Il diavolo è
molto astuto, e Dio nella sua infinita sapienza gli permette di servirsi dei
più abili. Sta scritto. La Sacra Scrittura ci rivela che gli agenti di Satana,
in quanto ad astuzia, superano i galantuomini, sono oltremodo maliziosi o
primeggiano in intelligenza, sebbene la loro capacità intellettiva non eviti
loro d’essere i succubi del maligno, diabolici e condannati anche a loro
insaputa.
Questa premessa vale per credenti e non
credenti. Le odierne vicende, nella loro oggettività, stanno a dimostrarlo a
quanti non siano offuscati dalle loro passioni ideali o viscerali. Infatti i
servi della perfidia riescono a far sembrare traboccante di vizio, ributtante e
ipocrita un tempo andato che, paragonato all’attuale - di cui essi sono sovente
gli amanti e, non di rado, i lenoni - è quasi un regno sotto il segno
dell'onestà, cosparso di fiori virginei. Per il letterati, i giornalisti, i
registi innamorati della filosofia accettata, privati della quale sprofonderebbero
da una valle oscura in un abisso, il lavoro si presenta agevole. Trovare il
sudicio, i vermetti col microscopio è una bazzecola. L’acqua più cristallina,
esaminata con l’apparecchio a lenti scrutatrici, ne esce infestata da forme di
vita animale orripilanti.
Questi accostamenti metaforici sono
eccessivi. Ne convengo. Valgono però a chiarire come un mondo alloggiato al
piano di sopra, quantunque offrisse esempi di corruzione notevole e nemmeno
sporadica, magari celata o repressa, non meriti d’essere infangato da uno che
abita al pianterreno ed è in procinto di trasferirsi nel sotterraneo.
I nostri scrittorelli, opinionisti,
professori di ogni sapere, membri della sacrosanta comunità accademica e
scientifica, campano su questa ignominiosa azione di infangamento, da cui sono
innalzati. Ma, a ben vedere, essi fanno schifo non proprio a motivo del loro
ingrandimento di mali (che furono pressappoco sempre endemici) d'un'epoca tutto
sommato prossima alla nostra. Oh no! Non è simile raggiro a fare ribrezzo! Fa
ribrezzo che se ne servano per operare un tremenda sostituzione del bianco col
nero.
Eccola: ci sono pubblici comportamenti
oggigiorno riconosciuti leciti - che invece sarebbe malsano dire soltanto
tollerabili - comportamenti da non giudicare e tanto meno da reprimere, essendo
di pertinenza della coscienza individuale, i quali furono colpiti da condanne
presentate come inique, da persecuzioni, o vennero coperti dai Tartufi, e
allora soggetti a un apparato di ingiustizia, di ignoranza, di repressione, di
fariseismo. Se ne deduce un giudizio ultimativo: viziose le norme d’una volta,
virtuose, in corrispondenza di esse, quelle odierne.
Peccato che nessuno s’invogli a trarne
un’ovvia e tonda conseguenza: quant’erano scriteriati i nostri vecchi e quanto siamo
bravi noi! Brutti e cattivi loro, buoni noi.
E quali furono le azioni considerate infami
dai malpensanti, dai bigotti, dai profittatori seminatori di paura, di odio e
di pregiudizio - azioni da ritenersi viceversa naturali, rese attualmente
sempre più all’onor del mondo, sebbene qualche retrogrado continui ad ostinarsi
nelle sue fobie? Ebbene, è presto detto. Quegli atti, quelle condotte abituali,
erano e sono – a onor del vero - perversioni patenti e contagiose, perversioni
esistenti in ogni periodo storico, beninteso, ma in quantità variabile secondo
i periodi (si sa che i veleni sono tali in rapporto a una loro percentuale
nella sostanza eccipiente), trasgressioni punite a dovere o tollerate
opportunamente, alcune tenute nascoste per il minor danno, castigate e nascoste
a preservazione delle virtù, messe al bando anche per il rispetto del diritto umano di non essere scandalizzati, turbati, tentati, importunati,
disgustati da oscenità in parata, imposte ai sensi altrui, così come ci tocca
d’averne l’esperienza da mani a sera.
