A Piero Bargellini il dottor Eugenio Zolli, ex rabbino di
Roma, confidò di essersi convertito perché aveva incontrato in Pio XII l’uomo
che viveva nel soprannaturale.
Infangare la memoria di Pio XII, l'autore
della Humani generis, l'enciclica che metteva fuori gioco i
neomodernisti, fu il mezzo escogitato dalla propaganda comunista per rianimare
la sinistra democristiana e coinvolgerla nella politica per il c. d. progresso.
Quale esempio della permeabilità dei cattolici
progressisti al fascino della calunnia, conviene tuttavia rammentare
l'antecedente della diffamazione di Papa Pacelli, ossia il mito intorno al
colpevole “silenzio di Pio XI”. Si tratta di una leggenda nera inventata
e diffusa da Emanuel Mounier, autore dei saggi aperturisti pubblicati
nel biennio 1938-1939. Tradotti da Franco Onorati, i testi di Mounier furono
ripubblicati dalla casa editrice dei dossettiani, La Locusta di Venezia, nel 1967, quando cominciava a diffondersi la
calunnia contro Pio XII.
Il muro di Berlino ha sepolto la memoria di
Mounier, cattocomunista talmente estremo da spaventare perfino Jacques e Raissa
Maritain. I testi calunniosi, scritti e pubblicati negli anni Trenta sono qui
citati per ricordare ai cattolici oggi festanti la stagione della mano cattolica tesa alla menzogna. Una
tensione sopravvissuta - nel cuore dei cattolici democratici - alla caduta del
muro di Berlino e all'estinzione della mitologia sovietica.
Il bersaglio scelto e mirato da Mounier era “Il sordido
anticomunismo, pieno di paura e di egoismo, che sottolinea la sproporzione
fra la mediocrità che lo sostiene e il formidabile slancio storico che il
comunismo ha provvisoriamente e
parzialmente captato” [1].
Il disprezzo per l’anticomunismo, fu girato
a Pio XI colpevole di aver condannato l’ideologia “intrinsecamente perversa” e di essersi felicitato con i franchisti
“che gettano le bombe sui bambini”, e
di averli definiti “la parte sana del
popolo spagnolo, che aveva difeso l’ideale della fede e della civiltà cristiana”.
Mounier pensava, infatti, che la parte
sana del popolo ispanico fosse schierata con i massacratori dei
sacerdoti, della suore cattoliche e dei sacrestani.
Consapevole dell’enormità dell’accusa, Mounier
mise subito le mani avanti: “So quel che
si obietterà: che chiediamo indulgenza per gli uccisori dei preti e gli
incendiari delle chiese …. Come se la rivolta di Franco non avesse creato il
comunismo più agguerrito in ogni parte della Spagna, provocando l’aiuto di
Mosca e la riconoscenza di un popolo generoso” [2].
Ora la tesi di Mounier, secondo cui la rivolta
di Francisco Franco avrebbe provocato la giusta e collera popolare e fatto
inferocire il generoso slancio dei boia comunisti, è una spiegazione surreale,
degna della logica staliniana innestata nella mente di un cattolico
conformista.
Per misurare l’enormità della menzogna diffusa
da Mounier è sufficiente considerare le date: la rivolta militare (franchista)
inizia il 18 luglio del 1936, la persecuzione della Chiesa cattolica da parte
dei comunisti spagnoli durava dal 1931 (incendio e distruzione di chiese e
conventi) ed aveva subito un'accelerazione (massacri di preti e religiosi) nel
1934.
Uno storico imparziale quale Stanley G. Payne,
a proposito dei massacri di sacerdoti e religiosi, afferma che non furono il
prodotto spontaneo e incontrollabile della collera popolare (quella che Mounier
sosteneva fosse provocata dalla rivolta franchista) ma “la conseguenza di un furore
praticato da piccoli gruppi rivoluzionari, costituiti per questo compito, con
l’approvazione e qualche volta per iniziativa dei dirigenti delle maggiori
organizzazioni repubblicane”.
Dato un tale scenario cosa avrebbe dovuto fare
Pio XI: approvare i persecutori specializzati
e rimproverare le vittime inermi, che, a corpo morto, opponevano resistenza
allo splendido slancio dei comunisti? Esaltare il meraviglioso storicismo degli
assassini implacabili e condannare l’ottusa resistenza delle vittime
cattoliche? Scomunicare gli insorgenti franchisti?
