Erano anni che non vedevo il Festival di San
Remo, perché mi piace la musica vera, italiana, e credo di non pretendere
troppo desiderando i motivi originali, inconfondibili, le canzoni ben strutturate
e con parole pulite - riguardo ai versi mi accontento di una sequenza pulizia.
Non trovando niente di tutto questo nella rassegna canora sanremese, è naturale
che la snobbassi.
Quest'anno m'era giunto all'orecchio che
c'erano stati ripensamenti circa l'andamento assunto dal Festival, divenuto un pot-pourri spropositato e barboso.
S'intende che, visti gli ultimi insuccessi, gli interessati cercavano di
promuoverlo come rinnovato, ma, a cominciare dal conduttore, si manifestavano
propositi di revisione sia della scaletta che delle selezioni, con l'intenzione
di compiere passi indietro per un certo ritorno in patria e alla normalità.
Sicché mi sono deciso ad affrontare ore di
seduta benevola davanti all'ultima serata della trasmissione.
Dirò subito che non ce l'ho fatta ad arrivare
a vedere il vincitore. Tuttavia ho ascoltato sino all'ultimo concorrente in
lizza.
La prima impressione ricevuta dallo scenario
non è stata affatto favorevole e non ha più ricevuto smentita. Secondo l'uso
funereo oggi in voga, il vasto palco era dominato dal nero, da un blu cupo e da
una miriade di fari nudi e crudi, con scarse varianti. L'imponenza del
palcoscenico e dello sfondo, i movimenti agitati su di esso e qualche immagine
ivi proiettata non risolvevano l'impressione del buio opprimente. Gli unici
colori si dipingevano sui vestiti e sui volti delle due o tre assistenti del
conduttore. Ma quella carina e aggraziata, benché spagnola, è comparsa poco,
quasi perché non si sciupasse. Si alternavano invece una sgraziatella piuttosto
maldestra e dall'aria indisponente e una giovane rozza, appena belloccia,
altrettanto fuori posto. Entrambe si sono permesse o lo spirito di patata o
quello inverecondo.
Carlo Conti doveva supplire alla loro
inadeguatezza e veniva da chiedersi come mai la scelta fosse
caduta su di esse, con tutte le ragazze carine
e sveglie che offre la piazza italiana. Ne dedurrei che anche il bravo Conti,
nonostante le apparenze, rientri nella massa dei timidi. Egli rientra pure nella
classe dei presentatori privi di signorilità. Del resto, dopo i campioni
Buongiorno e Baudo, oggidì sarebbe chimerico aspettarsi di meglio. Per trovare
un signore bisogna quasi risalire alla notte dei tempi, coè ai tempi di Tortora
e di Nunzio Filogamo.
Interpreti e canzoni. Se c'è stato qualche
sforzo inteso al miglioramento, si è visto poco. Se vado a teatro per un'opera
lirica melodica - e avremmo dovuto ritrovarci soprattutto nel campo
dell'armonia - sarebbe insensato che debba ascoltare poche arie stiracchiate in
mezzo a una tiritera di semplici recitativi. Ma è ciò che succede ormai da
lunga pezza con questi cantanti o
cantautori. Mentre i brani orecchiabili, gli accompagnamenti di buona invenzione,
cantabili, sono banali e sovente rubati.
Il rap, anche italiano, esula dal contesto. Allo stesso modo, usare i ritmi e le grida del blues o qualcosa
di simile alle ballate anglosassoni significa scimmiottare; non hanno niente a
che vedere col nostro mondo, con le parole nostre.
Ora, tutte queste pecche le ho ritrovate
intatte a San Remo.
Siamo ormai abituati alla gestualità dei
cantanti, i quali gesticolano proprio, fanno smorfie tra il comico e il
grottesco. La compostezza, possibile anche nella recita di espressioni
drammatiche, non sanno proprio dove stia di casa. Lo spettacolo ne risulta
involgarito. Invano, il Conti ha decantato la grazia fascinosa delle donne che
si sono esibite, e anche il modo con cui erano acconciate.
Ancora niente di nuovo.
Lo spettacolo, nel suo insieme, è rimasto
frammentario, disarmonico. Le varie interruzioni disturbavano la memorizzazione
dei motivi trascorsi e rompevano il ritmo. Il che è grave per qualsiasi
spettacolo, che allora si trasforma nel tipico polpettone.
Oltre alle non lievi intromissioni
pubblicitarie, si sono introdotti gli ospiti famosi e canori, i comici
cabarettistici, agli attori hollywoodiani. Fra una battuta e l'altra, le
oscenità negli intermezzi esilaranti hanno costretto il presentatore a dare
segni di imbarazzo.
Le usate volgarità e le lezioni di cattivi
maestri sono emerse nei testi. Per non farsi mancare nulla, hanno invitato
Platinette vestito da maschio; il quale, nel duetto con una femmina, ha
proclamato il diritto all'ambiguità sessuale.
L'emaciata, sfibrata e un po' frastornata
Nannini, aveva un'enorme rassomiglianza con Pippo Franco, anche nel sorriso;
che però, a differenza di quello dell'attore romano, presentava una sfumatura
luciferina. Quanto alla voce, sono convinto che l'imitazione di Pippo avrebbe
supplito egregiamente l'esibizione della pur consumata Gianna.
Come ho detto all'inizio, dopo l'uscita
dell'ultimo giovinetto compenetratosi nel mestiere di cantante alla moda, la
misura era colma e ho spento l'apparecchio, meditando sulla somma che la Rai
incassa mediante le telefonate dei volonterosi che partecipano alle votazioni
da cui uscirà il vincitore.
Mentre finisco di scrivere, ricordo che ad
alcune ugole rispettabili non è stata resa giustizia dal loro impiego, eccezion
fatta per il trio Volo, cui apprendo
sia arrisa la meritata vittoria. Faccio dunque tanto di cappello alla compagine
degli elettori, e tengo calcato in testa il copricapo davanti a quei personaggi
di talk-show che hanno criticato i Volo,
come la loro canzone, perché fuori del tempo: troppo sanremesi.
Piero
Nicola
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