Anzitutto a proposito di miei recenti articoli, cerco
di scaricare alcune pungenti obiezioni, giuntemi implicite o indirette, per le
quali osservo il rispetto dovuto a chi combatte la comune buona battaglia.
Dissi che per
uscire dalle teorie e affrontare la realtà con cui fare i conti, occorreva
rivolgersi alla storia nei suoi esempi buoni o cattivi, seppelliti
disgraziatamente. Così facendo, però, s'incontra il Ventennio, intorno al quale
si sono levate tante prevenzioni che fanno tralasciare valori preziosi, ovvero
i mezzi con cui si riprendere quota.
Tralascio gli ostacoli inesistenti dello
storicismo e dell'evoluzionismo, sebbene non sia inutile ricordarli.
Ma il
fascismo - si dice - fu una dittatura totalitaria, istituì la statolatria
(culto religioso dello Stato), che venne accusata da Pio XI, e pertanto la
lezione fascista è resa invalida contraddicendo notevolmente la verità della
Chiesa, sebbene la Chiesa non abbia condannato il regime di Mussolini, a
differenza dell'attacco che sferrò al nazismo. Non bastano la giustizia sociale
largamente instaurata, le provvidenze per i prestatori d'opera, le opere
pubbliche, la salvaguardia dell'economia e della finanza dalle minacce della
plutocrazia internazionale, a salvare lo spirito e le soluzioni di quell'epoca,
cui viceversa io ritengo che si debba attingere, anche passando oltre. Certo non
basta la riconosciuta concordanza con la dottrina sociale della Chiesa.
Un appunto
che si suole muovere è che lo Stato del Ventennio prevaricò sull'autorità dei
genitori, ledendo i diritti della famiglia, e intese appropriarsi
dell'individuo al di là del giusto.
Nella Divini illius Magistri (31 dic. 1929)
proprio Pio XI spiegava che "la famiglia [pur avendo una priorità di
diritti rispetto alla società civile] è società imperfetta, perché non ha in sé
tutti i mezzi per il proprio perfezionamento, laddove la società civile è
società perfetta, avendo tutti i mezzi necessari al fine; onde, per questo
rispetto, cioè in ordine al bene comune, essa ha preminenza sulla
famiglia".
Società
perfetta, soprannaturale, suprema nel suo ordine è la Chiesa. In essa l'uomo
nasce, tramite il Battesimo, alla vita della Grazia.
Dunque,
osserva il Pontefice, tutte e tre le società hanno il compito di educare. Esso
appartiene in modo superiore alla Chiesa, che dal suo Divino Fondatore ne ha
ricevuto il mandato: "Al quale Magistero è stata da Cristo conferita
l'infallibilità col mandato di insegnare la Sua dottrina". E cita l'Enc. Libertas (1888): "Nella fede e
nella istituzione dei costumi, Dio stesso ha fatto la Chiesa partecipe del
divino magistero e, per beneficio divino, immune da errore; ond'è degli uomini maestra suprema e
sicurissima".
Egli pone
l'accento sul diritto della Chiesa di giudicare qualunque insegnamento, perché
"al pari di ogni azione umana, ha necessaria relazione di dipendenza dal
fine ultimo dell'uomo".
Quindi allega
una formula di Alessandro Manzoni. "La Chiesa non dice che la morale
appartenga puramente (nel senso di esclusivamente) a lei, ma che appartiene a
lei totalmente".
Ora, il
Concordato del 1929 prevedeva tali esigenze e le adempiva con bastante
soddisfazione di Papa Ratti.
Vedremo
quando egli ebbe da eccepire e da protestare contro le infrazioni imputate allo
Stato, che furono occasionali e rimediate. Diversamente, il Vaticano non
avrebbe potuto tollerare oltre.
A questo
punto, conviene riconoscere che in qualche modo era stato negletto "il
diritto inalienabile della Chiesa, e insieme suo dovere indispensabile" di
"vigilare tutta l'educazione dei suoi figli, i fedeli, in qualsiasi
istituzione pubblica o privata, non soltanto rispetto all'insegnamento
religioso ivi impartito, ma per ogni altra disciplina e per ogni ordinamento,
in quanto abbiano relazione con la religione e la morale" (Codex I.
C, cc. 1381-1382).
In realtà,
nelle scuole si insegnarono, senza la debita critica, la materia filosofica,
quella delle religioni e la storia del Risorgimento. Mancanze non lievi. Di questi scogli, bisogna
prendere buona nota!
Circa il
diritto naturale educativo della famiglia, che deve precedere quello dello
Stato (la patria potestà è di tale natura
che non può essere né soppressa né assorbita dallo Stato), va nuovamente
rilevato che la famiglia, se viene meno al dovere di educare secondo verità, il
suo diritto decade. È sottinteso nel C.I.C., can. 1113: "I genitori sono
gravemente obbligati a curare a tutto potere l'educazione sia religiosa e
morale che fisica e civile della prole" (citato nell'Enc.)
