mercoledì 25 febbraio 2015

SASSOLINI NELLA SCARPA (di Piero Nicola)

Anzitutto a proposito di miei recenti articoli, cerco di scaricare alcune pungenti obiezioni, giuntemi implicite o indirette, per le quali osservo il rispetto dovuto a chi combatte la comune buona battaglia.
  Dissi che per uscire dalle teorie e affrontare la realtà con cui fare i conti, occorreva rivolgersi alla storia nei suoi esempi buoni o cattivi, seppelliti disgraziatamente. Così facendo, però, s'incontra il Ventennio, intorno al quale si sono levate tante prevenzioni che fanno tralasciare valori preziosi, ovvero i mezzi con cui si riprendere quota.
  Tralascio gli ostacoli inesistenti dello storicismo e dell'evoluzionismo, sebbene non sia inutile ricordarli.
  Ma il fascismo - si dice - fu una dittatura totalitaria, istituì la statolatria (culto religioso dello Stato), che venne accusata da Pio XI, e pertanto la lezione fascista è resa invalida contraddicendo notevolmente la verità della Chiesa, sebbene la Chiesa non abbia condannato il regime di Mussolini, a differenza dell'attacco che sferrò al nazismo. Non bastano la giustizia sociale largamente instaurata, le provvidenze per i prestatori d'opera, le opere pubbliche, la salvaguardia dell'economia e della finanza dalle minacce della plutocrazia internazionale, a salvare lo spirito e le soluzioni di quell'epoca, cui viceversa io ritengo che si debba attingere, anche passando oltre. Certo non basta la riconosciuta concordanza con la dottrina sociale della Chiesa.
  Un appunto che si suole muovere è che lo Stato del Ventennio prevaricò sull'autorità dei genitori, ledendo i diritti della famiglia, e intese appropriarsi dell'individuo al di là del giusto.
  Nella Divini illius Magistri (31 dic. 1929) proprio Pio XI spiegava che "la famiglia [pur avendo una priorità di diritti rispetto alla società civile] è società imperfetta, perché non ha in sé tutti i mezzi per il proprio perfezionamento, laddove la società civile è società perfetta, avendo tutti i mezzi necessari al fine; onde, per questo rispetto, cioè in ordine al bene comune, essa ha preminenza sulla famiglia".
  Società perfetta, soprannaturale, suprema nel suo ordine è la Chiesa. In essa l'uomo nasce, tramite il Battesimo, alla vita della Grazia.
  Dunque, osserva il Pontefice, tutte e tre le società hanno il compito di educare. Esso appartiene in modo superiore alla Chiesa, che dal suo Divino Fondatore ne ha ricevuto il mandato: "Al quale Magistero è stata da Cristo conferita l'infallibilità col mandato di insegnare la Sua dottrina". E cita l'Enc. Libertas (1888): "Nella fede e nella istituzione dei costumi, Dio stesso ha fatto la Chiesa partecipe del divino magistero e, per beneficio divino, immune da errore;  ond'è degli uomini maestra suprema e sicurissima".
  Egli pone l'accento sul diritto della Chiesa di giudicare qualunque insegnamento, perché "al pari di ogni azione umana, ha necessaria relazione di dipendenza dal fine ultimo dell'uomo".
  Quindi allega una formula di Alessandro Manzoni. "La Chiesa non dice che la morale appartenga puramente (nel senso di esclusivamente) a lei, ma che appartiene a lei totalmente".
  Ora, il Concordato del 1929 prevedeva tali esigenze e le adempiva con bastante soddisfazione di Papa Ratti.
  Vedremo quando egli ebbe da eccepire e da protestare contro le infrazioni imputate allo Stato, che furono occasionali e rimediate. Diversamente, il Vaticano non avrebbe potuto tollerare oltre.
  A questo punto, conviene riconoscere che in qualche modo era stato negletto "il diritto inalienabile della Chiesa, e insieme suo dovere indispensabile" di "vigilare tutta l'educazione dei suoi figli, i fedeli, in qualsiasi istituzione pubblica o privata, non soltanto rispetto all'insegnamento religioso ivi impartito, ma per ogni altra disciplina e per ogni ordinamento, in quanto abbiano relazione con la religione e la morale" (Codex I. C,  cc. 1381-1382).
  In realtà, nelle scuole si insegnarono, senza la debita critica, la materia filosofica, quella delle religioni e la storia del Risorgimento.  Mancanze non lievi. Di questi scogli, bisogna prendere buona nota!
  Circa il diritto naturale educativo della famiglia, che deve precedere quello dello Stato (la patria potestà è di tale natura che non può essere né soppressa né assorbita dallo Stato), va nuovamente rilevato che la famiglia, se viene meno al dovere di educare secondo verità, il suo diritto decade. È sottinteso nel C.I.C., can. 1113: "I genitori sono gravemente obbligati a curare a tutto potere l'educazione sia religiosa e morale che fisica e civile della prole" (citato nell'Enc.)
