi di più, in quanto non è la sostanza del messaggio che interessa, non è la riproduzione integrale, ma il prototipo in se stesso. Infatti l'ONU (UNESCO) ha in questi giorni decretato che chi lo distrugge commette un crimine contro l'umanità.
  Con questo si palesa il lenocinio d'una forma di idolatria. Una rara opera umana viene uguagliata all'uomo, o piuttosto a una moltitudine soggetta a orribile sterminio. Nei cuori degli amanti dell'arte e dell'archeologia, un singolo omicidio efferato non suscita tanto sdegno e rammarico come avviene per la distruzione di una statua assira. I giornalisti soffiano nel fuoco di questa idolatria a sfondo mondialista.
  Che i pezzi unici da museo o da collezione abbiano un valore se ne può convenire; che siano insostituibili al punto da costituire una perdita irreparabile per l'umanità è del tutto falso. Il valore assoluto attribuito loro è frutto di superstizione e di un'impostura. Di essi il genere umano può benissimo fare a meno (le lacune della storia ci furono, restano e resteranno senza pregiudizio per il bene essenziale); la buona vita di molti, che ignorano dalla culla alla tomba eccellenti espressioni e concrete testimonianze di civiltà lontane o vicine, non dipende da quei lavori neppure indirettamente. Che essi siano compresi nel patrimonio inalienabile dell'umanità è una sciocchezza e una presunzione prepotente, un sopruso inaccettabile da chiunque (legittimo proprietario e parte in causa, oppure no) sia degno della dignità umana.
  Termometro della nostra degradazione è l'aver accolto soddisfatti, e venali, i certificati di patrimonio dell'umanità, conferiti a monumenti e a paesaggi nostri. Si tratta di un'ulteriore vera e propria alienazione d'un brano di sovranità nazionale, ceduto per un piatto di lenticchie e per asservimento.
  Si accetta che un reperto archeologico rinvenuto  in casa di qualcuno appartenga allo Stato. Ma ciò in quanto simili vestigia sono retaggio d'una stirpe, e soltanto di quella.
  I critici d'arte che urlano invettive contro i profanatori, e i suggestionati dal culto del bello o dell'antico oltremodo afflitti dalla sua perdita, tendono a considerare spettante loro quello che appetiscono, come per un diritto comunista d'usufruire di qualsiasi cosa risulti bella e grata al loro gusto, sono parenti stretti dei collezionisti di venustà femminili, il quali, pur rodendosi per non poterle avere in un harem, arraffano almeno con gli occhi le beltà che incontrano, e se le vanno a cercare nelle varie immagini. Essi hanno poco da spartire con l'onestà. Le loro prediche sono di esseri stralunati e senza lume.
  Gli iconoclasti dell'Isis, in linea di massima, non sono condannabili per l'abbattimento delle immagini di culti infedeli, qualora ci credano e il loro libro sacro lo richieda. Il cristianesimo ospitò l'iconoclastia almeno degli ortodossi, sostenuta con tesi teologiche sconsideratamente puriste.
  Chi si scandalizza dell'anteporre la religione alle artistiche meraviglie è irreligioso. Se intende essere cattolico, dovrebbe piuttosto accusare la falsa religione. Altrimenti, è lo stesso individuo che s'indigna della censura imposta ai bei lavori osceni e immorali, e deplora i roghi di libri in cui si bruciò l'eretica pestilenza.

Piero Nicola

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