Mounier, annebbiato dall’ideologia e turbato
dalla passione politica, rivolgeva a Pio XI un’accusa analoga a quella che il
lupo della favola rovesciava sull’agnello: stando a valle tu intorbidi l’acqua che io bevo a monte.
La logica soggiacente
al soqquadro della tempistica, si
esprime così: subendo la mia violenza oggi tu provochi la reazione che ieri
giustificherà il mio intervento
dell’altro ieri. I fatti del passato sono accaduti oggi, anzi
accadranno domani. La stregoneria cattocomunista, che produce le leggende
nere esige la facoltà di muovere le tre tavolette del tempo sul rosso
tappeto del trucco.
Nel 1978, il dossettiano Giorgio Campanini,
per commentare le pagine antifranchiste di Mounier, negli anni plumbei reputate
degne di ristampa, non trovò di meglio che riprendere l’argomento del lupus in fabula, riversando la
responsabilità dei massacri sulla Chiesa di Spagna, che “per trovare un appoggio presso classi privilegiate, appariva troppo
spesso come il pastore di queste ultime piuttosto che della massa”.
La Chiesa cattolica, secondo la vulgata
cattocomunista, era schierata con i ricchi, dunque
il popolo non ebbe altra scelta che affidarsi alla protezione degli atei.
Negli anni dell’egemonia gramsciana
quest’interpretazione era dogma. L’untuosa dottrina oggi fa sorridere perché
definisce èii errori i delitti della rivoluzione. Ma Campanini era andato oltre
Camera e Fabbietti, sostenendo che gli errori
erano stati commessi dalle vittime ricche.
E i monaci assassinati malgrado il voto di
povertà e l’evidente stato di povertà? E le monache di clausura, torturate
atrocemente e massacrate? E le salme profanate? Per loro la coscienza dei profeti a pensiero unico non ha mai
levato una protesta, mai versato una lacrima. Non erano utili alla suprema causa della giustizia
proletaria, perciò non era il caso di compiangerli.
Anzi … Al culmine del delirio aperturista, l’infatuato Mounier non
esitò ad insinuare che i martiri avevano provocato la collera dei giusti
alleandosi con i criminali fascisti.
Che cosa si vuole di più utile alla causa
dello schiaffo contro la verità? Declassare i martiri di Spagna,
ridurli al rango di sostenitori del capitalismo e a complici di una monarchia
screditata, è il servizio che la sinistra cristiana ha reso alla causa del
comunismo ateo.
«Per decenni», ha scritto Vittorio
Messori nel saggio “Pensare la storia”, «anche per un certo mondo
cattolico, sembrò che chi doveva farsi perdonare e far dimenticare, nella
tragedia spagnola, fosse la Chiesa, non fossero gli anarchici, i socialisti, i
comunisti. Ed è con fastidio che
si respingeva l’idea stessa di martirio di quegli innocenti, fino al punto di bloccare i processi
canonici per la beatificazione».
Nell’ottica distorta dai
contestualizzatori, “martiri” sono gli autori dell’intesa con i comunisti.
Senza imbarazzi, il cardinale Agostino Casaroli ha intitolato al martirio
della pazienza il resoconto della morbida e untuosa politica estera da lui
condotta negli anni del cedimento all’Urss [3].
La risolutezza di Giovanni Paolo II ha
sollevato il velo dell’ipocrisia curiale, conferendo ad un alto numero di
vittime ispaniche (fra i quali alcuni militanti carlisti) la dignità dei
martiri e l’onore degli altari.
Purtroppo la determinazione del papa polacco
non è bastata a ristabilire la verità dei fatti, che rivelano l’essenza
anticristiana della guerra repubblicana e il coinvolgimento massonico, e
dimostrano la complicità dell’oligarchia finanziaria nella pianificazione e
nell’esecuzione del massacro. La prudenza suggerita e imposta dalla teologia
postconciliare non lo consente ancora.