 L'Enciclica prosegue: "Spetta allo Stato proteggere il medesimo diritto della prole, quando venisse a mancare [...] moralmente l'opera dei genitori, per difetto, incapacità o indegnità, giacché il loro diritto educativo [...] non è assoluto o dispotico, ma dipendente dalla legge naturale e divina, e perciò sottoposto [...] altresì alla vigilanza e tutela giuridica dello Stato in ordine al bene comune".
  Nel documento, indubbiamente rivolto a correggere o prevenire inizi di prevaricazione, il Papa intende convincere il Capo del governo che le istituzioni ecclesiastiche avrebbero formato cittadini e servitori della Cosa pubblica meglio di qualsiasi altro omologo istituto civile.
  Ma, come per i genitori e le famiglie soggette a sgarrare, nelle organizzazioni cattoliche laiche non potevano esserci deviazioni morali e dottrinali, per cui si agisse politicamente contro il potere costituito? Il Papa lo nega. Poiché nella chiesa serpeggiava ancora il modernismo - forse a insaputa del Vicario di Cristo - era verosimile che nell'Azione Cattolica agisse il sovversivismo e la diffusione di falsità ideologiche. E questo fu il motivo dichiarato della breve persecuzione - comunque eccessiva e ingiustificata - che essa dovette subire.
  Mussolini si lasciò andare a frasi infelici, che di fatto lasciarono il tempo che trovarono.
  Al di fuori da qualsiasi errore dogmatico, Papa Sarto non commise discutibili valutazioni riguardo all'opposizione armata dei Cristeros del Messico, negando loro un pieno riconoscimento?
  D'altronde, nell'Enciclica non si trascura di biasimare l'educazione permissiva e liberatoria, secondo i presupposti errati che abbandonano la legge divina e annullano la "nativa fragilità della natura umana", le conseguenze del peccato originale. Fin da allora, veniva avanzato il "pernicioso" "metodo della coeducazione": "confusione d'idee, che scambia la legittima convivenza umana con la promiscuità ed eguaglianza livellatrice".
  A proposito degli statali pretesti politici per strappare i fanciulli dal seno della famiglia e deformarne il carattere, l'accusa è, per ora, rivolta al "paese" dove di adottano "le estreme teorie socialiste".
  L'anno seguente (29 giu, 1931) compare l'Enciclica Non abbiamo bisogno. Il Pontefice volle far risonare in tutto il mondo la sua protesta per la chiusura di circoli dell'Azione Cattolica e lo scioglimento di altre associazioni di laici, presunte colpevoli di cospirare contro l'ordine stabilito. "Si è tentato di colpire a morte quanto vi era e sarà sempre i più caro al Nostro cuore di Padre e Pastore di anime... e possiamo bene, dobbiamo anzi soggiungere: e il modo ancor m'offende".
  Sottolineo questa affermazione: "Se tacessimo, se lasciassimo passare, che è dire se lasciassimo credere, Noi saremmo troppo più indegni, che già non siamo, di occupare questa augusta Sede Apostolica".
  Lo sdegno va al sopruso, alle maniere, alla menzogna della stampa non libera, agli impedimenti posti alla trasmissione dei mezzi di salute, e lancia l'accusa di voler "monopolizzare interamente la gioventù, dalla primissima fanciullezza fino all'età adulta", attacca l'istituto del regime basato su "una ideologia che dichiaratamente si risolve in una vera e propria statolatria pagana". Ma, rivolto ai Venerabili Fratelli, egli precisa che "con tutto quello che siamo venuti finora dicendo Noi non abbiamo voluto condannare il partito ed il regime come tale. Abbiamo inteso segnalare e condannare ciò che nel programma e nell'azione di essi abbiamo veduto e constatato contrario alla dottrina ed alla pratica cattolica e quindi inconciliabile col nome e con la professione di cattolici".
  Quelle denuncie non si ripeteranno, né avranno avuto occasione di ripetersi, dovendo noi prestar fede al dichiarato proposito papale di non mai tacere i fatti gravi.
  L'antifascista postillatore dell'Enciclica, dopo aver osservato che "il singolare documento" ha "lo storico valore di affermare l'inconciliabilità tra la dottrina cattolica e quella del fascismo", gli tocca mostrare la contraddizione pratica: "Il che non ha impedito che dopo questa enciclica per molti anni, dal 1931 al 1943, i rapporti tra la Chiesa e il fascismo si mantenessero costantemente cordiali; per cui è da ritenersi che fosse intervenuta una nuova segreta riconciliazione".