L'Enciclica
prosegue: "Spetta allo Stato proteggere il medesimo diritto della prole,
quando venisse a mancare [...] moralmente l'opera dei genitori, per difetto,
incapacità o indegnità, giacché il loro diritto educativo [...] non è assoluto
o dispotico, ma dipendente dalla legge naturale e divina, e perciò sottoposto
[...] altresì alla vigilanza e tutela
giuridica dello Stato in ordine al bene comune".
Nel
documento, indubbiamente rivolto a correggere o prevenire inizi di
prevaricazione, il Papa intende convincere il Capo del governo che le
istituzioni ecclesiastiche avrebbero formato cittadini e servitori della Cosa
pubblica meglio di qualsiasi altro omologo istituto civile.
Ma, come per
i genitori e le famiglie soggette a sgarrare, nelle organizzazioni cattoliche
laiche non potevano esserci deviazioni morali e dottrinali, per cui si agisse
politicamente contro il potere costituito? Il Papa lo nega. Poiché nella chiesa
serpeggiava ancora il modernismo - forse a insaputa del Vicario di Cristo - era
verosimile che nell'Azione Cattolica agisse il sovversivismo e la diffusione di
falsità ideologiche. E questo fu il motivo dichiarato della breve persecuzione
- comunque eccessiva e ingiustificata - che essa dovette subire.
Mussolini si
lasciò andare a frasi infelici, che di fatto lasciarono il tempo che trovarono.
Al di fuori
da qualsiasi errore dogmatico, Papa Sarto non commise discutibili valutazioni
riguardo all'opposizione armata dei Cristeros del Messico, negando loro un
pieno riconoscimento?
D'altronde,
nell'Enciclica non si trascura di biasimare l'educazione permissiva e
liberatoria, secondo i presupposti errati che abbandonano la legge divina e annullano
la "nativa fragilità della natura umana", le conseguenze del peccato
originale. Fin da allora, veniva avanzato il "pernicioso"
"metodo della coeducazione":
"confusione d'idee, che scambia la legittima convivenza umana con la
promiscuità ed eguaglianza livellatrice".
A proposito
degli statali pretesti politici per strappare i fanciulli dal seno della
famiglia e deformarne il carattere, l'accusa è, per ora, rivolta al
"paese" dove di adottano "le estreme teorie socialiste".
L'anno
seguente (29 giu, 1931) compare l'Enciclica Non
abbiamo bisogno. Il Pontefice volle far risonare in tutto il mondo la sua
protesta per la chiusura di circoli dell'Azione Cattolica e lo scioglimento di altre
associazioni di laici, presunte colpevoli di cospirare contro l'ordine
stabilito. "Si è tentato di colpire a morte quanto vi era e sarà sempre i
più caro al Nostro cuore di Padre e Pastore di anime... e possiamo bene,
dobbiamo anzi soggiungere: e il modo
ancor m'offende".
Sottolineo
questa affermazione: "Se tacessimo, se lasciassimo passare, che è dire se
lasciassimo credere, Noi saremmo troppo più indegni, che già non siamo, di
occupare questa augusta Sede Apostolica".
Lo sdegno va
al sopruso, alle maniere, alla menzogna della stampa non libera, agli
impedimenti posti alla trasmissione dei mezzi di salute, e lancia l'accusa di
voler "monopolizzare interamente la gioventù, dalla primissima
fanciullezza fino all'età adulta", attacca l'istituto del regime basato su
"una ideologia che dichiaratamente si risolve in una vera e propria
statolatria pagana". Ma, rivolto ai Venerabili Fratelli, egli precisa che
"con tutto quello che siamo venuti finora dicendo Noi non abbiamo voluto
condannare il partito ed il regime come tale. Abbiamo inteso segnalare e
condannare ciò che nel programma e nell'azione di essi abbiamo veduto e
constatato contrario alla dottrina ed alla pratica cattolica e quindi inconciliabile
col nome e con la professione di cattolici".
Quelle denuncie
non si ripeteranno, né avranno avuto occasione di ripetersi, dovendo noi
prestar fede al dichiarato proposito papale di non mai tacere i fatti gravi.
L'antifascista postillatore dell'Enciclica, dopo aver osservato che
"il singolare documento" ha "lo storico valore di affermare
l'inconciliabilità tra la dottrina cattolica e quella del fascismo", gli
tocca mostrare la contraddizione pratica: "Il che non ha impedito che dopo
questa enciclica per molti anni, dal 1931 al 1943, i rapporti tra la Chiesa e
il fascismo si mantenessero costantemente cordiali; per cui è da ritenersi che
fosse intervenuta una nuova segreta riconciliazione".