Soltanto Vitaliano Mattioli dell’Università
Urbaniana, un sacerdote romano non nuovo a pubblicazioni contro corrente, ha
infranto la omertosa legge del potere culturale e ha violato il fondamentale
imperativo della storiografia (non si
devono versare lacrime sugli Olocausti trascurabili), pubblicando, per i
tipi dell’editore milanese Fabio De Fina, un saggio il cui titolo non lascia
dubbi sull’esplosivo contenuto: “Massoneria
e comunismo contro la Chiesa in Spagna 1931-1939” .
Mattioli non è prigioniero di schemi astratti
e di pregiudizi partigiani e, pertanto, può esaminare i fatti della storia
senza pagare pedaggi a destra o a sinistra. Il pregio della sua opera risiede
appunto nella capacità di resistere alla suggestione delle tesi consolidate
dalla ripetizione terroristica.
Di conseguenza, analizzando le cause prossime
e remote che hanno preparato la guerra civile stemperando e corrompendo la fede
dei popoli ispanici, non tace le gravi responsabilità di quell’oligarchia
retriva che la vulgata di sinistra vuole associare alla Chiesa.
In effetti, all’origine della decadenza
spagnola si trova, come sottolinea Mattioli (in sintonia con De Tejada e con la
scuola carlista) l’influenza
dell’Europa protestante, che diffuse i semi corrosivi dello scetticismo e
dell’irreligione gratuita nella Spagna assolutista e codina di Carlo III
(1759-1788) e, dopo la parentesi
relativamente felice del regno di Ferdinando VII (1814-1833) nel regno liberale
di Isabella e dei suoi successori.
Ora la rivoluzione comunista che ha devastato
la Spagna, trovò un perfetto terreno di cultura nella mentalità prodotta da
almeno due secoli di propaganda anticlericale e negli stati d’animo destati
(come documenta Mattioli) dalla propaganda settaria, lubrificata dal denaro
profuso dalle oligarchie e dalle corti.
La confusione prodotta dalle agenzie
dell’ateismo massonico era tale da contagiare e sviare perfino il movimento dei
volonterosi intellettuali che, all’inizio del XX secolo, cercavano di
promuovere la rigenerazione del paese. Il movimento, anziché valorizzare la
genuina tradizione ispanica, esaltò autori decadenti e torbidi, come
Schopenhauer e Nietzsche.
Contrariamente all’opinione sostenuta senza
fondamento dai cattocomunisti, la Chiesa cattolica di Spagna non s’identificò
con la politica culturale d’ispirazione laicista attuata da Carlo III, da
Isabella e dalle altre maestà illuminate,
ma la contrastò con un’azione lucida e costante. La Chiesa difese la sacra libertà
dei fedeli, non le ragioni di una destra bifida e spuria. La vuota albagia
delle classi elevate e la devastante ambizione degli emergenti soffocavano la
vita della Spagna cattolica e, spesso, le si opponevano apertamente.
Il ristabilimento di questa scorretta verità da parte di Vitaliano
Mattioli scompagina e ridicolizza la dialettica destra-sinistra, intorno alla
quale è fiorita la pia leggenda dei poveri comunisti sfruttati dalla borghesia
capitalistica, oppressi dal potere retrivo, ingannati dalla chiesa preconciliare e amati solamente dagli
intellettuali sedicenti profetici,
Maritain, Mounier, La Pira k Dossetti.
Invece dell’incantevole idillio
cattocomunista, Vitaliano Mattioli descrive due schieramenti irriducibili:
l’oligarchia perenne, che tramanda la superstizione del potere dai principi
assolutisti ai monarchi illuminati e dai rivoluzionari liberali ai despoti
totalitari, e la Chiesa, che difende la libertà popolare in nome di un Regno
che non appartiene a questo mondo.
Davanti a tale evidenza la leggenda nera sulla
Chiesa reazionaria si dissolve. La
guerra di Spagna appare infine come un episodio della guerra che il potere
dispotico (sempre uguale, nel mutare del fondamento ideologico) conduce contro
la libertà dei figli di Dio.
La memoria dei fatti di Spagna è a Rosy Bindi,
socia verginale di Scalfatotto e alle pie persone aggrappate agli interpreti
della metamorfosi pederastica del comunismo. Agli eredi di Mounier e Maritain,
oggi gongolanti e festanti per l'elezione di un piissimo custode dalla sacra
Costituzione.
Piero Vassallo
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