Né va trascurata la lesione procurata dalle
degenerazioni il cui potere scandalizzante è divenuto risibile. Esse penetrano
con la loro stortura anche in quelli che ne sarebbero alieni. Il loro piccolo
accoglimento, l’accoglimento d’un loro principio apparentemente semplice e
assennato - ma allarmante agli occhi d’un giurista imparziale - s’ingrossa col
passare degli anni dando ricetto a una mostruosità.
Trattiamo gli omosessuali come tutti gli
altri. Un bel giorno, in virtù dell’uguaglianza, accampano il diritto di
sposarsi e d’avere dei figlioli. Riconosciamo alle donne la loro rivendicazione
d’essere madri e ad ogni coppia di allevare una prole generata con ovuli e
spermatozoi propri o altrui . Un poco alla volta le manipolazioni più
inverosimili di gameti, di embrioni e di organi riproduttivi acquistano
cittadinanza nel corpo sociale. Pensiamo alle promiscuità nell’esercito, con
femmine, maschi e altri soggetti di varia sessualità, gomito a gomito, adibiti
alle stesse mansioni. Pensiamo all’infedeltà coniugale assolta in nome
dell’amore, alle famiglie allargate per
semidei che semidei non sono, ai nuovi cittadini immigrati in conflitto di
religione e di costumi con noi e fra di loro, per cui s’introducono le pratiche
più incivili, messe in atto di straforo o legalizzate. E via discorrendo di
infinite confusioni.
Fra gli argomenti di pubblico interesse, la
televisione più seguita, con le sue rubriche storiche, pone negli anni di metà
Novecento un’evoluzione ancora prigioniera di forze retrive, ancora impigliata
nello strascico di un precedente regresso; e con brani di filmati, con
trasmissioni ad hoc, rese a studiati
intervalli, propina lo scempio che fin dal settimo decennio del secolo scorso è
stato divulgato sotto forma di rievocazione e di rimembranza. L’intento
presunto, e in effetti tendenzioso, di ristabilire l’oggettività inserendo nel
discorso storico interviste ai sopravvissuti e spezzoni di documentario, ha
riguardato il dopoguerra e l'anteguerra. Ma ancor più subdole sono state le
opere di fantasia la cui ambientazione risaliva a ricordi d’infanzia o di
gioventù. Esse riandavano nostalgicamente, anziché il buono, quel volgare,
effettivo o presunto, che faceva il paio con la diffusa volgarità ormai
accetta, figlia dell’allentamento di freni cominciato nel sessantotto. In tal
modo ogni nostalgia chiara e ricreante era cacciata nel discredito del tempo
passato, che per i delitti sarebbe apparso uguale al presente, se non li avesse
coperti un deplorevole perbenismo. Falsificazioni!
Ormai diventati i vecchi testimoni una
piccola e frastornata minoranza, la denigrazione può assumere tutte le forme e
proseguire a ruota libera.
Ora la trivialità, il diuturno parlar grasso,
l’atteggiamento rozzo e svergognato, l’esibita ineleganza, il supporre d’essere
competenti in tutte le materie, tanto che si improvvisano giudizi e giurie
popolari in processi televisivi - per non soffermarsi sull’americanata
dell’intervista all’uomo della strada, cui si attribuisce un parere che conta -
queste innovazioni già invecchiate, alla fine guadagnano la benevolenza dei
benpensanti; e sono motivo di vanto e di contento per coloro che se l’intendono
con la liberazione, che bazzicano le cloache scambiando il davanti col
didietro, che insomma frequentano la cacca o ammettono tranquillamente che la
si frequenti disinibiti e libidinosi. Guardando le miserie del passato, hanno di che rallegrarsi!