Mussolini
aderì "sostanzialmente alle perentorie richieste del Pontefice. Ne seguì
infatti l'accordo di cui fu data notizia con un comunicato del settembre, che
seguiva di due mesi l'enciclica".
È innegabile
che in alcuni documenti Mussolini abbia formulato concetti di statolatria, ma,
come hanno sempre insegnato i Pontefici, conta poco la carta di un governo, se il governo stesso vi pone un concreto rimedio.
Per converso, lo Statuto faceva propria la religione cattolica, e però la
monarchia costituzionale l'aveva calpestata.
Di volo,
apprendiamo che c'era una "ecclesiastica assistenza delle Associazioni
giovanili del regime e del partito", la quale, come l'"istruzione
religiosa nelle scuole", non avrebbe potuto supplire all'opera delle altre
Associazioni cattoliche.
Quanto alla
dittatura unita alla corona, non sono forse equiparabili ad essa i regni
cattolici che ebbero bisogno di preservare la propria integrità? Del resto, il
consenso popolare non mancò; tuttavia i nemici interni ed esterni, o anche
soltanto gli ingenui seduttori, costituivano un pericolo notevole. Nessun
sistema, nemmeno la democrazia può permettersi chi ne contesti il valore. La
libertà vi è concessa a tutti, eccettuati quelli che si oppongono al convenuto
concetto di essa. Eppure, si dimostra che certe libertà sono affatto abusive e
rovinose.
Il
totalitarismo decade ugualmente con l'unanimità. E che cosa c'è di più proficuo
per la vita pubblica che l'assenza di fazioni e di divisioni?
E quale
totalitarismo, quando si esprimono voci
differenti della cultura e anche tesi ideologiche - che il Ventennio ospitò,
pur concedendo spazio a teorie fallaci e deleterie? La cultura fascista risulta
variegata e indefinibile: va dalla fedeltà all'ortodossia cattolica,
all'idealismo gentiliano, al ghibellinismo evoliano. Altra e d'indirizzo costante
su punti essenziali, fu la realizzazione politica, che può definirsi meglio
suddividendola per periodi storici, in cui vi furono cambiamenti anche notevoli.
Il
riferimento al periodo centrale è di certo il più istruttivo.
Per avere la
maggiore obiettività consulto l'Enciclopedia Cattolica. Nel 1950, a bocce ferme e
archiviate, nello Stato del Vaticano si registrarono liberamente questi giudizi
sul fascismo:
Dopo il
Concordato, in cui si rinunziò alla laicizzazione dello Stato rendendo attivo
il 1° art. dello Statuto Albertino (la religione cattolica religione dello
Stato), anche nella legislazione italiana dovevano ammettersi i diritti
(inclusi quelli sulle materie miste)
e la completa missione della Chiesa.
Sul
"contraccolpo che i patti lateranensi ebbero nelle correnti fasciste più
anticattoliche", con consentimento ad esse e cedimento eretico e
irriverente di Mussolini, troviamo: "la concezione totalitaria della vita dello Stato, di cui il fascismo dimostrò ben
presto di non sapersi spogliare neppure nei confronti della Chiesa".
La crisi,
vista sopra, si risolse con il fascismo che si piega "di fronte
all'autorità pontificia [...] e lo fece con gli accordi del sett. 1930".
Fuori del
temporaneo, "la politica del fascismo appare dominata dall'idea di uno Stato autoritario e gerarchico,
in nome della quale la libertà del singolo poteva essere fino a un certo punto
sacrificata".
La
definizione appare aurea: un sacrificio della libertà individuale in cambio
della pace sociale e del libero operare per il bene comune, mirando a
determinati valori, con le pecche e gli eccessi comportati da ogni umana
attività.
Dottrina
ufficiale del partito: "una dottrina dello Stato autoritario e corporativo
in contrapposto allo Stato democratico e liberale". - Il termine statolatria o altri simili attributi
restano assenti.
"Ma più
che spinto da una propria originale dottrina politica, il f. sembra essere
stato guidato da esigenze più immediate e contingenti": eliminazione di un
sistema inetto a reggere lo Stato; valori della nazione da riportare in vigore
e in onore nel mondo.
"Questi
due motivi del f. (la critica alla società liberale e alle istituzioni
democratiche e la valorizzazione della tradizione nazionale) erano tali che
potevano facilmente affermarsi anche fuori d'Italia: intorno al f. italiano si
assisté così, nel periodo fra le due guerre, all'affermarsi di movimenti
fascisti e di derivazione fascista in Europa (Germania, Spagna, Portogallo,
Ungheria, Romania, Grecia) e fuori (Turchia, Argentina, Brasile): questo
espandersi del f. oltre i confini d'Italia rivela che, a parte il valore
intrinseco della formola, esso si presentava come un tentativo per superare una
crisi che era in atto tra il 1920 e il 1940".
Piero Nicola
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