  Mussolini aderì "sostanzialmente alle perentorie richieste del Pontefice. Ne seguì infatti l'accordo di cui fu data notizia con un comunicato del settembre, che seguiva di due mesi l'enciclica".
  È innegabile che in alcuni documenti Mussolini abbia formulato concetti di statolatria, ma, come hanno sempre insegnato i Pontefici, conta poco la carta di un governo, se il governo stesso vi pone un concreto rimedio. Per converso, lo Statuto faceva propria la religione cattolica, e però la monarchia costituzionale l'aveva calpestata.
  Di volo, apprendiamo che c'era una "ecclesiastica assistenza delle Associazioni giovanili del regime e del partito", la quale, come l'"istruzione religiosa nelle scuole", non avrebbe potuto supplire all'opera delle altre Associazioni cattoliche.
  Quanto alla dittatura unita alla corona, non sono forse equiparabili ad essa i regni cattolici che ebbero bisogno di preservare la propria integrità? Del resto, il consenso popolare non mancò; tuttavia i nemici interni ed esterni, o anche soltanto gli ingenui seduttori, costituivano un pericolo notevole. Nessun sistema, nemmeno la democrazia può permettersi chi ne contesti il valore. La libertà vi è concessa a tutti, eccettuati quelli che si oppongono al convenuto concetto di essa. Eppure, si dimostra che certe libertà sono affatto abusive e rovinose.
  Il totalitarismo decade ugualmente con l'unanimità. E che cosa c'è di più proficuo per la vita pubblica che l'assenza di fazioni e di divisioni?
  E quale totalitarismo, quando si esprimono  voci differenti della cultura e anche tesi ideologiche - che il Ventennio ospitò, pur concedendo spazio a teorie fallaci e deleterie? La cultura fascista risulta variegata e indefinibile: va dalla fedeltà all'ortodossia cattolica, all'idealismo gentiliano, al ghibellinismo evoliano. Altra e d'indirizzo costante su punti essenziali, fu la realizzazione politica, che può definirsi meglio suddividendola per periodi storici, in cui vi furono cambiamenti anche notevoli.
  Il riferimento al periodo centrale è di certo il più istruttivo.
  Per avere la maggiore obiettività consulto l'Enciclopedia Cattolica. Nel 1950, a bocce ferme e archiviate, nello Stato del Vaticano si registrarono liberamente questi giudizi sul fascismo:
  Dopo il Concordato, in cui si rinunziò alla laicizzazione dello Stato rendendo attivo il 1° art. dello Statuto Albertino (la religione cattolica religione dello Stato), anche nella legislazione italiana dovevano ammettersi i diritti (inclusi quelli sulle materie miste) e la completa missione della Chiesa.
  Sul "contraccolpo che i patti lateranensi ebbero nelle correnti fasciste più anticattoliche", con consentimento ad esse e cedimento eretico e irriverente di Mussolini, troviamo: "la concezione totalitaria della vita dello Stato, di cui il fascismo dimostrò ben presto di non sapersi spogliare neppure nei confronti della Chiesa".
  La crisi, vista sopra, si risolse con il fascismo che si piega "di fronte all'autorità pontificia [...] e lo fece con gli accordi del sett. 1930".
  Fuori del temporaneo, "la politica del fascismo appare dominata dall'idea di uno Stato autoritario e gerarchico, in nome della quale la libertà del singolo poteva essere fino a un certo punto sacrificata".
  La definizione appare aurea: un sacrificio della libertà individuale in cambio della pace sociale e del libero operare per il bene comune, mirando a determinati valori, con le pecche e gli eccessi comportati da ogni umana attività.
  Dottrina ufficiale del partito: "una dottrina dello Stato autoritario e corporativo in contrapposto allo Stato democratico e liberale". - Il termine statolatria o altri simili attributi restano assenti.
  "Ma più che spinto da una propria originale dottrina politica, il f. sembra essere stato guidato da esigenze più immediate e contingenti": eliminazione di un sistema inetto a reggere lo Stato; valori della nazione da riportare in vigore e in onore nel mondo.
  "Questi due motivi del f. (la critica alla società liberale e alle istituzioni democratiche e la valorizzazione della tradizione nazionale) erano tali che potevano facilmente affermarsi anche fuori d'Italia: intorno al f. italiano si assisté così, nel periodo fra le due guerre, all'affermarsi di movimenti fascisti e di derivazione fascista in Europa (Germania, Spagna, Portogallo, Ungheria, Romania, Grecia) e fuori (Turchia, Argentina, Brasile): questo espandersi del f. oltre i confini d'Italia rivela che, a parte il valore intrinseco della formola, esso si presentava come un tentativo per superare una crisi che era in atto tra il 1920 e il 1940".


Piero Nicola

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