Gli inseriti
si compiacciono dei geni poetici che celebrano i commerci caccosi e i saffici
espedienti. Per i più fini di loro, a ripulirli basterebbero le strofe e le
forbite frasi d’amore. “Dov'è l'indecenza, dove il disonore?” esclama stupito
chi sorride in faccia alla prospettiva della vita esaurita a causa di
moltitudini maschili e femminili dedite ai vuoti accoppiamenti o ad accoppiarsi
col loro stesso sesso. Una cosa vale l’altra, anzi, quanto è intrigante trasgredire!
La sporcizia infeconda compiace gli istinti
plebei. Siccome chi più chi meno, chi per un verso chi per un altro, i più sono
soggetti all’attrattiva del proibito fetente, se lo permettano, ora che è stato
rimosso quel detestabile senso del rimorso, insieme al complesso del peccatore!
Sicché il volgo infoltito, privato di più alte pasture, si gode le sue
franchigie. Se non ne gode sino all’imo, l’importante è avere la facoltà di
usufruirne, e tanto basta.
Questo sollievo plebeo, immodesto e non
cristiano, dell'ampia libertà, spesso non conduce sin dove la sporcizia compie
il suo lavoro pungente e diventa impossibile stare allegri. Ma allorché il
lerciume viene a galla, facendo sentire ai conformisti la zavorra di sentina
depositata in essi, non possono farci nulla. Si sono tagliati i ponti alle
spalle, e non resta loro che abbozzare.
Tuttavia non è poi così semplice. Gli autori,
i produttori di spettacoli, di intrattenimenti, di notizie anche culturali, per
schermi o pagine stampate, e così via, danno a vedere di conservare il ritegno,
respingono sdegnosamente le accuse di impudicizia, di sfruttamento della
morbosità, di approfittare della mala soggezione che la gente ha nei confronti
della vita vissuta quale essi la rappresentano (poiché nessuno vuole restarne
ai margini). Non sia mai detto che adoprino la svergognatezza (legata alle
depravazioni negate)! Semmai essa viene per conseguenza della libertà, che la
muta e la riscatta; castigarla significherebbe castigare la fausta
emancipazione, significherebbe eludere un realismo che deve essere riprodotto e
compreso. E bisogna riconoscere lo stile col quale annunciatori, presentatori,
intervistatori, conduttori espongono le cose, l’accortezza con cui danno spazio
all’urbanità, mentre, a certe ore e in certi programmi, gli adulti sono
scortati saputamente alle conoscenze più spinte, ai lidi scabrosi e
dissacranti. Sepolcri imbiancati, nevvero? Giornalisti ed esperti del vario
scibile puzzano di prosopopea, di connivenza con le puzzolenti convenzioni,
olezzano della convenzionale liberalità e magnanimità, delle guaste bellezze,
da essi usurpate e sconciate. Pertanto, violatori delle pure bellezze di cui si
appropriano, il loro delitto è orribile, essendo persuasivo e seducente al
massimo grado.
E smettano gli onesti nonostante tutto, di
grattarsi la pera con aria sconsolata. Si rendano conto di come siamo finiti in
uno sterminato letamaio, rivestito di illusorie infiorate. Che ce ne importa se
i personaggi rispettati e i maggiorenti lo annusano voluttuosamente sotto la
loro vernice graziosa, se i simpaticoni lo aspirano senza ritegno, mostrando di
preferirlo ai prati fragranti, trapunti di schietti fiorellini? Il paese delle
praterie e dei cavalieri è disponibile, specie nelle pagine della prosa e della
poesia che lo interpretano veracemente. Non si perde nulla, non ci si rimette a
tenersi fuori dalle frequentazioni ammorbanti, quand’anche occorra tirare la
cinghia per aver preso dimora in un esilio da signori, che assomiglia al paese
nostro che fu.
Piero Nicola
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